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Il 25 aprile delle infermiere: ci siamo prese cura della libertà

Vincenzo Rauccidi
Vincenzo Raucci
Pubblicato il: 24/04/2024 vai ai commenti

AttualitàLa nostra storia

Dall’8 settembre 1943 al 2 maggio 1945 si combatté in Italia quella che viene comunemente ricordata come la “lotta partigiana contro il nazifascismo”.

Oggi, 25 aprile 2024, il nostro Paese celebra il 79° anniversario della “liberazione dal nazifascismo”.

Noi della redazione di InfermieristicaMente ci uniamo a tutte le italiane e gli italiani per celebrare i nostri patrioti, ricordando il particolare apporto che le donne hanno dato alla guerra di liberazione e, più, in particolare, tutte quelle donne che hanno ricoperto il ruolo di infermiere.

Diplomate, volontarie, crocerossine o nominate semplicemente sul campo, in base ai compiti di volta in volta assegnati dai responsabili dei vari gruppi partigiani, possiamo definire “infermiere” (ci perdonino i puristi) tutte quelle partigiane che compaiono nelle schede ufficiali dell’ANPI come infermiere.

Abbiamo scelto di non sottilizzare troppo con l’intento, forse più nobile, di omaggiare le azioni eroiche più che i titoli, la sostanza più che la forma.

Abbiamo, cioè, deciso di comprendere, nel vasto gruppo, tutte quelle donne che, come suggerisce “romanticamente” il titolo, si sono “prese cura della libertà”, ovvero hanno svolto un ruolo di cura e/o di supporto all’interno di equipe sanitarie, più o meno strutturate, più o meno improvvisate.

Come, ad esempio, Chiara Arduino (1914-2002), infermiera all’ospedale partigiano di Valcona Sottana (IM). Moglie del più noto Mario Baldo Nino Siccardi (detto “u Curtu”), comandante della IXa Brigata Garibaldi, assisteva i partigiani feriti e si prendeva cura delle due loro bimbe, nate nel 1940 e nel 1942, che seguirono tutti gli spostamenti degli eroici genitori, su e giù per i monti e le valli dell’Imperiese.

Oppure come Gemma Missaglia (1921-1945) la cui scelta, come molte altre partigiane infermiere, fu quella di mettere le sue conoscenze e le sue abilità a disposizione dei più deboli, dei feriti e delle tante persone che caddero vittime di scontri. Partecipò ai giorni della Repubblica dell’Ossola e poi alla dura ritirata delle formazioni partigiane che, sotto la neve, insieme ai profughi civili, avevano superato i passi verso la Svizzera. Morì di stenti il 31 marzo 1945, dopo un servizio attivo nelle file della Resistenza di 7 mesi e 15 giorni. 

O, ancora, Maria Peron (1915-1976), probabilmente la più nota tra le infermiere partigiane italiane che ha effettuato attività di supporto alla resistenza dapprima all’Ospedale di Niguarda e poi sui monti dell’Ossola. Le venne conferito il grado di Medico di Brigata per il suo coraggio e la sua dedizione salvando e assistendo partigiani, prigionieri di guerra e spesso villeggianti. Pur vivendo la resistenza in costante pericolo non volle mai portare con sé un’arma.

Tra le infermiere partigiane ricordiamo anche Teresa Roncarolo, detta “Gina” (1919-?) infermiera presso l’Ospedale Maggiore di Vercelli, ora noto come Ospedale S. Andrea, la quale, sprezzante del pericolo, rifornì di ferri chirurgici e materiale vario le medicherie partigiane sui monti di Crevacuore (BI) in modo da permettere ai medici di poter operare in loco e in urgenza i partigiani che non potevano arrivare agli ospedali.

E ci piace ricordare anche Teodora (Dora) Focaroli (1915-1994). Dora era infermiera sempre: sia durante l’orario di lavoro, all’interno dell’Ospedale Israelitico dell’isola Tiberina, a Roma, sia nel tempo libero, nel quartiere ebraico, dove non si sottraeva alle tante richieste di aiuto. La nostra eroina diede supporto anche a molte famiglie di ebrei e accolse sfollati fino al momento della liberazione di Roma avvenuta il 4 giugno del 1944.

Durante la ricerca delle infermiere partigiane ci siamo imbattuti anche in infermieri maschi: la cosa non era frequente, poiché gli uomini, tra i partigiani, erano impegnati soprattutto in attività di sabotaggio e lotta armata. Ma qualcuno lo abbiamo rintracciato. Come, ad esempio, i fratelli Sante (1906-?) e Carlo Simionato (1914-?) che prestarono la loro opera nella Casa di Cura per Malattie Mentali Villa Turina-Amione, sita a San Maurizio Canavese (TO). Il direttore era nientedimeno che il prof. Carlo Angela (1875-1949), padre del noto divulgatore della RAI Piero Angela (1928-1922). In quella Casa di Cura i tre, con l’aiuto del resto del personale, diedero rifugio e salvezza a numerosi ebrei facendoli passare per pazienti della clinica.

Ma sono molte le infermiere che andrebbero ricordate, come Imelde Rossetti (1908-?) e Stella Tozzi (1911-?) di Bologna, oppure Virginia Tonelli (1903-1944) e Cecilia Deganutti (1914-1945) di Trieste, Bambina Villa (1916-2009) di Monza, Anna Maria Mascherini (1924-1945) di Voghera, Clorinda Menguzzato (1924-1944) di Trento, Lucia Davoli (1920-2000) di Reggio Emilia e tante altre ancora.

Ma di loro parleremo, ve lo promettiamo, nelle prossime settimane.