Infermieri e medici, + 400 per cento di dimissioni. Ecco l’identikit di chi lascia il lavoro
Secondo il Bureau of Labor Statistics degli Stati Uniti, 4 milioni di americani hanno lasciato il lavoro nel luglio 2021. Le dimissioni hanno raggiunto il picco ad aprile e sono rimaste anormalmente alte negli ultimi mesi, con un record di 10,9 milioni di posti di lavoro aperti alla fine di luglio.
In Italia sono due milioni e 587 mila i lavoratori che si sono dimessi nel 2021, il 30% in più rispetto al 2020 ed il 6% in più al 2019.
Un fenomeno globale, che è indice di un cambio di direzione importante: nessuno è disposto a lavorare a determinate condizioni, nonostante il mercato del lavoro non sia flessibile come quello americano e cambiare impiego possa essere più complicato.
I settori al top di dimissioni sono, l’industria manifatturiera, le costruzioni e la sanità, dove lo stress pandemico ha portato al +400% di dimissioni tra medici ed infermieri.
Migliaia di medici ed infermieri, hanno deciso di appendere la divisa al chiodo e migrare verso un lavoro più soddisfacente, con tempi di vita più umani e con un carico di stress minore.
Una vera e propria fuga, dai turni massacranti, dalle retribuzioni inadeguate, iniziata prima dell’avvento del Covid, ed esacerbata da quest’ultimo.
Uno studio che ha coinvolto sette Paesi Europei, ha dimostrato che in Italia, Francia e Germania, ci sono i più alti livelli di intenzione di lasciare la professione infermieristica.
Uno studio italiano, ha rilevato che il 34,4% degli infermieri prevede di lasciare l’ospedale ad un anno dell’assunzione ed il 43,8% aveva inviato richiesta di trasferimento.
La letteratura ha dimostrato che l’intenzione di abbandonare la professione nasce da una condizione psicologica negativa di risposta alle condizioni organizzative di lavoro.
In aggiunta all’abbandono della professione, l’altra risposta al malessere psicologico è anche l’elevato turnover degli infermieri, con lo spostamento da una unità operativa all’altra, all’interno dello stesso ospedale.
Questi tassi elevati di turnover portano a disfunzioni a livello organizzativo con un aumento dei costi e maggiori carichi di lavoro per il personale in servizio e di conseguenza un impatto negativo sul benessere psico-fisico degli infermieri ed una peggiore qualità dell’assistenza.
Lo studio in merito è stato condotto in due ospedali del Sud Italia, in 22 unità operative, tra medicine e chirurgie.
Sono stati coinvolti 389 infermieri e 181 pazienti, maggiori di 18 anni e che avessero passato due o più notti nell’unità operative: a questi è stato somministrato un questionario.
Lo studio ha analizzato a relazione tra soddisfazione lavorativa ed abbandono della professione e tra l’abbandono della professione e le ripercussioni sulla soddisfazione del paziente in merito all’assistenza ricevuta.
Da quanto emerso l’insoddisfazione lavorativa è uno dei principali motivi dell’alto turnover degli infermieri, con effetti negativi sui pazienti.
L’insoddisfazione lavorativa e la volontà di lasciare la professione producono un minor impegno sul lavoro, con un impatto negativo sull’assistenza ai pazienti.
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha recentemente pubblicato i dati sulle cessazioni dei rapporti di lavoro nel secondo trimestre del 2021. Quello che emerge è che c’è stata una crescita tendenziale del +43,7%, In particolare tra aprile e giugno c’è stato un incremento delle cessazioni che ha fatto registrare 2 milioni 587mila chiusure dei rapporti lavorativi.
Quali sono le ragioni dell’abbandono del posto di lavoro?
Pronti a lasciare il lavoro, anche senza avere un’altra opportunità in mano. Cosa spinge i lavoratori a lasciare l’impiego?
Nello studio dell’IBM Institute for Business Value (IBV) – che ha coinvolto 14mila lavoratori di tutto il mondo – è emerso che le principali ragioni che portano le persone a dare le dimissioni sono la necessità di lavorare in una realtà più flessibile (32%), e la volontà di avere anche incarichi più mirati e soddisfacenti (27%), ed ancora stipendi non in linea con le competenze, orari di lavoro inumani, condizioni di lavoro che non rispettano gli standard di sicurezza. Nello scegliere il nuovo posto di lavoro, quello che guardano le persone è l’equilibrio tra lavoro e vita privata (51%) e le opportunità di avanzamento di carriera (43%). Inoltre, più del 40% ha sottolineato che l’etica e i valori del datore di lavoro sono importanti.
L’identikit di chi si dimette dal lavoro
Un articolo di Francesco Armillei, assistente alla ricerca alla London School of Economics, su La voce.info, delinea l’identikit del lavoratore che oggi è disposto a dare le dimissioni. A lasciare il lavoro, sono più gli uomini delle donne, in una fascia d’età che va dai 50 ai 64 anni e con un titolo di istruzione elevato, anche se la percentuale non si discosta molta da chi ha un titolo di studio inferiore. Ad essere abbandonato, per lo più, non è il posto fisso, ma il contratto a termine.