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Tra le pillole bianche, gialle e blu, una Rosa Rossa

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 15/02/2016

Narrative Nursin(d)g

Se lo guardo dall'infermeria quel corridoio mi appare infinito. Lo percorro più volte al giorno, ogni volta in veste diversa; di buon mattino ho il mio carrellino di pillole colorate, ne ho di ogni tipo e nuance, gialle, blu, rosa, arancioni, ad ognuna ho dato un nome, ed ognuna di loro ha il suo principio attivo: felicità, coraggio, pazienza, serenità, grinta, dolce rassegnazione.. le distribuisco ai miei pazienti in base alla prescrizione, qualcuna al bisogno, servono ad affrontare un'altra giornata, di quelle lunghe, tutte uguali, delle quali si perde il senso negli ospedali. Servono a combattere la malinconia, il dolore, la preoccupazione.

A metà del turno mattutino, torno lungo il corridoio, ho un carrellino differente, asettico e grande abbastanza per curare le ferite, le scopro piano, delicatamente, e per ogni tipo di lesione ho la mia cura. Mi addentro con pudore nei meandri delle piaghe, dentro ad ogni taglio, c'è un dispiacere, una pena, un tormento. Le conosco bene, da tempo ormai, le ascolto e le curo tutti i giorni, qualcuna guarirà, altre non si saneranno mai, c'è sempre una piccola ferita che rimane aperta.

Reparto di Medicina Generale 5, ogni giorno affronto quel corridoio, a volte spedita quando è silenzioso e desolato, a volte arranco un po' quando si trasforma in una via crucis di persone che lo affollano e lo rendono impervio.

Li osservo quei volti, hanno tutti la stressa espressione, tesa ed in attesa. Il dolore trasforma i tratti del viso, così come le attese, i minuti diventano ore, le ore sembrano tramutarsi in anni.

A mezzogiorno, la porta in fondo al corridoio si spalanca, la attraversano madri, figli, mogli , fratelli, a volte composti, altre volte meno. Raggiungono con passo deciso, altri incerto, le stanze di degenza, qualcuno si riversa in infermeria: timidamente chiedono, impetuosamente pretendono.

L'ansia ha il potere di trasfigurare le emozioni.

Le parole restano in gola, in un grido soffocato, a fatica e con un flebile filo di voce, cerchi conforto nel primo operatore che ti viene incontro, poco importa chi sia, qualcuno che plachi anche con una bugia, l'inquietudine, questo senso di oppressione; oppure diventi un fiume in piena, un vortice di vocaboli senza nesso, imprecazioni ed invettive, nella speranza che quel gridare riesca a sovrastare il dolore, e che quell'irrequietezza svanisca, schiacciata dalla pretesa di risposte, a volte impossibili da dare.

Ogni qualvolta è come stare in quei videogame di guerra, non sai mai quale forma prenderà l'ansia, e come dovrai modulare le tue di emozioni e le tue risposte, non sai se sia meglio farti investire da un fiume che ha superato gli argini, o provare a nuotare controcorrente tra paure, inquietudini ed interrogativi.

Raccolgo tutta la mia esperienza, tutto quello che ho imparato ai corsi di comunicazione efficace, porgo un sorriso, assumo un tono di voce rassicurante, e provo a raccontarvi che va tutto bene o che abbiamo fatto tutto e lo abbiamo fatto nel migliore modo possibile.

La conosco a memoria ormai la fase che segue la risposta alle vostre domande, all'ansia segue il sospetto; il sospetto che sia reale la nostra rassicurazione sul decorso clinico del vostro congiunto; il sospetto che non abbiamo fatto davvero tutto quello che c'era da fare. Mi accorgo quando mi guardate con aria incredula, quando pensate che io abbia fatto giusto il minimo, perché si sa, in questo ospedale non va bene niente, che siamo scortesi perché non abbiamo tutte le risposte che cercate.

Eppure io sono lì, che mi affanno, su e giù per questo corridoio, tra una pillola ed un'urgenza, tra chi vive e chi sopravvive, tra una morte ed una guarigione, tra le preghiere, i pianti ed i sorrisi.

Sono stata lì, quando c'era da rassicurare, quando c'era da prestare un po' del mio sempre più esiguo tempo alle vostre lacrime. Ero lì, quando il silenzio veniva squarciato dalle urla strazianti di una madre, ed i pugni di un figlio a frantumare un vetro...Ero lì a dirmi che è normale, che è il dolore che irrompe, anche quando ho sentito addosso tutta la furia di chi ha perso ogni certezza, di chi è sentito come in mezzo ad un terremoto, in preda allo sgomento che si fa terrore.

Ed io sono sempre qui, negli infiniti turni , quando sembra che tutto quello che faccio in fondo sia tutto vano, sono lì negli sguardi che mi condannano, negli sguardi e nelle parole di chi non comprende che sto facendo tutto quello che devo, che posso, e anche di più; che non è colpa mia se i governi hanno tagliato i posti letto, che non è colpa mia se siamo sempre di meno ad ascoltarvi, a prenderci cura di voi, che non è colpa mia se hai atteso 12 ore che qualcuno visitasse tuo marito, che oggi continua a vomitare, a vomitare rabbia, a vomitare nelle attese che sono interminabili.

Sono sempre qui nella mia divisa blu e voi alla fine di quel corridoio, e non è mai facile trovare un punto d'incontro tra il mio blu ed il vostro dolore, che diventa anche il mio; non avete idea di come ogni sera, chiusa la porta di casa, io provi a lavare via questo dolore, e non ci riesca mai fino in fondo, i vostri sguardi, le vostre inquietudini sono tutte cucite addosso come una seconda pelle.

Eccomi qui, come ogni mattina, in Medicina Generale 5, tra le pillole bianche, gialle e blu qui sul mio carrellino, qualcuno ha posato una rosa rossa.

Alzo lo sguardo e ci sono rose ovunque, sui comodini accanto ai letti dei miei pazienti, in infermeria, nelle stanze dei medici.

In fondo al corridoio si spalanca la porta, c'è una donna, ha l'aria serena, la riconosco, è la moglie di quel giovane signore che da qualche tempo occupa l'ultima stanza.

Ha in mano ancora alcune delle rose che ha regalato a chiunque, è felice, e ha voluto che tutti fossimo felici con lei stamattina; suo marito è in via di guarigione.

Duecento rose da regalare a chi con professionalità, con senso del dovere e con umanità ha accompagnato lei e suo marito in questo viaggio chiamato “malattia”, permettendogli di uscirne indenni , nel corpo e nell'anima.

Una rosa rossa oggi nel giorno dell'amore, una rosa rossa contro il buio del dolore, il rosso che ha illuminato il blu di questa divisa, che a volte si fa pesante come la corazza di un cavaliere medioevale.

Una rosa rossa in segno di riconoscenza, ad ogni petalo sento il cuore che si fa più leggero, la fatica che si trasforma in linfa vitale, come se in quel fiore ci fosse la ricompensa di una vita intera passata a percorrere quel corridoio in uno slalom tra dolore e morte e speranze.

Oggi Medicina Generale 5 si è tinta di un rosso brillante, ha il profumo del riscatto, per tutte quelle volte che hai perso, che ti sei arresa mentre cercando di salvare una vita, hai curato le anime carezzandole lievemente.

Liberamente ispirato a: In ospedale arrivano 200 rose: "Grazie per aver salvato mio marito