Mancano infermieri nelle zone interne e in carcere, ma l’Ausl ignora chi chiede il trasferimento
Il NurSind denuncia: ignorate le richieste di mobilità anche quando utili al servizio. Rodigliano: “Così aumentano burnout, dimissioni e disaffezione professionale”.
BOLOGNA, 15 novembre 2025. La fotografia scattata dal NurSind è chiara: nelle aree interne e negli istituti penitenziari mancano infermieri, ma chi chiede il trasferimento per lavorare proprio in quelle sedi viene sistematicamente ignorato. Un paradosso gestionale che il sindacato degli infermieri denuncia da tempo, ma che – nonostante promesse e tavoli annunciati – continua a rimanere irrisolto.
È Antonella Rodigliano, segretaria provinciale e regionale del NurSind, a rilanciare l’allarme.
“Ogni giorno – afferma – ci troviamo davanti a colleghi che abbandonano la professione o scelgono il licenziamento perché il malessere organizzativo è diventato insostenibile. Il benessere lavorativo non può essere un optional”.
Secondo il sindacato, la crisi non riguarda solo i giovani professionisti ma anche chi lavora da venti o trent’anni. “La frustrazione cresce – continua Rodigliano – perché le aziende non ascoltano i propri dipendenti neppure quando le loro esigenze potrebbero rivelarsi funzionali alla gestione del servizio”.
I casi emblematici: due richieste di trasferimento ignorate
Tra le segnalazioni più significative che il NurSind ha raccolto nelle ultime settimane ci sono due storie emblematiche della distanza tra bisogni reali e scelte aziendali.
1. L’infermiera con trent’anni di servizio che vuole tornare in carcere
Per quattro anni ha lavorato nel presidio sanitario della casa circondariale di Bologna, una sede notoriamente difficile da coprire. È motivata, esperta, e vorrebbe rientrare. Eppure – riferisce il sindacato – da oltre un anno vede respinte tutte le domande di trasferimento, mentre il personale in carcere continua a diminuire.
“È incomprensibile – commenta Rodigliano – che un’Azienda che fatica a reperire professionisti non colga l’opportunità di reintegrare chi conosce già quel contesto e desidera tornarci”.
2. L’infermiera dell’appennino costretta ogni giorno a chilometri di strada
Vive a Loiano e vorrebbe lavorare vicino casa, in un territorio dove storicamente mancano operatori sanitari. L’Azienda pubblica bandi proprio per coprire quelle sedi, ma continua a ignorare la sua richiesta di trasferimento. Il risultato? Un pendolarismo quotidiano pesante e una risorsa territoriale sprecata.
“Anche in questo caso – spiega Rodigliano – l’Azienda sembra non considerare che migliorare le condizioni di vita dei professionisti significa migliorare l’intero sistema”.
Un problema che si ripercuote sull’intero servizio
Il Nursind denuncia che la carenza di personale, già critica, peggiora ulteriormente quando i lavoratori vengono spostati da un presidio all’altro senza una reale strategia. Da Budrio a Bentivoglio, da un reparto all’altro: una mobilità interna non programmata che rischia di compromettere la continuità assistenziale e di aggravare il malcontento.
“Se la gestione del personale resterà questa – avverte Rodigliano – i licenziamenti continueranno a crescere. Stiamo già lavorando a un questionario dedicato proprio al fenomeno delle dimissioni, per documentare numeri e motivazioni”.
Il tavolo regionale sul benessere lavorativo ancora fermo
A livello regionale, il tavolo promesso sul benessere lavorativo non è ancora stato convocato. Un ritardo che il Nursind giudica grave, considerato il clima di forte stress psico–professionale che investe i reparti.
“Le Aziende devono capire – conclude Rodigliano – che ascoltare chi lavora è un investimento, non un costo. Continuare a ignorare questi segnali significa minare la tenuta dell’intero sistema sanitario”.
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