Esce oggi “L’Ultimo turno”: la regista Petra Volpe racconta il lavoro invisibile degli infermieri
Siamo sempre molto curiosi quando qualcuno decide di dedicare spazio all’infermieristica, tanto più se lo fa attraverso la macchina da presa come nel caso della regista Petra Volpe che Petra Volpe si sofferma con grande attenzione sul mondo poco raccontato e spesso invisibile della professione infermieristica. Nell’intervista di Mauro per Cooming Soon che accompagna l’uscita del suo film “L’Ultimo turno” prevista oggi 20 agosto, emerge un quadro vivido e appassionato di quello che significa essere infermiere, con tutte le sue sfide, ma anche con la profonda umanità e la dedizione che caratterizzano questo lavoro, denunciando l’allarmante e crescente carenza di personale nei reparti ospedalieri.
Trama
In un ospedale cantonale svizzero l’infermiera Floria Lind affronta un’estenuante giornata di lavoro in reparto tra codici rossi, pazienti dal carattere difficile o in attesa di risposte, richieste di interventi continui e una grave mancanza di personale, a cui è stato possibile rimediare col solo inserimento di un’inesperta dottoranda. Floria è costretta quindi a dividersi tra i bisogni di tutti, pazienti vecchi e nuovi, in attesa della guarigione o del trapasso, in una battaglia su di un terreno fatto di pavimenti lucidi, disinfettanti, analgesici, sangue, feci e eruzioni cutanee improvvise. Una corsa contro il tempo per la vita o per la morte degli altri, nel tentativo di rendere invisibile ciò che Floria prova e sente, e col rischio di un crollo che pare essere perennemente in agguato.
La voglia di realizzare questo film nasce da un’esperienza personale molto forte: Volpe ha vissuto a stretto contatto con un’infermiera, che le ha mostrato le questioni esistenziali e il peso emotivo legato a questa professione. Questa convivenza le ha fatto scoprire una realtà segnata da una continua tensione tra la vita e la morte, la malattia, la perdita e la cura, che lei stessa, come sceneggiatrice, affrontava solo in modo più astratto e lontano. Una spinta decisiva è arrivata anche dalla lettura di un libro scritto da un’infermiera tedesca che raccontava un turno di lavoro minuto per minuto: già alle prime pagine Volpe ha sentito un battito forte, convinta che quella doveva essere la struttura e la forma del suo film – un racconto concentrato su un singolo, intense ore di turno.
Volpe racconta innanzitutto come il film nasca dalla volontà di mettere sotto i riflettori un ruolo che nella realtà “sta davvero accanto al paziente, 24 ore su 24, in silenzio, dietro le quinte della cura.” Rimarca come l’infermiere non sia solo un esecutore tecnico, ma “la persona che sostiene, regge e accompagna il malato nel quotidiano, molto più del medico, che spesso arriva solo per la diagnosi o il trattamento.” Questa presenza costante, spiega, è un lavoro “fisico, emozionale, un impegno totale che raramente trova riconoscimento sociale o economico.”
La regista sottolinea con forza la dimensione di genere che contraddistingue la professione e cene offre una chiave di lettura originale: “L’infermieristica è da sempre un campo femminile, spesso sottopagato, poco valorizzato e vittima di stereotipi che ne limitano l’attrattiva anche per gli uomini.” Per Volpe, questo è “un vero problema culturale e lavorativo: aumentare la diversità di genere nel settore potrebbe contribuire anche a una migliore considerazione e a salari più equi.”
Dal punto di vista narrativo, l’intervista mette in luce l’attenzione profonda di Volpe a restituire con precisione e intensità l’esperienza reale degli infermieri. Ha voluto sviluppare un linguaggio cinematografico capace di far vivere allo spettatore “la pressione, la fatica, la mancanza di pause che caratterizza ogni turno.” La scelta dei lunghi piani sequenza serve proprio a questo, spiega la regista: “Volevo che lo spettatore sentisse il respiro serrato di Floria, la protagonista, condividesse il suo ritmo incessante, quasi a soffocare con lei in quelle ore senza tregua.” In questo modo la narrazione non è solo un racconto, ma diventa un’immersione fisica e emotiva nell’ambiente ospedaliero, che è “un luogo vivo, quasi un personaggio, fatto di caos, dolore, ma anche di momenti di cura profonda e umanità.”
Volpe evidenzia inoltre il tema della crescente violenza cui gli infermieri sono purtroppo esposti: “Spesso si trovano a fronteggiare pazienti e parenti stressati, impazienti, a volte aggressivi, che non comprendono la complessità e la fatica del loro lavoro.” Il film non elude queste difficoltà, ma le mette in scena con realismo, senza tuttavia perdere di vista la passione e la dedizione che rendono questo lavoro un “atto di vero amore e responsabilità.”
La regista parla infine con complicità e ammirazione dell’attrice Leonie Benesch, che porta in scena la protagonista Floria con una performance intensa, che sa coniugare fragilità e forza, combattività e vulnerabilità, restituendo tutta la complessità di un mestiere che richiede resistenza fisica ed emotiva.
L’intervista offre una riflessione profonda e articolata sul lavoro infermieristico, vista attraverso gli occhi di chi ha scelto di raccontarne il valore nascosto con un film che vuole far sentire, davvero, “l’ultimo turno” senza un attimo di respiro. Petra Volpe descrive la professione portando sullo schermo la realtà “dietro le quinte” della cura, con tutta la sua fatica, il suo impegno e la sua umanità.
L’ultimo turno ci ricorda che: “Nel 2030 in Svizzera mancheranno 30.000 infermieri qualificati. Il 36% del personale infermieristico di ruolo abbandona il posto entro 4 anni. La carenza di personale infermieristico rappresenta un rischio sanitario globale. L’OMS stima che entro il 2030 mancheranno circa 13 milioni di infermieri nel mondo”.
Il film, per i contenuti che propone e il racconto che ne fa’, potrebbe essere ambientato in qualsiasi realtà italiana e noi non vediamo l’ora di andare a vederlo.
Andrea Tirotto
vedi il trailer in italiano del film