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Muti, Merenda e Pulp Fiction chiudono la Festa del Cinema di Monza

Vincenzo Rauccidi
Vincenzo Raucci
Pubblicato il: 26/10/2025

Attualità

Ieri sera si è tenuta, presso lo storico Teatrino della Villa Reale, la seconda serata della Festa del Cinema di Monza. Dopo il NurSind Care Film Festival è toccato al Visiona Movie Fest. L’evento ha offerto al pubblico una prospettiva unica e intima sul dietro le quinte della settima arte, esplorando le dinamiche creative, gli aneddoti inattesi e i percorsi di vita non convenzionali che portano al successo sullo schermo.

La rassegna, un’iniziativa di tre giorni promossa dalla Provincia di Monza e Brianza e co-organizzata con Driadi Produzioni di Caterina Baglio e le associazioni Hemingway&Co. (guidata da Dario Lessa, anche conduttore della serata), NurSind e Mi Prendo Cura ETS, si è configurata come un omaggio alle storie e ai protagonisti del grande e piccolo schermo, culminando con la premiazione di documentari e cortometraggi d’autore.

Il parterre di ospiti ha riunito figure note per diverse sfaccettature del mondo dello spettacolo: da attori navigati a volti noti del cabaret e del teatro, fino a professionisti con carriere completamente diverse alle spalle.

L’attore Gigio Alberti ha incantato la platea con un viaggio nei ricordi legati a due pietre miliari del cinema italiano, entrambi diretti da Gabriele Salvatores: Marrakech Express (1989) e Mediterraneo (1991), quest’ultimo vincitore di un Premio Oscar.

Alberti ha svelato un peculiare metodo di regia di Salvatores: l’invito agli attori a scrivere personalmente delle scene, un esercizio che, sebbene non portasse all’inclusione effettiva dei copioni nel montaggio finale, era cruciale per immergere profondamente gli artisti nel mood e nell’atmosfera emotiva della narrazione. Questo approccio sottolinea come il processo creativo sul set sia spesso un mix di disciplina e stimolo all’improvvisazione.

L’attore ha anche evidenziato come dietro ogni pellicola si nasconda un vero e proprio “film nel film”, citando l’esilarante figura dell’attrezzista Agatino. La sua avventura in Grecia, dal fidanzamento lampo al tragicomico episodio della zattera affondata e poi “rattoppata” con il polistirolo destinato alla produzione, illustra perfettamente il caos creativo e l’ingegnosità spesso necessari per superare gli imprevisti logistici sui set internazionali.

Proveniente, come Alberti, da una solida formazione teatrale, Germano Lanzoni è l’esempio di come la fama possa arrivare inaspettata e in tarda età, ben prima che il suo personaggio del “Milanese imbruttito” lo rendesse un fenomeno mediatico.

Lanzoni ha ripercorso i suoi esordi, ricordando con ironia le difficoltà iniziali: “Fino a 48 anni non mi dava retta nessuno”. La sua prima esperienza cinematografica in Anni ‘90, con una parte da figurante poi tagliata, è l’emblema delle delusioni che spesso precedono il successo. La svolta è arrivata con il gruppo satirico “Il terzo segreto di satira”, un collettivo di cinque ex studenti della Scuola del cinema di Milano. Il loro punto di forza è stato il coraggioso tentativo di raccontare la politica con l’occhio critico e disincantato degli elettori, un approccio che ha intercettato un bisogno di satira sociale. Il successo di questo approccio è stato consolidato con i film “Mollo tutto e apro un chiringhito” e “Ricomincio da Taaac”, prodotti da Medusa.

La testimonianza forse più sorprendente è stata quella di Silvio Cavallo, l’attore protagonista de “Il principe di Melchiorre Gioia”. La sua carriera artistica è la terza e più recente di una vita ricca di svolte radicali.

Cavallo ha raccontato di aver avuto due “vite precedenti” ad alta tensione: quattro anni come ufficiale dell’Aeronautica militare e dieci anni come “uomo radar” presso l’aeroporto di Malpensa. Ha descritto quest’ultima come “il lavoro più stressante del mondo”, una professione che richiede una concentrazione e una lucidità estreme. Questa pressione lo ha portato a una decisione netta: nel 2008, si è licenziato per inseguire la passione per la recitazione, frequentando un corso di improvvisazione teatrale a Londra. Il ritorno in Italia ha segnato l’inizio della sua carriera nel circuito di Zelig, negli spot pubblicitari e, infine, nel cinema. Cavallo ha inoltre annunciato la sua prossima apparizione sul grande schermo, il 6 novembre 2025, nel film “Una famiglia sottosopra”, diretto da Alessandro Genovesi  e interpretato, tra gli altri, da Luca Argentero, dove interpreterà un direttore di Gardaland.

La serata ha visto anche l’intervento di Alfredo Colina, attore monzese e co-fondatore/co-direttore della rinomata Scuola di teatro Binario 7 di Monza insieme a Corrado Accordino, che ha avuto il compito di introdurre e presentare gli illustri ospiti.

Un momento di profonda commozione è stato dedicato al tema dell’impegno sociale con la presentazione del docufilm “Con un battito di ciglia”. Tratto dall'esperienza del Centro Slancio della cooperativa “La Meridiana”, il documentario è un tributo toccante ai malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA). La partecipazione di volti noti come Drusilla Foer, Aldo Baglio, Antonio Ornano, Francesca Cavallin e Giancarlo Ratti sottolinea la volontà del mondo dello spettacolo di dare visibilità e sostegno a cause di grande rilevanza umana e sociale.

Hanno chiuso la serata tre grandi nomi del cinema internazionale, ovvero Luc Merenda, Maria De Medeiros e Ornella Muti.

Attore di culto per più di una generazione, Luc Merenda è stato uno dei volti per eccellenza del poliziesco italiano anni Settanta. Popolare per i ruoli ricoperti in film come “Milano trema: la polizia vuole giustizia“, “Il poliziotto è marcio“ e “Napoli si ribella“, ha lavorato coi maggiori registi come Sergio Martino e Fernando Di Leo, ma anche con grandi star internazionali come Charles Bronson, Alain Delon e Steve McQueen. Origini francesi e un grande amore per l’Italia, da anni vive a Roma, dopo aver fatto anche l’antiquario.

Maria De Medeiros per il grande pubblico è stata Fabienne, la compagna di Butch Coolidge, alias Bruce Willis, in Pulp Fiction di Quentin Tarantino. Ma anche Laura Betti nel “Pasolini“ di Abel Ferrara e la scrittrice Anais Nin nel film “Henry & June” di Philip Kaufman. Ma per gli appassionati di cinema è soprattutto l’interprete premiata a Venezia con la Coppa Volpi per il ruolo in “Tres irmaos” di Teresa Villaverde, la protagonista de “Il resto di niente” e “Riparo”, la regista di “Capitani d’aprile”, suo primo lungometraggio dietro la macchina da presa, di cui è stata anche sceneggiatrice e attrice, una pellicola che racconta i militari che fecero nel 1974 la Rivoluzione dei Garofani in Portogallo.

Infine Ornella Muti, le nozze d’oro con una carriera intensa e appassionata, le rivelazioni sul passato con il giusto distacco di chi ha attraversato, superandoli, perdizioni, gioie, amori e dolori. E un’autobiografia uscita in questi giorni per “La nave di Teseo” che supera il riserbo con cui ha sempre protetto la sua vita privata, mettendo a nudo flirt (da Montezemolo a Celentano), amori (due matrimoni) inciampi (l’incontro con l’Lsd) e grandi gioie come figli (la prima, cresciuta con coraggio da madre single), i nipotini, una vita in campagna in mezzo agli animali. Ornella Muti continua ad essere regina. Senza smettere di lavorare - sta girando in questi giorni un film tedesco - e regalando ai suoi fan - lei, simbolo conturbante e spesso misterioso del cinema italiano - il racconto della sua vita, con grazia e da antidiva.

La prima edizione della Festa del Cinema di Monza si è dunque rivelata un successo, celebrando non solo il prodotto finito (il film), ma soprattutto i percorsi umani, le sfide e la dedizione che stanno alla base della magia del grande schermo.