Iscriviti alla newsletter

Unità nel cambiamento per il cambiamento... secondo Ivan Cavicchi

maxresdefault

Intervista al Prof. Ivan Cavicchi

17 aprile 20014

di Chiara D’Angelo

A distanza di un paio di mesi dalla precedente, pubblichiamo una nuova intervista, in esclusiva, al Prof. Cavicchi in cui, con la sua consueta attitudine e capacità di indagare le problematiche nella loro struttura più profonda, ci illustrerà il suo punto di vista sull’evoluzione delle professioni sanitarie nel contesto storico, culturale e professionale in cui stiamo vivendo, e non solo…

Prof. Cavicchi prima di tutto grazie per aver accettato questa seconda intervista. Con la prima abbiamo avuto notevoli riscontri e siamo stati parecchio sollecitati a continuare

Grazie  a voi, so che  fate girare i miei articoli che in genere si occupano di questioni  che vanno  oltre i problemi specifici di questo e di quello, per cui  apprezzo che gli infermieri siano   interlocutori anche  di questioni generali e fondamentali. Le cose grandi  non sono separabili dalle cose piccole... e poi  alla fine non sono ne’ piccole ne’ grandi ma solo parti di una complessità. In genere coloro che rappresentano gli infermieri sono inclini a circoscrivere  le questioni agli interessi  tout court e a non occuparsi di altro. Questo è un limite. Non esiste  interesse senza  contesto e la conoscenza del contesto è determinante per il perseguimento dell’interesse.

A dire il vero professore recentemente il nostro Segretario Nazionale ha preso posizione sulla questione del titolo V...

Ah si! Ho letto l’articolo... una autentica rarità e novitàun infermiere che  parla di governabilità  e che collega i suoi problemi  di lavoro alla riforma costituzionale non è cosa di tutti i giorni. Nessuno sino ad ora lo ha fatto. E’ un segno buono. Mi ha colpito il senso “politico” di quell’articolo, nel tempo delle riforme costituzionali  in cui  si ridiscutono le regole del gioco democratico il lavoro non può essere escluso da un processo di riforma della governabilità perché il lavoro a sua volta è uno strumento di governo. In sanità il problema nuovo è che a decidere sulle necessità del malato sono sempre meno gli operatori e sempre più chi governa la sanità.  Bene ha fatto il suo segretario a collegare le cose.

Questo tema del lavoro  come strumento di governo  mi sembra  che si ricolleghi a quello a lei molto caro del lavoro quale mezzo di cambiamento e al suo discorso  della “coevoluzione delle professioni”. Ho letto che a Torino  le coordinatrici piemontesi a convegno hanno assunto la coevoluzione delle professioni come tema di base. A quel convegno, che  mi si dice molto riuscito, lei ha aggiunto un altro elemento, la “forma storica di cooperazione” tra professioni. Cosa intendeva dire?

E’ vero il convegno di Torino è stato molto interessante e abbiamo discusso di coevoluzione. La coevoluzione è una idea pacifica di crescita delle professioni e implica un progetto di cambiamento comune, agito in modo specifico da ogni singola professione. La coevoluzione si oppone all’idea di porre  le professioni in un conflitto di interesse  tra loro perché parte dal presupposto  che le professioni nella realtà di lavoro, debbano necessariamente cooperare e che sia possibile soddisfare un interesse professionale in modo concordato e cooperativo. Con un progetto comune per l’appunto. Quella che è stata definita, non da me, la guerra delle competenze sta generalizzando il conflitto  in tutti i luoghi di lavoro alimentando le contrapposizioni in luogo delle cooperazioni  e rompendo le relazioni storiche che esistevano tra professioni diverse, ma senza sostituirle con altre relazioni.

Quindi  lei è convinto che l’assenza di un progetto di cambiamento comune sia all’origine  del conflitto; non crede  che anche la resistenza dei medici  al cambiamento sia in qualche modo  un fattore conflittuale?

Non c’è dubbio  che in generale i medici fanno fatica a cambiare, specialmente quando in ballo vi sono delle prerogative storiche che ne ridiscutono le facoltà, ma anche i medici come gli infermieri hanno grossi problemi da risolvere ed hanno l’interesse a trovare laddove è possibile comuni soluzioni. Il problema non è ridiscutere  le relazioni storiche tra professioni che, per quello che mi riguarda, andrebbero ridiscusse, ma è di sostituirle con altre relazioni e altri modi cooperativi  addirittura più efficaci sul piano  dell’ inter professionalità. Il danno  grave e profondo è quando la relazione tra professioni  che bisognerebbe riformare, per mancanza di un progetto, viene semplicemente soppressa quindi mettendo in crisi la coesione cooperativa di un gruppo, di un collettivo, di una squadra. Se per perseguire un qualsiasi legittimo interesse  si danneggia l’impresa che è la cura del malato allora  si danneggia il servizio che per garantire l’impresa  dovrebbe organizzarsi in modo cooperativo. Danneggiare il grado di cooperazione nel nostro mestiere non è uno scherzo  ma  è un  danno  all’efficacia della  cura del malato. La coevoluzione  è una idea  complessa mentre il  conflitto è senz’altro una semplificazione. La coevoluzione deve vincere  il conservatorismo degli altri,  la forza di inerzia degli interessi corporativi, le abitudini e gli stili professionali, quindi deve avere una capacità progettuale in grado  di convincere i medici sul terreno del cambiamento. Ma non esiste un’altra strada. Hume diceva che vi sono persone che ad un graffio del proprio dito preferiscono il crollo del mondo, ma il crollo del mondo, nel nostro caso, negherebbe lo scopo finale di qualsiasi operatore sanitario. Vale la regola di mia nonna: chi ha più intelligenza la usi.

Ma come pensa che si possa impedire “il crollo del mondo”? Ci dobbiamo rassegnare alla guerra delle competenze? O è possibile  un armistizio?

Un armistizio come lei sa  significa “fermare le armi”  ed è  un accordo fra stati belligeranti che sospende totalmente o parzialmente, a tempo determinato o indeterminato le ostilità. Per cui  è una convenzione militare di competenza dei comandi militari. L'aspetto chiave in un armistizio è il fatto che  i combattimenti sono sospesi ma  senza che nessuno si arrenda. Quindi un armistizio non  è  una resa incondizionata, ma è un modo  per esplorare altre possibilità di accordo. Io sarei nettamente a favore  di un armistizio. Recentemente  in una occasione pubblica  il ministero della sanità  ha ammesso a proposito di competenze avanzate di aver sbagliato l’approccio e il metodo, l’accordo sottoscritto non è condiviso da tutti quindi  è destinato comunque  a creare contenzioso, l’intersindacale medica ha chiesto al ministro della salute di ritirare la firma dall’accordo chiedendo un supplemento di riflessioni, allora perché non tentare di nuovo? Oltretutto siamo nel bel mezzo di un ripensamento del titolo V che comunque avrà delle ripercussioni sull’accordo in particolare  per ciò che riguarda le competenze regionali e la definizione dei profili professionali. Per cui chi ce lo fa fare? Le ragioni  per fare  un armistizio ci sarebbero. E poi mi creda, basterebbe davvero poco! Non creda che sia così difficile convincere le parti ad un accordo comune creando le condizioni per una coevoluzione... il problema è che le cose sono andate avanti… i caporioni delle competenze avanzate si sono esposti e ora hanno difficoltà a tornare sui loro passi per cui, anche per questioni di immagine, essi rischiano di preferire  il crollo del mondo al  graffio sul  proprio dito anche quando il rischio di graffiarsi non c’è.

Quindi per fare  un armistizio basterebbe concordare con i medici le condizioni  per una coevoluzione interprofessionale?

Si, proprio così. Si tratta di immaginare una forma di cooperazione nuova tra medici e infermieri che preveda  tanto le competenze avanzate che la definizione dell’atto medico. L’armistizio possibile è armonizzare l’atto medico con le competenze avanzate. Quindi non si tratterebbe per gli infermieri di rinunciare alle competenze avanzate ma di inserirle dentro  un nuovo modo  di cooperare.

Ci spiega cosa vuol dire “modo di cooperare” e come concretamente possa trasformarsi in un accordo?

Immagini  che per curare un malato si devono fare tante cose e che queste cose, per ragioni pratiche, vengano divise in tanti compiti a loro volta distribuiti a professioni diverse e a servizi diversi. Ebbene questa operazione  si chiama “divisione del lavoro”, il lavoro viene diviso in compiti, mansioni, profili, e la somma di tutto ciò costituisce la cura del malato. Questa somma si basa storicamente comunque su una particolare forma  di cooperazione che i sociologi chiamano tayloristica che è basata sul grado di scomponibilità del lavoro, sulle giustapposizioni tra operatori, sulla divisibilità del processo di cura, sulla possibilità di tradurre tutto in compiti quindi in autonomie condizionate. Chi decide  tutto questo è il contesto culturale, le convinzioni dominanti, le visioni che si hanno della realtà, le forme  degli interessi economici, le conoscenze scientifiche del momento, i bisogni delle persone... cioè non esiste “qualcuno” che decide la forma storica di cooperazione perché questa è come  se co-emergesse da tante cose come l’odore di un minestrone. Semmai  esiste qualcuno come Taylor, che  interpreta tutto quello che gli balla intorno e lo trasforma in una organizzazione del lavoro. Il problema delle competenze avanzate è stato preso dal verso sbagliato. La questione vera  non è rubacchiare delle competenze a qualcuno a favore di qualcun altro,  ma ripensare la storica divisione del lavoro tra medici e infermieri perché  a questa società serve ripensarla, perché  è necessario ripensarla, perché è conveniente ripensarla.

In cosa consiste la convenienza di cui lei parla? Perché oggi dovremmo cambiare la forma storica di cooperazione?

Immagini  sempre di voler cucinare un minestrone e  di mettere nella pentola  questa volta altri  ingredienti e che  l’odore che viene su dalla pentola  sia diverso, cioè che siano cambiati i contesti, le culture, gli interessi, i bisogni, i problemi  della società ecc… e che il lavoro non sia più cosi  scomponibile come prima, che le giustapposizioni tra medici e infermieri  non funzionino più, ponendo il problema di nuove relazioni, e che il processo di cura in funzione di un altro genere di malato, debba essere  ricomposto, e che i compiti  assegnati agli infermieri ai medici e agli Oss,  non siano più in grado  di rappresentare al meglio la realtà dei bisogni sociali. Ecco a questo punto si pone un problema di coevolutività vale a dire  si pone la necessità di una  riforma della forma storica di cooperazione, cioè di ripensare la storica divisione del lavoro. Per fare un armistizio tra medici e infermieri  tutte le parti in causa si dovrebbero sforzare di essere dei nuovi Taylor capaci cioè di reinterpretare la propria realtà e tradurla in una nuova organizzazione del lavoro  addirittura con  un più alto grado di cooperazione. Sostengo che bisogna fare un armistizio perché conviene a tutti ma prima di ogni altro al nostro malato, ripensare la forma storica di divisione del lavoro; quella che abbiamo da più di un secolo non regge più. Questo sarebbe un vantaggio tanto per i medici che per gli infermieri e aggiungo per gli Oss, gli eterni dimenticati da tutti.

Secondo lei questi nuovi Taylor ci sono? E se non ci sono dove li dobbiamo cercare? Nei  suoi saggi  la questione dell’organizzazione del lavoro è dominante,  mi viene il sospetto che lei in qualche modo si stia proponendo come un nuovo  Taylor.

Certamente non si trovano al supermercato! Ma battute a parte, prima di tutto non diamo per scontato che tutti conoscano Taylor e cerchiamo di spiegare cosa sia il taylorismo. Frederick Taylor è colui che nel 1911 inventò  l’organizzazione scientifica del lavoro che si basava su tre presupposti:

  • analizzare le caratteristiche della mansione da svolgere,
  • creare il prototipo del lavoratore adatto a quel tipo di mansione,
  • selezionare il lavoratore ideale, al fine di formarlo e adattarlo perfettamente all’azienda

Il punto chiave della proposta di Taylor è la definizione della mansione. Il taylorismo è quindi una teoria interamente basata sulla scomposizione e sulla divisione del lavoro. Io sostengo che ancora oggi la sanità è organizzata in modo tayloristico e che tale organizzazione è superata. Quindi sarei del parere di discutere di competenze avanzate in un quadro che superi in modo coevolutivo e concordato  la divisione  tayloristica del lavoro in sanità tra medici infermieri e Oss. Sono anche dell’idea che la ridefinizione del profilo professionale dell’infermiere del 99 non abbia in nulla superato l’assetto tayloristico del lavoro  infermieristico  ma solo allargato le sue competenze  rendendole para ausiliarie o post ausiliarie, ma  dentro una divisione del lavoro che non è  fondamentalmente cambiata  quindi dentro una vecchia organizzazione del lavoro. Penso anche che questo cambiamento parziale e incompiuto sia all’origine dei principali problemi degli infermieri oggi. Il risultato è che oggi  l’infermiere nella prassi è definito ancora in modo tayloristico quindi sulla base delle mansioni che svolge e che il mansionario  ha comunque  vinto la sua battaglia contro il profilo professionale del 99. Per me dire competenze  avanzate e mansione avanzate è la stessa cosa. Il problema non è l’aggettivo “avanzato” ma è il sostantivo  “mansione” perché esso richiama sempre una vecchia divisione del lavoro.

Quindi professore ho ragione io nel dire che lei si sta proponendo come un nuovo Taylor?

Guardi  che il nuovo Taylor è una metafora di cambiamento. Per quello che mi riguarda sono più di 30 anni  che mi occupo di come ripensare le organizzazioni del lavoro, le professioni, i compiti ecc. Il problema del minestrone è  vecchio come il cucco, cioè i grandi cambiamenti  che ci coinvolgono ora si sono affacciati sulla scena della sanità da più di mezzo secolo. Il problema vero è il nostro ritardo, la nostra difficoltà a leggere il mutamento come possibilità, il nostro essere irriducibilmente dei conservatori dalla vista corta, il nostro essere sottoposti  ad una classe dirigente attenta unicamente ai propri poteri personali ma senza progettualità. I nuovi Taylor esistono eccome e oggi sono dei soggetti collettivi che hanno cambiato il mondo della produzione, dell’informatica, il mondo industriale. Da noi non vedo nuovi Taylor cioè non vedo riformatori...  il massimo è scopiazzare un po’ di toyotismo  con le aree ad alta intensità di cura, andare dietro a un po’ di mansioni  in più. La sanità continua  ad essere taylorista a dispetto dei santi. E questo vale tanto per i medici che per gli infermieri e per gli Oss.

Professore non le nascondo di essere un po’ spiazzata dalle sue risposte. Noi infermieri eravamo convinti di aver trovato il nostro Taylor, appunto nel 99, di aver messo mano ad un processo di ripensamento della professione a differenza dei medici  che sono ancora  alla ricerca  del santo Graal, cioè  l’atto medico, senza trovarlo mai. Lei mi sta dicendo che anche per gli infermieri nonostante tutto Taylor non c’è?

Vedo che lei ha dimenticato quello che le ho detto l’altra volta a proposito di post ausiliarietà cioè del divario che ancora esiste tra norma e realtà. Da 20 anni circa  abbiamo delle nuove norme sul profilo professionale dell’infermiere ma nella stragrande maggioranza dei casi, è come non averle perché le organizzazioni del lavoro nelle quali operano gli infermieri le negano continuamente a partire dal valore salariale. Taylor oggi è del tutto superato ma ai suoi tempi  è stato un signore che ha tradotto una società in una organizzazione del lavoro quale base di  quella che fu definita “rivoluzione industriale”. Oggi gli operatori della sanità hanno lo stesso problema come tradurre una nuova società, in una organizzazione del lavoro, quindi in una nuova forma storica di cooperazione tra professioni. Ho sentito in una occasione pubblica il suo segretario spiegare  le ragioni per cui è sorto il vostro sindacato. Lui  sosteneva che NurSind è nato per recuperare il divario   tra le norme sugli infermieri  e la prassi degli infermieri intervenendo  su ciò che è intermedio tra le norme e la realtà e cioè le organizzazioni e la forma cooperativa. Credo che abbia centrato il problema. Ma  per recuperare questo divario bisogna andare oltre il taylorismo di cui siamo ancora tutti prigionieri. Il divario che dice il suo segretario non si risolve semplicemente con l’attak, cioè incollando la norma alla realtà, ma  in una altro modo.

Ci può spiegare meglio cosa intende? Per noi infermieri questa è una questione  strategica… e poi non ho dimenticato la sua  lezione sulla post ausiliarietà... mi sembrava importante  chiarire ancora di più uno snodo fondamentale della nostra storia recente

Ma il mio non era un rimprovero. Non siamo a scuola e vedo che lei è molto preparata e questo mi fa piacere. Era un modo  per riagganciarmi alla nostra precedente intervista. Veda  la norma a cui ci riferiamo è il profilo professionale, se un profilo viene definito in modo vecchio con la stessa logica del vecchio mansionario cioè per compiti divisi e per giunta  come riferito a se stesso, dentro una organizzazione del lavoro assente, supponendo di attuarlo in riferimento ad  una vecchia forma storica di cooperazione, esso avrà due limiti:

  • quelli tipici dell’autoriferimento cioè di essere smentito ogni qual volta si pone in relazione con gli altri  operatori,
  • e quello di illudersi che la norma  abbia in quanto tale la capacità di attuarsi  senza bisogno di strumenti attuativi, come sono ad esempio le organizzazioni del lavoro

Con le competenze avanzate, che le ribadisco sono del tutto sovrapponibili alle mansioni avanzate, questo profilo viene appena appena ampliato ma senza correggerne i difetti storici  che ne hanno fatto una definizione regressiva di professionalità. Per cui il problema della riforma della divisone del lavoro come vede, si ripropone.

Mi scusi professore se la interrompo… ma mi sono ricordata di un suo articolo  su Quotidiano Sanità nel quale lei dice, a proposito dell’accordo sulle competenze avanzate,  di avvertire la “sensazione  del déjà vu” cioè di rivedere le stesse  logiche che furono  alla base della 42 , è questo che intende dire?

Sgombriamo  il campo. Ogni qualvolta parliamo di competenze avanzate  c’è qualcuno che va fuori di testa. Non stiamo dicendo  che non  sono giuste, siano esse competenze o mansioni. Stiamo dicendo che i confini tayloristici del lavoro tra medici e infermieri, ormai sono consumati e nella pratica molti infermieri  fanno già competenze avanzate e molti medici fanno altro. Sto dicendo che il problema vero è la divisione del lavoro che dobbiamo ripensare. Il  ”deia vu”  a cui lei si riferiva  vuol dire che tanto l’accordo sulle competenze avanzate quanto la norma sul profilo che superava l’ausiliarietà, hanno la stessa logica che è quella dei compiti  e delle mansioni. Quello che io non credo è che basti riconoscere a costo zero  più compiti o più mansioni  per fare la felicità di un infermiere. Non è così.  Pensare di evolvere come professione senza ridiscutere l’organizzazione del lavoro nella quale si lavora  è sbagliato. Quindi io credo che sia necessaria  una vera e propria riforma del lavoro, cioè andare oltre il taylorismo. Chiaro? E poi chi ha detto che dobbiamo sempre partire da una norma? Perché non partiamo anche dalle prassi? Taylor per fare la sua rivoluzione scientifica non ha  aspettato la norma e non ha fatto nessun accordo con il ministero. Ma adesso la prego, non parliamo più di competenze avanzate parliamo di altro...

Certo  ben volentieri ... ci aiuti  a capire  cosa ostacola il cambiamento. Lei è anche colui che ha scritto “Il riformista che non c’è”. Anche gli infermieri sono senza riformista?

Temo di sì. Ma non solo loro. “Il riformista che non c’è” riguarda tanto i soggetti che comandano e decidono, quindi la classe dirigente, tanto i limiti culturali di un intera comunità. Gli infermieri non fanno eccezione. Quindi ciò che ostacola il loro cambiamento  sono dei limiti che riguardano tanto le persone che comandano tanto  le loro visioni culturali. La classe dirigente attuale non riesce  a concepire altro se non aggiustamenti normativi dello  status quo ma senza mai ridiscuterlo veramente, i loro limiti culturali sono tali perché non riescono a concepire, a partire dai mutamenti sociali, istituzionali, economici in essere, ne’ un altro genere di infermiere, ne’ un altro genere di organizzazione del lavoro. Il minestrone però è  cambiato ed è innegabile che ci vuole un altro genere di professione. Oggi in particolare si vola non basso, ma a volo radente... quando si potrebbe  proprio per stare con i piedi per terra volare un po’ più in alto. Ma ciò detto, non possiamo essere ipocriti  e far finta  che si possono  rimuovere i limiti della proposta politica senza ridiscutere i limiti di chi propone quella proposta. Il problema è che per non essere ipocriti si rischia la vita perché la prima cosa di cui sei accusato è di voler fare la pelle a questo o a quello. Lo dico a chiare lettere: se sono convinto che bisogna cambiare linea, questo non vuol dire che sto sostenendo che “qualcuno” (per riprendere un celebre pronome indefinito) non è figlio a mamma sua. Chiaro? Sto semplicemente dicendo che per me  bisognerebbe cambiare strada. Nulla di più. Ne ho fin sopra ai capelli  delle persone che si sentono attaccate sul piano personale, di chi mi dice che mi faccio strumentalizzare e che presto il fianco agli oppositori di questo o di quello. Ma stiamo scherzando?

La vedo un po’ amareggiato...

Ma certo che lo sono... lei non ha idea di cosa mi tocca leggere solo perché  tento di fare onestamente il mio mestiere, in modo responsabile, libero e indipendente. Ma il dolore più grande non sono  le stupide  invettive, gli insulti, i dispetti e le ritorsioni, che mi creda....con le spalle che mi ritrovo... non mi fanno ne’ caldo e ne’ freddo, ma sono i tanti infermieri che conosco, amici miei con i quali ho lavorato in questi anni, che ho formato all’idea di autore combattendo contro coloro che alla fine li vogliono ridurre ad una lavatrice, e che sono disorientati, dubbiosi, messi nella condizione di non sapere a chi dare retta. Conosco  infermieri  straordinari, gente che in modo disinteressato si occupa della categoria  con passione, persone aperte alla progettualità, pronti a mettersi in gioco perché in ballo c’è molto ma molto di più delle miserabilità che per decenza preferisco tacere. Sono un riformatore convinto e a me interessa il cambiamento, ho delle idee, una strategia che ho costruito nel tempo... con anni di lavoro. Di tutto il resto non me ne può fregare di meno. Chiaro?

Professore non so se le fa piacere ma vorrei dirle con il cuore in mano che per molti di noi lei è un riferimento prezioso.  Da lei in questi anni abbiamo imparato molto e, me lo lasci dire, le siamo molto grati. Lei è l’unico che ha avuto il coraggio di parlare tanto della “questione medica” quanto di quella “infermieristica”  dando una pari dignità storica ai nostri problemi. Guardi che il suo saggio sugli infermieri in “snodi cruciali” del 2010 quando ancora non si parlava di competenze avanzate è e resta un punto di riferimento fondamentale.

Se mi dice questo devo averle dato l’impressione di essermi arrabbiato. Me ne scuso ma mi accaloro quando parlo di queste cose e comunque la ringrazio per le sue parole gentili. Qui parliamo di cosa convenga oggi alla sanità, agli infermieri e ai medici. Trovo doveroso  dire  quello che penso senza per questo avere la pretesa di avere ragione. Ma sarei già contento se quello che dico aiutasse a ragionare. Credo nella discussione e confido nella discussione. Si faccia raccontare dai miei studenti in che modo facciamo lezione. Ma torniamo ai nostri problemi, riassumo il mio pensiero: oggi  per tante ragioni non possiamo separare “rappresentanza” da “proposta”.

Lei che è un analista della sanità recentemente si è autoironicamente definito su Quotidiano Sanità, una specie di “birdwatcher” che osserva e ascolta gli uccelli, e tenta di riconoscerne e comprenderne  il canto”. Come birdwatcher  cosa vede nella voliera degli infermieri a proposito di rappresentanza e proposta?

Cosa vedo? Vedo a proposito di rappresentanza  e di proposta  che da  troppi lustri gli infermieri hanno la stessa  classe dirigente e fondamentalmente la stessa proposta  e vedo  che tanto la classe dirigente che la proposta  ha oggettivamente dei limiti. Ciò mi porta a ritenere che il ricambio della classe dirigente si pone con urgenza non tanto perché i mandati di chi dirige gli infermieri si susseguono come se le persone, tra il tripudio popolare che non c’è, diventassero degli highlander, ma perché serve un cambio di logica, di proposta, cioè serve concepire il nuovo per renderlo possibile. E questo è possibile secondo me con un cambio generazionale. Del resto  Renzi  e Grillo , per un birdwatcher, sono due magnifici esempi di come rappresentanza e proposta oggi siano indissolubli. E’ evidente che accanto a tanti riciclati sta cambiando qualcosa perché qualcuno in particolare è cambiato. Non entro nel merito delle loro politiche pur avendo ovviamente le mie idee. Mi limito a dire che vi sono tra gli infermieri dei giovani che sono autentiche schegge ben inseriti nei loro contesti, con nuove idee, nuove energie, nuovi sogni... sì ha capito bene... sogni... e che sono tenuti ai margini della rappresentanza. La vecchia  classe dirigente ha dato molto, ma ha dato, come è normale che sia, anche tutto quello che poteva dare e non credo che possa dare di più. In questa classe dirigente a scanso di equivoci, metto anche le cosiddette  “opposizioni”  ammesso che ve ne siano ma a dir il vero ho i miei dubbi. Per me l’opposizione, e lo dice uno mi creda che di opposizione se ne intende, deve avere una strategia distinguibile da quella dominante. E se mi guardo intorno non vedo grandi differenze strategiche. Se l’opposizione esprime una conflittualità non sul progetto ma contro la leaderschip essa è corresponsabile  tanto quanto la leaderschip delle politiche poste in essere. Oggi quello che vede il birdwatcher è il trionfo del fazionismo e delle guerre personali con il quale lo ribadisco ancora una volta, per chi non avesse capito, non ho nulla da spartire.

Ma come avvengono le degenerazioni.....

Ma le dinamiche che interessano gli infermieri mi creda non sono molto diverse da quelle che hanno decretato la caduta dell’impero romano d’occidente... il tempo come ci ha spiegato Prigogine è il primo fattore di entropia. Oggi quello che vede il birdwatcher nella voliera degli infermieri sono fenomeni tutto sommato che la fisica ricondurrebbe a dinamiche entropiche e dissipative dei sistemi complessi, ma riconducibili a loro volta a delle cause iniziali che per me, essendo stato un diretto testimone degli avvenimenti, sono da ricondurre ad errori di valutazione della attuale classe dirigente. Quando dal tram non si vuole scendere anche quando è arrivato il momento di scendere e si fanno scendere altre persone  senza una giustificazione strategica, di programma, cioè si cambiano i giocatori senza cambiare il modulo di gioco, si creano le premesse per il fazionismo. Se alla capra facciamo le corna poi non ci si può lamentare se siamo i primi ad esserne incornati...