La Dialisi nel neonato: è italiana la paternità della “CarpeDiemâ€...
di Marialuisa Asta
Lavoro da parecchi anni nell’Unità Operativa di Dialisi, e se a molti questo tipo di disciplina può apparire ostica, o per lo più noiosa perché apparentemente routinaria, vi posso assicurare che non lo è per niente; se l’approccio a questa branca della medicina è mosso da passione, curiosità e rigore scientifico, agli occhi di vi lavora si apre un mondo affascinante e dinamico, tutt’ altro che monotono.
La dialisi è un susseguirsi di equilibri, di volumi, di elettroliti da dosare, un mondo fisico e matematico al millesimo, che permette a tutti gli apparati di funzionare correttamente.
Ho sempre lavorato con gli adulti, ed in due articoli precedenti in questa rivista, ho avuto modo di parlarne; da qualche tempo invece ho deciso di approcciarmi, almeno teoricamente per adesso, alla dialisi Neonatale, specie dopo aver appreso dalle riviste scientifiche di Nefrologia, della nascita della CarpeDiem, la prima macchina da dialisi per Neonati, la cui paternità è Italiana, messa a punto dal Professore Claudio Ronco, vicentino, il primo Nefrologo al mondo per importanza.
Ma andiamo per ordine, parlando della dialisi neonatale e dell’importanza della creazione di una macchina ad hoc per il Neonato.
Lo Scompenso Metabolico Acuto nel neonato è una delle maggiori cause di inizio trattamento dialitico.
L’esordio dello scompenso metabolico è molto precoce, di solito in 2a- 3° giornata, di norma associata alle patologie metaboliche è l’iperammoniemia.
Il riconoscimento dell’iperammoniemia nel periodo neonatale è una emergenza clinica, perché se non riconosciuta e trattata, presenta un elevato tasso di morbidità e mortalità. L’intervento precoce nel neonato con scompenso metabolico acuto iperammonieminico con sintomi neurologici è imperativo poiché con una ammoniemia inferiore ai 400 mmol/l i danni possono essere ancora reversibili, infatti l’ammonio altamente diffusibile nei liquidi biologici, determina danni irreversibili a carico del SNC dopo esposizioni a valori tossici per più di quarantotto ore.
L’approccio allo Scompenso Metabolico acuto deve essere un approccio multidisciplinare, dietetico- farmacologico/dialitico e soprattutto tempestivo, allo scopo di ridurre al massimo il tempo di esposizione ai metaboliti tossici.
Questo al fine di prevenire gli Handicap ed il miglioramento della prognosi quoad vitam nei neonati affetti.
Le linee guida terapeutiche indicano che, per un paziente con iperammoniemia 30 ore si procede all’ inizio immediato della dialisi.da 30 ore si procede all’ inizio immediato della dialisi.
Il razionale nel cominciare il trattamento dialitico è la somiglianza chimica che l’ammonio ha con l’urea:
- Piccolo peso molecolare
- Elevata diffusibilità nei tessuti
- Diffusibilità elevata attraverso le membrane di dialisi.
Agli albori la dialisi utilizzata fu quella Peritoneale, ma questa nonostante fosse più semplice da allestire e non richiedesse particolare assistenza medico – infermieristica, aveva parecchi contro, quello di maggiore rilevanza era ed è la depurazione ed ultrafiltrazione lenta, e non tempestiva, fondamentale invece per il neonato.
Per cui si pensò di passare al trattamento Emodialitico, o meglio alla CVVHD, Emodiafiltrazione veno-venosa continua, tecnica emodialitica utilizzata nelle terapie intensive dell’adulto e del bambino.
Essa ha tutti i vantaggi dell’emodialisi per efficienza e rapidità, eseguibile al letto del paziente e con una depurazione soft 24 ore su 24.
Ma nonostante le buone intenzioni, questa emodialisi tarata sugli adulti, risulta essere inadatta per i neonati di peso inferiore a 3 kg, configurando gravi rischi di scompenso e fallimenti della terapia.
E’ da qui che nasce il progetto CARPEDIEM (acronimo di Cardio-renal, Pediatric DialysisEmergency Machine), innovativo macchinario, studiato all’ospedale San Bartolo di Vicenza, che nasce da anni si studi del Professore Claudio Ronco, primario di Nefrologia a Vicenza, lo stesso medico che studia il Rene indossabile.
La Carpediem, che contiene nel nome, la speranza di cogliere quel giorno in più, che ti strappa ad un destino infausto, è stata finanziata da una catena di solidarietà che parte da sponsor privati, associazioni di volontariato, associazioni dei malati.
Una grande solidarietà per una malattia “orfana”, perché come tutte le patologie con un numero limitato di casi da trattare, non trovava l’interesse delle multinazionali. Carpediem è costato 250.000 euro ed è stato realizzato da due aziende emiliane, la Bellco di Mirandola e la Medica di Medolla.
“Originale” in ogni sua parte, la Carpediem è grande come una macchinetta del caffè espresso, miniaturizzata in ogni suo componente, adatta alle dimensioni ridotte del neonato.
Oggi il Professore Ronco, racconta in un libro straordinario, “Carpediem” (Edizioni Colla) la commovente storia di Lisa, la prima bambina salvata da questa grande invenzione, la sua storia personale di Medico e la storia della macchina, in un crescendo di emozioni e che ci ridanno speranza nella vita, nella genialità tutta Italiana, nel Futuro.
Perché forse non tutto è perso.
Dal Corriere della sera:
"Alzo il telino sopra la culla. Lisa gira gli occhi a destra e a sinistra quasi a cercare qualcuno. Quando mi vede si ferma e comincia a succhiare con la bocca come per chiedere il latte. Chiamo un’infermiera e cominciamo a darle il biberon... Succhia, ha fame... È determinata, non molla, come non abbiamo mollato noi".
Lisa è una bambina nata due volte. La prima volta, alla fine di agosto del 2013, a causa d’un parto complicato, aveva una gravissima insufficienza renale. Così grave che pareva irrimediabilmente perduta. Il destino di 90 su cento dei piccoli nati con quei problemi. Come potevano salvarla se non esistevano macchinari per la dialisi dove tutto fosse in miniatura e le multinazionali non erano interessate a metterci soldi per costruirli? La seconda volta, Lisa è nata negli ultimi giorni dell’estate. Quando finalmente chiese il latte. Dopo tre settimane di speranze, angosce, spaventi, notti insonni dei genitori, dei medici, degli infermieri.
La prima neonata al mondo
Da grande potrà raccontarla come un’avventura di cui non ricorderà nulla. Tranne quello che le spiegheranno i genitori. E cioè che è stata la prima neonata al mondo salvata da una macchina costruita apposta per lei e i bambini venuti dopo di lei (il 18 per cento dei «prematuri») all’ospedale «San Bortolo» di Vicenza da un medico che, dopo aver lavorato in America e fatto esperienza in mezzo mondo, è riuscito a metter su una squadra che tiene insieme scienziati di varie discipline.
Si chiama Claudio Ronco, ha diretto il laboratorio del Beth Israel Medical Center di New York, ha pubblicato i suoi lavori sulle più prestigiose riviste scientifiche del pianeta, è finito nel 2014 al primo posto nella classifica dei più importanti scienziati del rene stilata dalla John Hopkins University, insegna in vari atenei italiani, americani e cinesi.
Dove Ronco abbia appreso i primi rudimenti tecnologici lo spiega: riparando antenne, da ragazzo, col suo amico Flavio. Uno dei tanti lavoretti dettati da una curiosità vulcanica che lo spinse a fare «il gelataio, il falegname, l’imbianchino, il riparatore di radio a galena, il meccanico di biciclette, il cacciatore di frodo (non era proprio un lavoro ma aveva i suoi segreti), il bottonaio (avevo comperato un aggeggio per fare bottoni per signore con il tessuto dei loro vestiti), il recuperante di reperti bellici, il raccoglitore di muschio per presepi».
Un miscuglio di interessi che gli sarebbe tornato utile per capire quanto le divisioni in compartimenti stagni di una volta tra medici e ingegneri e sistemisti e programmatori «non abbiano alcun senso». Come la notte in cui, per salvare Lisa, decise di mettere in parallelo due Carpediem, inventando al momento come farli funzionare insieme: «Ci mettiamo a modificare il circuito in piena notte. Forbici sterili, connettori, tubi e filtri: sembriamo idraulici e, date le minime dimensioni, anche orologiai...
Leggere questo libro non solo commuove, ma alimenta in tutti noi la voglia di studiare, di mettere a disposizione del paziente tutta la nostra esperienza e genialità, lavorare non solo come molti fanno, per far sì che si concluda in fretta il turno, ma lavorare per realizzare, per creare, per migliorare le condizioni di vita dei nostri malati. L’esperienza del Professor Ronco mette in evidenza come fare équipe sia un vantaggio, perché il gruppo spesso è fonte di energia e di risorse, e per esperienza non c’è miglior modo di realizzare un buon lavoro se non in un gruppo multidisciplinare in un continuo brain storming.
Ne consiglio vivamente la lettura non solo a chi come me opera in dialisi, ma a tutti i colleghi, perché è una iniezione di Fiducia, in una sanità sana e non come siamo abituati a vederla, affarista e corrotta.