Iscriviti alla newsletter

Latte contaminato da antibiotici. L'Università Federico II di Napoli e quella della Valencia svelano quali

Giuseppe Romeodi
Giuseppe Romeo
Pubblicato il: 24/01/2020

Attualità

Uno studio pubblicato su Journal of Dairy Science dell’Università Federico II di Napoli e di quella di Valencia, condotto su 56 campioni, avvalendosi di un test condotto grazie alla spettrometria di massa ad alta risoluzione e della cromatografia liquida ha rivelato la presenza micotossine e sostanze farmacologicamente attive nel latte.

 

 

Avvalendosi proprio di questo test messo a punto dalle Università Federico II di Napoli  e da quella spagnola di Valencia, che sarebbe in grado di trovare tracce di farmaci anche laddove i sistemi più tradizionali tendono a fallire, la rivista Il Salvagente che ha condotto un’indagine in laboratorio su 21 confezioni di latte, fresco e a lunga conservazione (Uht), vendute nei comuni supermercati e discount del nostro paese.

 

Cosa è stato trovato nel latte?

Secondo i risultati, 12 campioni (quindi più della metà dei marchi analizzati) contenevano farmaci di vario genere in particolare antibiotici, antinfiammatori e cortisonici.

Tra questi, solo un campione di latte fresco conterrebbe contemporaneamente tutti e tre i farmaci; nel latte appartenete ad altre marche sono presenti due farmaci. Negli altri sei, invece, sarebbe stato rintracciato un solo farmaco.

 

Quelli trovati più frequentemente sono il dexamethasone (cortisonico), il neloxicam (antinfiammatorio) e l’amoxicillina (antibiotico), in concentrazioni tra 0,022 mcg/kg e 1,80 mcg/kg.

 

 

I rischi per la salute dei consumatori (e dei bambini….)

 

I rischi sono relativi a due questioni, entrambe importanti: la resistenza agli antibiotici e l’eventuale modifica della flora intestinale, soprattutto nei bambini, notoriamente grandi consumatori di latte.

Sul primo punto, un problema di portata mondiale che rischia di decimare la popolazione nei prossimi decenni, ossia la farmacoresistenza è intervenuto Ruggiero Francavilla, pediatra e gastroenterologo dell’Università degli Studi di Bari:

“L’assunzione costante di piccole dosi di antibiotico con gli alimenti determina una pressione selettiva sulla normale flora batterica intestinale a vantaggio dei batteri resistenti agli antibiotici che diventano più rappresentati; questa informazione genetica viene trasferita ad altri batteri anche patogeni”

Sulla questione del rischio per il macrobiota intestinale si è espresso Ivan Gentile, professore di malattie infettive presso la Federico II:

“non si può escludere un rischio, sebbene basso, che l’esposizione anche di minime quantità, soprattutto in maniera ripetuta, possa avere ripercussioni sul microbiota intestinale cioè su quell’insieme vario di microorganismi che vivono con noi (nell’intestino, sulla cute, nella cavità orale per fare qualche esempio) e che esercitano effetti benefici (a livello digestivo, immunitario, protettivo)”.

 

Fonte: greenme.it