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Aggressioni infermieri. Quando le parole non bastano. In nove punti le più comuni tecniche di difesa che devi conoscere

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 01/11/2019 vai ai commenti

AttualitàNursing

Sono sempre più numerose le notizie di cronaca che mostrano come nelle aziende ospedaliere i sentimenti di rabbia e frustrazione da parte di pazienti a parenti trovino spesso sfogo in episodi di violenza contro il personale sanitario.

Gli ultimi dati Inail rivelano che ogni anno in Italia si contano 1.200 atti di aggressione ai danni dei lavoratori della sanità, nel 70% dei casi le vittime delle aggressioni sono donne.

I luoghi maggiormente colpiti dalla violenza sono:

i Pronto soccorsi con 456 aggressioni, seguono i reparti di degenza con 400, gli ambulatori con 320, i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura con 72 atti di violenza, le terapie intensive con 62, le aggressioni al 118 sono state 41, 37 invece quelle nell'ambito dell’assistenza domiciliare, 20 nelle case di riposo e, infine, 11 nei penitenziari.

Il 60% sono minacce, il 20% percosse, il 10% violenza a mano armata e il restante 10% vandalismo. Ma chi commette violenza? Il 49% sono i pazienti, il 30% i familiari, l'11% i parenti e un 8% sono gli utenti in generale.

Come difenderci

Può accadere che nonostante le strategie più efficaci di comunicazione, non sia possibile disinnescare un comportamento aggressivo impedendo che evolva in un’azione violenta.

Quando ciò accade, occorre essere preparati a difendersi o a fuggire.

Vediamo come fare

  1. Avere una perfetta conoscenza del proprio ambiente di lavoro. Dobbiamo studiare la stanza dove ci troviamo, alla ricerca delle vie di fuga, o di qualcuno che ci possa aiutare.
  2. Bilanciamento e stabilità

Il bilanciamento non è che l’eguale distribuzione del peso sugli arti inferiori. Ma non dobbiamo mai dimenticare la postura: mai mettersi faccia a faccia con un potenziale aggressore, il corpo rivolto verso di lui, perché così corriamo il rischio di lasciare esposte le nostre aree più sensibili, come ad esempio l’addome e il volto. Posizioniamoci invece a circa 45 gradi, in modo da presentare la minor superficie possibile per un attacco. Non teniamo poi le braccia distese ai lati del corpo, ma a protezione dell’addome o del torace; altrimenti, in caso di aggressione, non faremmo in tempo a proteggerci.

Un’altra postura è definibile come la posizione di interesse, con una mano vicino al viso ed una lungo il corpo, a protezione dei genitali o dell’addome.

 

  1. Non fissiamo negli occhi un soggetto aggressivo, dimenticandoci che la vera minaccia può arrivare da mani, piedi, gomiti e ginocchia; guardiamolo all’altezza del cuore e avremo la possibilità di controllare l’individuo nel suo complesso.
  2. Se che un aggressore ci afferra per un polso. Apriamo immediatamente le dita a ventaglio e spingiamo, estendendo il gomito verso la sua mano, il taglio del nostro avambraccio nell’asse di apertura delle sue dita.
  3. Se invece veniamo afferrati per i capelli, prendiamo la mano dell’aggressore e blocchiamola contro la nostra testa e non cerchiamo di allontanarla.
  4. Se veniamo aggrediti da qualcuno che ci mette le mani al collo. Infiliamo le braccia tra quelle dell’aggressore ed estendiamole verso l’alto, quindi allarghiamo i gomiti e abbassiamoli violentemente, usando anche la schiena.
  5. Un altro modo efficace per sfuggire a un attacco frontale, soprattutto se fatto immediatamente, consiste nell’alzare entrambe le braccia, e poi ruotare sul proprio asse; la qual cosa permette di sciogliere la presa dell’aggressore. Un’altra tecnica consiste nell’afferrare le dita dell’aggressore, per poi allontanare il suo braccio dal corpo e fuggire.
  6. Durante una visita, o una manovra diagnostica di routine quale la misurazione della pressione arteriosa o il controllo di un’agocannula, se le gambe di un paziente aggressivo sono libere, è possibile che tenti di colpirci con un calcio, posizioniamoci in modo da poter controllare e porci fuori dal raggio d’azione del colpo.
  7. Se il soggetto si presenta a noi con un’arma. Procediamo con grande cautela, stando molto attenti a rispettare il suo spazio e a mantenere un costante contatto oculare mentre gli parliamo.

Controlliamo anche il tono della nostra voce, e la velocità con cui esprimiamo frasi come: “Vedo che è molto turbato; mi aiuti a capire di cosa ha bisogno (in cosa posso aiutarla, etc.)”. Oltre a mantenerci a una distanza di sicurezza dall’arma, afferriamo un oggetto che possa essere impiegato come difesa, per deflettere eventuali colpi (un libro, o una cartelletta rigida, in mancanza di meglio). Identifichiamo, mentre parliamo, una via di fuga; ma ricordiamoci, mentre indietreggiamo, di non commettere mai l’errore di voltare le spalle all’aggressore.

Mettiamo quindi tra noi e l’aggressore, un oggetto d’arredamento, una sedia ad esempio, oppure una scrivania. La sedia può anche essere spinta verso il soggetto, rallentandone l’azione e permettendoci di guadagnare l’uscita più vicina.

 

da FNOPI-  prevenire, riconoscere e disinnescare l'aggressività e la violenza contro gli operatori della salute.