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Sciopero. Diritto conquistato con il sangue, è un dovere Esercitarlo. La storia

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 09/02/2018 vai ai commenti

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di Michela Cavallin

Il diritto di sciopero è stata, senza ombra di dubbio alcuno, la più grande conquista dell’Ottocento ai tempi della rivoluzione industriale nel 1824. Una quarantina di anni più tardi, questa libertà, giunse in Europa accolta in Francia da Napoleone III. In Italia bisognerà aspettare la fine del secolo, ma l’avvento del fascismo cancellò, insieme a tante altre libertà, anche la possibilità di manifestare con l’introduzione dell’art. 18 della legge fondamentale 3 aprile 1926, n 563 che considerava reato penale lo sciopero.

Ricordando nella storia italiana alcuni scioperi:  1904. È il primo sciopero generale in Italia. È indetto contro l’eccidio dei minatori sardi di Burregu (Cagliari): l’esercito ha sparato sui minatori durante lo sciopero e ne ha uccisi quattro. L’Italia resta paralizzata dal 16 al 21 settembre.

Aderiscono i lavoratori di tutte le categorie.

1914 Quella dal 7 al 14 giugno è ricordata come la “settimana rossa”. Si svolgono alcuni scioperi che sembrano un’insurrezione contro lo stato dovuta alle riforme introdotte da Giovanni Giolitti. Dopo la morte di tre giovani manifestanti ad Ancona, uccisi dalla polizia, è proclamato lo sciopero generale. Le proteste si propagano dalle Marche alla Romagna alla Toscana e ad altre parti d’Italia.

1919-1920 Una serie di lotte operaie e contadine culmina con l’occupazione delle fabbriche. Tra gli eventi più significativi, lo sciopero agricolo a Novara, Vercelli, Casale Monferrato, Mortara, Pavia e Voghera che dura cinquanta giorni tra il marzo e l’aprile del 1920 con oltre 180mila lavoratori che danno vita a uno dei conflitti sindacali più lunghi e radicali di tutta la storia del proletariato italiano.

1944 L’adesione allo sciopero generale è superiore a ogni aspettativa ed è il più grande movimento di massa organizzato in Europa durante la guerra nei territori occupati dai tedeschi. Milano e Torino restano paralizzate per otto giorni. Partecipano in tutta l’Italia del nord due milioni di operai. Le rivendicazioni economiche alla base dello sciopero non hanno successo.

1953 La riduzione della manodopera nelle fabbriche che lavoravano il ferro e il licenziamento di molti operai sono tra le cause dello sciopero della Magona, a Piombino. Dopo l’annuncio il 9 febbraio del licenziamento di 500 operai alla Magona, è proclamato uno sciopero di quarantott’ore. Il giorno dopo, i lavoratori che hanno partecipato allo sciopero vengono licenziati.

1956 Il 14 marzo a Barletta la polizia spara su una manifestazione di lavoratori e disoccupati. Muoiono due braccianti.

1960 La camera del lavoro proclama uno sciopero generale nella provincia genovese per il 30 giugno. Nel clima delle proteste per la convocazione a Genova del congresso del Movimento sociale italiano, Sandro Pertini dice: “La polizia sta cercando i sobillatori di queste manifestazioni, non abbiamo nessuna difficoltà a indicarglieli. Sono i fucinatori del Torchino, di Cravasco, della Benedicta, i torturati della casa dello studente”.

1968 L’anno è attraversato da scioperi e manifestazioni e finisce nel sangue. Il 2 dicembre ad Avola, in Sicilia, è indetto uno sciopero generale. Si ferma tutto a sostegno del rinnovo del contratto dei braccianti. Gli studenti raggiungono i blocchi dei braccianti sulle strade. La polizia carica, comincia il lancio dei lacrimogeni, poi gli agenti aprono il fuoco contro i braccianti. Ne muoiono due.

1969-1970 Il ciclo conflittuale raggiunge la sua massima forza politica. Tra i tanti scioperi, quello della Fiat nel 1969. Il 6 luglio 1970 tutto culmina nella caduta anticipata del governo di Mariano Rumor dopo la proclamazione di un nuovo sciopero generale unitario per il 7 luglio.

1982 Il 25 giugno viene decretato lo sciopero generale per protestare contro la decisione di Confindustria di eliminare la scala mobile.

2002 Il 16 aprile l’Italia si ferma per il primo sciopero generale dopo vent’anni. Lo sciopero è annunciato da Sergio Cofferati contro la riforma dell’articolo 18. Dividiamo questa breve nota sul diritto di sciopero in due parti: la prima riguarda il periodo che va dalla promulgazione della Costituzione (1948) all’entrata in vigore della Legge n. 146 del 1990 (regolamentazione del diritto di sciopero per gli addetti ai servizi pubblici o di pubblica utilità); la seconda che va da tale legge ai giorni nostri. 
Mentre il codice penale fascista inseriva lo sciopero fra i reati, al pari della serrata, e come tale lo puniva, la Costituzione della Repubblica ne fa un diritto (art. 40): “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”. La serrata rimane un reato. Poiché il Parlamento non varò la prevista legge, per 43 anni Ricordiamo che lo “Statuto dei Lavoratori” (Legge 20 maggio 1970, n. 300) ha accettato questo dato di fatto, demandando al giudice di definire e punire eventuali comportamenti scorretti nell’esercizio di questo diritto. 
Dichiarando lo sciopero un diritto, l’ordinamento italiano ne ha riconosciuto la legittimità contro la vecchia obiezione secondo la quale essendo lo sciopero un’interruzione del lavoro, si configurerebbe come un’inadempienza agli obblighi sottoscritti dal lavoratore o dai suoi rappresentanti col contratto di lavoro. 
Titolari del diritto di sciopero sono i lavoratori dipendenti, privati e pubblici. L’astensione dal lavoro dei lavoratori autonomi ha dato origine a interpretazioni contrastanti: alcune sentenze giudicano lo sciopero un diritto esclusivamente collegato al rapporto di lavoro subordinato, altre sentenze giudicano che la sospensione della prestazione lavorativa per la tutela dei propri interessi sia un diritto anche di quei lavoratori che hanno una situazione contrattuale spesso individualizzata, ma comunque di rapporto subordinato, quali prestatori d’opera associati in cooperativa, agenti di commercio, assicuratori, ecc. Ovviamente non può considerarsi sciopero l’astensione del lavoro dei liberi professionisti. 
Particolari problemi ha creato in passato e crea anche oggi la posizione dei pubblici dipendenti e dei dipendenti di enti o aziende che gestiscono servizi di pubblica utilità. Per 43 anni, in assenza di una legge in merito, la giurisprudenza ha oscillato tra l’applicazione dell’articolo 330 del codice penale che originariamente considerava l’astensione dal lavoro da parte di questa categoria di lavoratori un reato punibile con la reclusione fi no a due anni, aumentabile per “i capi e i promotori” da due a cinque anni, e un’interpretazione che ammette, anche per questi lavoratori l’esercizio del diritto di sciopero limitatamente all’aspetto economico, purché tale esercizio “non comprometta funzioni e servizi pubblici essenziali, aventi carattere di preminente interesse generale”. Ed è quest’ultima l’interpretazione prevalente. 
In assenza di una regolamentazione legislativa, la proclamazione dello sciopero può essere deliberata dal sindacato, ma anche da una assemblea di lavoratori, da un comitato di lavoratori e non necessita di comunicazione preventiva al datore di lavoro, salvo il caso che la sospensione del lavoro possa provocare danni alle persone e agli impianti. Un caso particolare riguardava i controllori di volo, obbligati al preavviso anche prima della regolamentazione attualmente in vigore. 
 Per quanto concerne il picchettaggio, usualmente attuato nella maggior parte degli scioperi, esso viene generalmente considerato una forma tipica dell’esercizio del diritto di sciopero, e quindi un atto legittimo, a con dizione che esso sia limitato a una pacifica dimostrazione per convince re altri lavoratori a non lavorare e non trascenda in atti di violenza. 
Durante il periodo di sciopero il lavoratore non ha diritto alla retribuzione.. 
Lo Statuto dei lavoratori 
La Legge 20 maggio 1970, n. 300, nota come Statuto dei lavoratori, non è particolarmente indirizzata verso la tutela e la disciplina del diritto di sciopero. Tuttavia, nel quadro della definizione dei diritti propri del lavoratore sul luogo di lavoro e nel rapporto di lavoro, la legge prevede (art. 28) sanzione per il datore di lavoro che ostacoli l’esercizio di sciopero o metta in atto rappresaglie contro chi abbia legittimamente esercitato tale diritto. 
Va ricordato che, con Decreto Legge n. 165 del 2001 quanto sancito dallo Statuto del Lavoratori è stato esteso ai dipendenti pubblici
La legge n. 146 del 1990 
Soltanto nel 1990 il Parlamento ha approvato la legge di regolamentazione della sciopero nei servizi pubblici definiti essenziali, modificandola successivamente con la legge n. 83 del 2000. Secondo la legge, per servizi essenziali devono intendersi quelli erogati da enti, istituzioni, imprese private abilitate a gestire un pubblico servizio in alcuni settori, tra i quali: sanità, igiene pubblica, protezione civile, ecc , con l’evidente intento di ridurre il ricorso allo sciopero, la legge prevede l’obbligo di inserire nei contratti collettivi procedure di conciliazione obbligatorie prima della proclamazione dello sciopero, alle quali possono sostituirsi l’intervento del Ministero del lavoro, delle Prefetture, delle amministrazioni comunali, se la vertenza in atto abbia carattere nazionale, provinciale o comunale. 
Se, a giudizio del Ministero o della autorità prefettizia vi sia il pericolo che lo sciopero in uno dei servizi pubblici sopra elencati rechi grave ostacolo al diritto dei cittadini di fruire di tali servizi, il Prefetto può “precettare” la sospensione dello sciopero e la ripresa del lavoro.

 

Ph credit: da MuseoTorino