Laurea Infermieristica. L’obbligo di frequenza: un vantaggio o un retaggio classista?
Di Chiara Bianconi, studentessa 3°anno Infermieristica
Storicamente alcuni corsi di laurea hanno sempre avuto l’obbligo di frequenza, ovvero l’imposizione di frequentare le lezioni frontali, pena l’esclusione dall’appello di esame. Come tutti già sappiamo, il CdL di Infermieristica prevede su tutto il territorio nazionale l’obbligo di frequenza, verificato da fogli firma e un sistema di appello-contrappello e con una percentuale di assenze permessa di circa 20-25% di tutto il corso integrato.
L’utilità di imporre la frequenza alle lezioni per molti colleghi, me in primis, è sempre stata dubbia. Non tutti hanno le stesse modalità di apprendimento e la stessa soglia di attenzione che permette di utilizzare al meglio le 10 ore di lezione al giorno . E soprattutto non tutti ne hanno la possibilità.
In epoca pandemica sembrava che l’utilizzo della didattica a distanza e del supporto di device elettronici avrebbe in qualche modo segnato l’inizio di una nuova università: un’università libera, telematica, a distanza; in cui si aveva la possibilità di registrare le lezioni e rivederle in un secondo momento, di rimanere nel proprio domicilio risparmiando (nel caso dei fuorisede, si capisce) migliaia di euro di affitto, di trasporti e di bollette.
In realtà questa modalità non era neppure così innovativa: nella facoltà di medicina di Rotterdam ciò è in uso da quasi un decennio.
Eppure, al termine dello stato di emergenza di è fatto subito un passo indietro, obbligando gli studenti a tornare nelle aule.
Ma quanto è effettivamente corretto imporre la frequenza obbligatoria agli studenti? A detta di molti, non lo è affatto. L’obbligo di frequenza in qualche modo limita l’accesso alla facoltà e di conseguenza alla professione solo a chi ne ha le facoltà economiche. Gli studenti che durante il percorso universitario devono mantenersi, anziché essere mantenuti, gli stessi che devono necessariamente lasciare la città natale per iscriversi all’università ma senza averne la facoltà economica, partono da una situazione di svantaggio notevole, che in molti casi si riduce in una rinuncia agli studi.
Se i più cinici sosterranno che c’è sempre la possibilità di poter appellarsi alla modalità Part-time, noi sottolineamo come lo studente part-time debba vivere numerose limitazioni: dalla possibilità midi poter sostenere solo tre esami l’anno fino al costo esorbitante delle tasse.
E allora perché non modificare questa tendenza che in un certo senso può essere definita classista? Non ci sono statistiche circa la relazione tra obbligo di frequenza e preparazione degli studenti, e di conseguenza non esistono prove che obbligare a lezioni frontali migliori in qualche modo la formazione di quelli che oggi sono gli studenti ma che domani saranno professionisti.
Non si vuole qui discutere sul tirocinio, per quanto anche in questo campo alcune modalità debbano essere revisionate, in quanto ovviamente le skills devono essere apprese attraverso l’osservazione e la pratica.
Viviamo in un momento storico particolare, nel quale più che mai è evidente e dolorosa la carenza di infermieri sul territorio Nazionale : secondo l’ Agenzia Nazionale Per I Servizi Sanitari Regionali, AGENAS, attualmente sul territorio nazionale sono presenti solo 6,2 infermieri ogni 1000 abitanti, valore di molto inferiore alla media europea.
Allora, forse, parte di questa mancanza potrebbe essere risolta da un profondo rinnovamento della struttura universitaria.