Assegnò codice verde a paziente asmatica: Cassazione condanna infermiera a risarcimento
La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha chiuso ieri, con la sentenza n. 188/2025, un caso che da anni solleva interrogativi sul ruolo e i limiti delle responsabilità infermieristiche nei pronto soccorso italiani. I giudici hanno rigettato i ricorsi presentati da un'infermiera e dalla ASL Toscana, confermando in via definitiva la condanna al risarcimento per la morte di una paziente asmatica, deceduta nel marzo 2012 dopo un errato triage e un ritardo nell’intervento medico.
I fatti
Tutto è accaduto nella notte tra il 16 e il 17 marzo 2012, presso un ospedale toscano. La paziente, affetta da asma, giunse al Pronto Soccorso in condizioni già critiche. L'infermiera addetta al triage, però, le attribuì un codice verde, valutando il caso come differibile. Secondo quanto ricostruito, la paziente fu lasciata in attesa per circa 15 minuti prima che venisse visitata da un medico. Pochi minuti dopo, nonostante il trasferimento in shock room, morì per arresto cardio-respiratorio.
La Corte d'Appello di Firenze, nel 2022, aveva riconosciuto l’intervenuta prescrizione penale per l’imputata, ma confermato la sua responsabilità civile insieme a quella della ASL Toscana, condannandole al risarcimento in solido dei danni alle parti civili.
La tesi difensiva e il ricorso
Il ricorso in Cassazione si fondava su più motivi: l’erronea applicazione delle linee guida sul triage, l’insufficiente motivazione del giudizio di colpa, e l’assenza di un vero nesso causale tra la condotta omissiva e il decesso. Gli avvocati della difesa hanno contestato che non spettasse all’infermiera formulare diagnosi e che le informazioni raccolte fossero state in linea con i protocolli. Inoltre, hanno sostenuto che la visita medica era avvenuta rapidamente (alle 00:16) e che l’attribuzione del codice verde non avesse inciso causalmente sul decesso.
La decisione della Cassazione
La Suprema Corte ha demolito le censure una ad una. Ha confermato che, pur senza obbligo diagnostico, l’infermiera era tenuta ad annotare dettagli fondamentali come la difficoltà respiratoria, la disfonia e la disabilità motoria della paziente – tutti elementi che avrebbero imposto l’attribuzione di un codice più urgente.
"Il compito dell’infermiere – scrive la Corte – non si limita alla meccanica compilazione delle schede, ma comporta anche un giudizio di gravità basato sui sintomi riscontrati", osservando che la mancata segnalazione del peggioramento avrebbe impedito un intervento medico tempestivo e l’anticipazione della terapia salvavita.
Quanto al nesso di causalità, i giudici hanno riconosciuto che l’assegnazione del codice verde ha concretamente contribuito al ritardo nell’attivazione delle cure. Richiamando la giurisprudenza sull’“alta probabilità logica”, hanno ribadito che, in assenza dell’omissione, l’evento lesivo sarebbe stato evitabile.
La condanna
La Cassazione ha così dichiarato inammissibili i ricorsi e ha condannato le parti ricorrenti – l’infermiera e la ASL Toscana – al pagamento delle spese processuali, per un totale di oltre 11.000 euro a favore delle parti civili.
Una sentenza destinata a fare giurisprudenza. Rafforza l’idea che, anche nei contesti di emergenza, l’omissione di informazioni critiche da parte del personale sanitario può costituire una violazione grave dei doveri professionali, con conseguenze non solo etiche, ma giuridiche.