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Il tallone degli infermieri: la classe politica

Vincenzo Rauccidi
Vincenzo Raucci
Pubblicato il: 20/07/2021 vai ai commenti

AttualitàProfessione e lavoroPunto di Vista

Secondo il mito, la madre di Achille immerse il figlio, quando era bambino, nella acque del fiume Stige con il proposito di renderlo immortale, ma omesse di bagnarne il tallone, dal quale lo teneva.

Per questo motivo, Achille aveva un corpo indistruttibile ed era dotato di una forza sovrumana capace di spaventare qualsiasi esercito nemico, ma il suo punto debole rimaneva il calcagno.

In questi articoli, divisi in sette parti, il mio obiettivo sarà quello di illustrare quali sono i punti deboli (tallone) del corpus infermieristico, così forte professionalmente ma così fragile nel suo quotidiano.

 

  1. La Dirigenza Infermieristica
  2. Gli Ordini Professionali
  3. La classe politica
  4. I sindacati “maggiormente rappresentativi”
  5. I mass-media
  6. La sanzione della comunità
  7. La questione femminile

 

Il tallone degli infermieri: la classe politica

 

Sulla classe politica italiana si può dire tutto e il contrario di tutto, ma una cosa è certa: al suo interno, la consapevolezza del reale ruolo, delle funzioni, delle competenze dell’infermiere è bassissima.

Con buona pace di tutti i partiti politici, tale livello di ignoranza (intesa come “non conoscenza”) è equamente distribuita su tutto l’arco parlamentare.

Nell’immaginario del politico medio, l’infermiere è ancora quello di quarant’anni fa: un operatore sanitario di cultura medio-bassa, figura ancillare rispetto al medico, operaio tuttofare le cui mansioni spaziano dalle pulizie alla somministrazione dei farmaci.

Qualche rara e illuminata eccezione c’è, ma è poca cosa a fronte di una diffusissima, scarsa e approssimativa conoscenza degli infermieri.

Probabilmente perché di infermieri, nelle aule di Camera e Senato, ne bazzicano ben pochi.

Che estrazione professionale hanno i politici che stanno alla Camera o al Senato?

Gli ultimi dati (relativi alla XVIII legislatura) ci dicono che, su 630 deputati ci sono ben 86 avvocati, 67 imprenditori e 58 impiegati che, da soli, fanno il 33,5% del totale.

Di infermieri ce n’è uno solo, ovvero lo 0,2% del totale.

Pensate: ci sono 2 operai, 2 agricoltori, 5 militari, 6 sindacalisti, 8 architetti (e così via…) e dei rappresentanti di una professione “pilastro della nostra sanità” (così alcuni politici in cerca di voti ci definisce) ce n’è uno solo!

E le cose non vanno meglio in Senato, dove su 315 senatori ci sono 49 imprenditori, 46 impiegati e 45 avvocati che, da soli, fanno il 44,4% del totale.

Di infermieri sempre uno, ovvero lo 0,3% del totale.

Ma non voglio, con questo, dar la colpa a terzi della scarsa presenza di infermieri nel mondo politico: come ho già scritto nei due precedenti articoli sulla Dirigenza Infermieristica (vedi) e sugli Ordini Professionali (vedi), chi è causa del suo mal, pianga sé stesso.

Siamo noi e solo noi gli artefici del nostro status sociale e non possiamo giudicare nessuno responsabile di ciò.

E non dobbiamo nemmeno scandalizzarci più di tanto se i politici si abbandonano a dichiarazioni superficiali o, talvolta, offensive nei nostri confronti.

Come, ad esempio, Berlusconi che, nel 2016, si dichiarò meravigliato, mostrando un candido stupore, nell’apprendere dell’entità del misero stipendio degli infermieri.

Come se fino ad allora si fosse occupato, che so, di pinguini al Polo Sud e non di politica a vari livelli (addirittura come capo del Governo per quattro volte, dal 1994 al 2011).

Ripeto: non ci conoscono e parlano senza cognizione di causa.

Come Sgarbi, nel 2018, che parlando di infermieri disse: “[…] la loro assistenza può essere umana, materiale o di soccorso e non necessariamente richiede conoscenze rigorose, professionali […]".

Oppure come Sirchia (Ministro della Salute dal 2001 al 2005), che rimpiangeva le suore negli ospedali, affermando che “[…] quando c’erano le suore in ospedale era molto meglio, assolutamente […]”.

O, ancora, per risolvere i problemi della sanità italiana, secondo il candidato sindaco per il centrodestra a Sindaco di Roma, Enrico Michetti, che ha affermato “Dicono che servono 30mila infermieri e allora bisogna andare a prendere i soldi del MES. Scusate, noi paghiamo 3 milioni di persone per stare a casa. Tra questi non ce ne sono 30mila da poter prendere per fare un corso da infermieri?”

Insomma, care colleghe e cari colleghi, è inutile continuare a stare affacciati al nostro balcone virtuale in attesa che passi il politico giusto: sta a noi rimboccarci le maniche e andare a prendere ciò che ci spetta.

Non in nome di un becero corporativismo massonico, ma in linea col principio di equità (che non vuol dire uguaglianza e livellamento) sancito dalla principale fonte del nostro diritto, ovvero la Costituzione, che recita, all’articolo 36 “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro […]”. E credo, invitando chiunque a smentirmi, che se siamo i “pilastri della sanità”, se ci assumiamo enormi responsabilità, se svolgiamo un lavoro usurante, se siamo in grado di gestire budget a sei zeri, se coordiniamo equipe multiprofessionali, non possiamo continuare a credere alla favoletta che, in fondo in fondo, 1500 euro al mese sono uno stipendio dignitoso!

Chiudo salutandovi, anzi: vi faccio salutare dal Dalai Lama che ha detto Ciascuno di noi è l'artefice del suo destino, spetta a noi crearci le cause della felicità”.

Pensateci bene…

 

Alla prossima puntata, martedì 27 luglio 2021, per l'articolo sui sindacati “maggiormente rappresentativi”