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Infermieri in fuga: il nuovo rapporto OMS fotografa l’Europa e mette l’Italia tra i fanalini di coda

Andrea Tirottodi
Andrea Tirotto
Pubblicato il: 19/09/2025

Professione e lavoroSocietà scientificheStudi e analisi

19/09/2025

E’ stato pubblicato il 17 settembre scorso sul sito ufficiale dell’OMS, il rapporto sulla migrazione del personale sanitario nella regione europea.

Il rapporto conferma che la migrazione delle professioni infermieristiche nella Regione Europea è un fenomeno in continua evoluzione che sta rimodellando i sistemi sanitari della regione. Tra il 2014 e il 2023, il numero di infermieri formati all’estero e impiegati nei Paesi europei è cresciuto del 67%, con un aumento degli ingressi annuali quasi quintuplicato rispetto al 2012, nonostante una temporanea flessione durante la pandemia di Covid-19. Questa crescita riflette la crescente domanda di personale infermieristico, soprattutto nei Paesi ad alto reddito, dove la carenza di infermieri è particolarmente sentita.

Paesi come Irlanda, Svizzera e Regno Unito mostrano una forte dipendenza dagli infermieri migranti, che rappresentano rispettivamente il 52%, 27% e 23% della forza lavoro infermieristica. Germania, Regno Unito e Irlanda si confermano le principali destinazioni, attrattive per professionisti provenienti da regioni d’Europa dell’Est e del Sud, così come dall’Asia sud-orientale e dall’Africa sub-sahariana. La migrazione infermieristica è diventata un sistema complesso di spostamenti multidirezionali e circolari spesso influenzati da fattori linguistici, culturali e geograficamente prossimi.

Parallelamente, la crescente carenza di infermieri sta creando uno squilibrio significativo in Europa, con una previsione preoccupante: entro il 2030 si stima che mancheranno circa 950 mila operatori sanitari tra medici e infermieri. Attualmente, nei Paesi dell’Unione Europea lavorano circa 4 milioni di infermieri, ma vi sarebbe bisogno di oltre un milione e mezzo in più per garantire una copertura adeguata, soprattutto per l’assistenza a persone con malattie croniche, palliativa e psichiatrica. La distribuzione degli infermieri per mille abitanti varia notevolmente, passando da valori elevati in Finlandia, Irlanda e Germania, a livelli critici in Italia, Grecia, Polonia e Bulgaria, con la Grecia che si conferma il fanalino di coda.

Il quadro in Italia è particolarmente critico e allineato a questa tendenza europea. Secondo l’OMS, il Paese mostra una carenza significativa di infermieri: la densità di infermieri per abitante è tra le più basse d’Europa (6,3 ogni 1000 abitanti) e si registra una distribuzione territoriale molto disomogenea con regioni meridionali e centrali svantaggiate. Un problema ulteriore è l’invecchiamento della categoria infermieristica, con circa la metà degli operatori sopra i 50 anni e molti prossimi alla pensione, mentre il ricambio generazionale è lento a causa di scarso interesse verso la professione e limitate opportunità.

L’infermieristica italiana soffre anche di salari inferiori alla media europea e di condizioni lavorative spesso difficili, che contribuiscono a un crescente fenomeno di migrazione verso altri Paesi europei più attrattivi per stipendi e condizioni di carriera. Questo genera una perdita netta di professionisti formati, aggravando ulteriormente le carenze interne e generando un circolo vizioso. Le strutture sanitarie sono spesso sotto pressione per carichi di lavoro elevati, burnout e problematiche legate alla sicurezza sul lavoro, con frequenti dimissioni volontarie e difficoltà nell’attrarre nuovi ingressi.

La migrazione infermieristica non è semplicemente un movimento da Sud a Nord o da Est a Ovest, ma riflette dinamiche più articolate, con scambi anche tra Paesi vicini e ritorni temporanei nel Paese di origine che possono indebolire i sistemi sanitari dei Paesi di origine, con gravi conseguenze nella qualità e accessibilità delle cure, specialmente in aree meno sviluppate.

Per far fronte a queste sfide, diversi Paesi europei hanno adottato strategie mirate. L’Irlanda, per esempio, investe nella formazione interna per ridurre la dipendenza dalla migrazione. Malta ha sviluppato programmi di integrazione linguistica e culturale per facilitare l’ingresso e la permanenza degli infermieri stranieri. A livello europeo cresce altresì la necessità di politiche condivise per un reclutamento internazionale etico, per il miglioramento delle condizioni lavorative e per la pianificazione del personale sanitario, con sistemi di monitoraggio più efficaci dei flussi migratori.

La migrazione degli infermieri è una realtà complessa, che può offrire contemporaneamente opportunità e sfide per la sostenibilità dei sistemi sanitari europei. Solo un approccio coordinato, basato su dati affidabili e azioni politiche condivise, potrà garantire la resilienza dei sistemi sanitari, la qualità delle cure e la tutela sia degli operatori migranti sia delle comunità di origine.

E in Italia a quali strategie concrete si punta oltre che continuare nell’infinito dibatti su buoni propositi e poco altro?

 

Andrea Tirotto