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Gli insetti? Ecco come dal pane alla pizza, li mangiamo da sempre e non lo sapevamo

Vincenzo Rauccidi
Vincenzo Raucci
Pubblicato il: 14/04/2023

AttualitàCronache sanitariePunto di Vista

Da qualche tempo assistiamo ad accesi dibattiti sui media e sui social in merito all’arrivo, sui mercati europei, di insetti per il soddisfacimento dei nostri bisogni alimentari.

Tutti siamo consapevoli che la crescita della popolazione mondiale e del consumo di carne, e il conseguente impatto negativo degli allevamenti sull’ambiente per consumo di acqua, territorio ed emissione di gas serra, hanno portato la FAO ad interessarsi agli insetti come fonte sostenibile di proteine di origine animale per la nutrizione dell’uomo.

L’allevamento degli insetti ha un basso impatto sull’ambiente per produzione di CO2 e utilizzo di terra e acqua, e, accanto a questo, in alcuni paesi extra-europei, si sta verificando un’occidentalizzazione dello stile alimentare con conseguente perdita delle tradizioni culinarie locali ed incremento del consumo di carne rossa.

Tornando alle comprensibili reazioni di disgusto, che muovono pance e animi dei giornalisti e del variegato popolo dei social, credo sia giusto precisare un dettaglio di non poco conto: noi mangiamo insetti da sempre e non lo sappiamo (o, per dirla meglio, facciamo finta di non saperlo).

L’insetto che più frequentemente ritroviamo sulle nostre tavole è la cocciniglia (Coccoidea Handlirsch), un insetto dal quale si estrae un colorante rosso, molto utilizzato nell’industria alimentare; possiamo trovarlo nel vino, nei liquori, negli yogurt, nei succhi di frutta, nei dolci o in certe marche di aranciata. La dicitura che ne segnala la presenza è “Colorante E120” o “acido carminico”.

Dato l’elevato costo, ultimamente viene spesso sostituita da coloranti o miscele di coloranti di origine sintetica come E122 - E124 - E132 nei prodotti alimentari commerciali (obbligatoriamente elencati in etichetta come additivi alimentari con la relativa sigla europea).

Ma non consumiamo solo cocciniglia: secondo uno studio condotto dal Centro per lo Sviluppo Sostenibile e dall’Università IULM di Milano (www.centrosvilupposostenibile.it), il consumo inconsapevole medio di insetti per gli italiani si aggira ogni anno sui 500 grammi: questi animali sono considerati contaminanti alimentari comuni e sono tollerati in piccola percentuale.

Possiamo mangiare insetti (o parti di esso) nella pasta, nel pane, nella pizza, essendo contenuti nelle farine dai quali queste pietanze originano, oppure possiamo ritrovare frammenti di insetti anche nel cioccolato, nell’aranciata, nelle passate di pomodoro o nei succhi di frutta.

Negli Stati Uniti, la Food and Drug Administration (FDA) ha stabilito per farina e sfarinati (dove è più facile che finiscano impurità) un limite di tolleranza di 50 frammenti di insetto e un pelo di roditore in 50 g.

Quindi, carissimi lettori, il problema non è se gli insetti debbano entrare o no nella nostra dieta, visto che già ci sono. Semmai dobbiamo chiederci in quale percentuale è giusto che ci entrino.

Consapevoli che presto la popolazione mondiale arriverà ai 9 miliardi di anime e che gli attuali stili alimentari non sono più sostenibili.

Se partissimo tutti da questa consapevolezza, forse il dibattito potrebbe diventare molto più costruttivo per tutti.