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Terapia intensiva aperta: il progetto degli Infermieri di Aniarti. La proposta di Legge

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 14/07/2018

Attualità

Una terapia intensiva aperta , dove l’interazione tra pazienti, familiari e personale sanitario diventa curativa.

Si torna a discutere in Commissione Affari Sociali alla Camera, della proposta di Legge che rende la Terapia Intensiva più umana: porte aperte ai familiari dei pazienti per 12 ore se questi ultimi sono adulti e per 24 ore se i ricoverati sono bambini.

Esempi in Italia di Terapia intensiva aperta sono il Niguarda di Milano per i neonati, il Gemelli di Roma, il San Giovanni Bosco di Torino e l’Humanitas Gavazzeni di Bergamo; ancora troppo pochi.

Nel nostro Paese solo il 10% delle Terapie intensive è aperta.

Eppure la letteratura medica accreditata ha tra le evidenze scientifiche l’utilità dell’aprire la l’unità operativa:

abbassa lo stress di pazienti e parenti, riduce i tempi di degenza, alleggerisce il carico dell’assistenza e prepara il ritorno a casa.

Purtroppo le resistenze sono ancora tante, specialmente da parte degli operatori sanitari, che vedono nei parenti qualcuno da cui difendersi e tenere lontano, piuttosto che qualcuno con cui collaborare.

Per questo c’è bisogno di sensibilizzare tutti gli operatori sul tema ed avviare corsi di formazione per affrontare al meglio ed in modo utile questa diversa impostazione del lavoro.

Aniarti, che raggruppa 1.800 infermieri di Area Critica, ha attivato un ambizioso progetto di sensibilizzazione e di formazione, confluito sul sito web www.intensiva.it.

 

L’Humanitas Gavazzeni di Bergamo lavora dal 2015 al progetto di umanizzazione della terapia intensiva, partito gradualmente, con la mobilizzazione precoce del paziente, per un ritorno a casa precoce, il progetto si è ampliato con l’ingresso facilitato dei parenti e tanti piccoli accorgimenti strutturali importanti come:

luce naturale e non luce artificiale e lampade per la notte che favoriscono il ritmo sonno-veglia, colori tenui alle pareti, aree per la comunicazione.

Ed ancora, l’uso del tablet e del telefono per i pazienti, una dieta più gustosa e vicina al gusto dei ricoverati.

 

Da Avvenire