Precariato nella PA: il valore del sindacato nella sentenza della Corte di Giustizia europea del 26 novembre 2014.
È arrivata il 26 novembre la sentenza tanto attesa anche per i colleghi precari della sanità che possono vantare, presso lo stesso datore di lavoro, più di 36 mesi di lavoro a tempo determinato.
Tale sentenza ha avuto come coprotagonista anche il Nursind in quanto facente parte della stessa Confederazione della Federazione Gilda-Unamsed ha collaborato, in piccola parte, all’iniziativa andata a buon fine per i lavoratori. In ambito sanitario, la via giudiziaria è stata più volte sottolineata dal Nursind negli incontri al Ministero della Salute sperando di far capire la necessità e l’urgenza di emanare il DPCM sul precariato in sanità. Lo stallo sul documento che si attende da un anno fa sì che ora la questione trovi uno sbocco verso la magistratura con maggiori oneri a carico dello Stato. Inoltre i limiti così posti al DPCM dalla legge non avrebbero permesso di superare, se non in mina parte, il fenomeno del precariato.
In questi giorni il Nursind ha avuto un incontro con gli uffici legali della Federazione Gilda-Unamsed in particolare con l’avvocato Tommaso De Grandis che ha rappresentato il sindacato presso la Corte di Giustizia Europea sul caso del precariato, per definire una strategia di intervento comune a favore del ripristino del “diritto al lavoro”.
Ricostruiamo anzitutto i passaggi nella difesa dei lavoratori.
Il problema del precariato pubblico, quindi anche del comparto sanità, che ha attivato un numero significativo di ricorsi seriali, al fine del riconoscimento della stabilizzazione del rapporto di lavoro e/o del risarcimento del danno a favore dei lavoratori non stabilizzati che hanno prestato effettivo servizio per più di 36 mesi, era stato momentaneamente risolto a favore dello Stato italiano prima con la sentenza nr.392 del 13 gennaio 2012 della Corte di Cassazione, Sezione lavoro, sul precariato pubblico in generale, poi con la sentenza nr.10127 del 20 giugno 2012 della stessa Corte, sul precariato scolastico.
Le due sentenze certamente hanno posto ulteriori ostacoli all’agognata stabilizzazione del rapporto di lavoro, almeno in Italia, anche se le distinte fattispecie esaminate dalla Suprema Corte riguardavano contratti (un solo contratto a termine, nella sentenza nr.392/2012) stipulati prima del 1° gennaio 2008, cioè prima dell’entrata in vigore dell’art.5, comma 4-bis, D.Lgs. n. 368/2001 e prima del D.L. n.112/2008 (convertito in legge n.133/2008) che all’art.49 ha espressamente previsto l’applicazione a tutte le pubbliche amministrazioni, l’intero decreto legislativo n. 368/2001.
Si ricorda che il suddetto decreto legislativo è quello di recepimento della direttiva 1999/70/CE che, ad oggi, si pone come tutela del lavoro precario nell’ambito di tutti paesi aderenti alla comunità europea, Italia compresa.
Tant’è che la stessa legge n.92 del 28 giugno, 2012, c.d. “Riforma Fornero”, nonostante i limiti anche di lettura del testo, ha statuito che il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro. La suddetta riforma non modifica il periodo complessivo di rapporto a tempo determinato con il medesimo datore di lavoro che consente l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato che, come detto, è di 36 mesi. La riforma aggiunge la possibilità che, a tal fine, si computi anche il periodo lavorativo prestato in missione nell’ambito dei contratti di somministrazione a tempo determinato. E’ stata poi inserita una norma di interpretazione autentica dell’art. 32, comma 5 della L.183/2010, a proposito del risarcimento del danno subito dal lavoratore, nell’ipotesi di conversione di contratto a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La norma prevede, ora, che il risarcimento del lavoratore costituisca l’unico risarcimento spettante al lavoratore relativo al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento giudiziale di conversione del rapporto di lavoro.
Le suddette tutele di legge, però, sono rimaste sulla carta, nei fatti i precari italiani, allo stato, non pare abbiano alcun tipo di tutela a dire delle richiamate sentenze della Corte di Cassazione che, a tutti gli effetti, si pongono come sbarramento al diritto dei lavoratori, che abbiano superato i 36 mesi di precariato, a vedersi convertito il contratto di lavoro a termine a tempo indeterminato e/o a vedersi riconosciuto il risarcimento del danno.
Ma le menzionate sentenze “politiche” (vi è un chiaro richiamo alla gravità della situazione economica per giustificare la incredibile negazione dei diritti dei lavoratori, con generiche argomentazioni che contrastano con quanto invece, puntualmente, affermato dalla Corte dei Conti nella esaustiva relazione del 2 maggio 2012 sul costo del lavoro pubblico) sono state accompagnate, non casualmente, da un importante intervento legislativo.
Infatti, l’art. 53 del d.l. Monti, rubricato “Misure urgenti per la crescita del Paese” n. 83/2012, convertito in legge con modificazioni dalla legge n.134/2012, apportando una modifica al codice di procedura civile, rende inammissibile il ricorso in appello quando esso “non ha una ragionevole probabilità di essere accolto”.
In questo contesto si è inserita la strategia di tutela del “diritto al lavoro” portata avanti in primis dalla Gilda degli insegnanti e nella procedura d’infrazione alla Commissione europea anche da alcuni iscritti al Nursind (febbraio 2013).
La vittoria è stata preparata giocando quindi su più tavoli:
- procedura di infrazione alla Commissione europea, in materia di violazione degli obblighi imposti dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE, riguardante le tutele relative all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP, sul lavoro a tempo determinato ai fini della riqualificazione in un contratto a tempo indeterminato dei contratti a termine dopo 36 mesi di contratti a termine, a qualsiasi titolo prestati e conseguente richiesta di risarcimento del danno.La commissione europea ha qui preso posizione in favore dei precari.
- il sindacato quindi si è anche costituito presso il tribunale di Napoli a supporto della vertenza aperta da una precaria.
- Infine il sindacato si è schierato a difesa degli iscritti alla Gilda di Catanzaro nella causa arrivata in Corte Costituzionale che ha rimesso, per la prima volta, alla Corte di Giustizia la questione del precariato scolastico italiano e più in generale del pubblico impiego.
Nell'ordinanza di rimessione, nr. 207/2013 del 18.07.13, la Corte Costituzionale ha posto due questioni pregiudiziali alla CGUE:
1- se la clausola 5 della direttiva 1999/70/CE, avente ad oggetto “Misure di prevenzione degli abusi” (ndr. dei contratti a termine) osta all'applicazione dell'articolo 4 della l. 124/99 ossia al conferimento di supplenze annuali posti che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre;
2- se le esigenze di riorganizzazione del sistema scolastico italiano costituiscano ragioni obiettive, ai sensi della citata clausola 5 (ossia se la struttura organizzativa del sistema scolastico italiano possa giustificare la reiterazione dei contratti a termine senza che possa conclamarsi la violazione della direttiva sopra menzionata).
L’esito del giudizio è stato a favorevole ai lavoratori riconoscendo che la normativa nazionale, in attesa dei concorsi, non può consentire il rinnovo dei contratti a tempo determinato per la copertura dei posti vacanti e disponibili ed escludere la possibilità di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito.
Dunque, i Giudici italiani, tra cui quelli della Corte di Appello dell’Aquila che hanno riconosciuto il risarcimento del danno di quasi €. 50.000 pro/capite ad alcuni infermieri che hanno adito le vie giudiziali contro la ASL di Pescara, orienteranno i loro giudizi (anche) sulla base di quello che ha deciso la Corte di Giustizia europea di Lussemburgo sulla questione del precariato scolastico.
Stessa considerazione dovrà farsi per la valutazione che la Corte di Cassazione farà in sede di ricorso della ASL avverso quanto disposto dalla Corte di Appello dell’Aquila, con riferimento al citato risarcimento danno e al più generale problema del precariato nella sanità pubblica.
Ciò che emerge da questa sentenza, oltre al merito, sono due aspetti di non poco conto:
- le norme europee prevedono che le parti sociali (i sindacati) abbiano una parte attiva nel processo di formazione delle norme sul diritto del lavoro; e in un momento in cui si vogliono bypassare le rappresentanze dei lavoratori bloccando i contratti e surrogando per legge le materie definite dalla contrattazione non è considerazione irrilevante.
- Solo con la forza di una rappresentanza organizzata di lavoratori si è in grado di difendere il diritto al lavoro.
Per lo Stato e per i Giudici, i precari non avevano diritto ad alcun tipo di tutela in Italia.
La Federazione Gilda-Unams e Nursind hanno diffidato il Governo perché si adegui alle statuizioni della Corte di Giustizia ed alle tutele previste dalla Direttiva 1999/70/CE e si riservano di valutare tutte le iniziative possibili, giudiziarie e politiche, al fine di ricostruire uno stato di diritto anche per i precari.
Il sindacato, quindi, oggi “supplendo” alla politica ed ai partiti nonché alle stesse istituzioni, si pone quale possibile strumento “politico” strategico impegnato per il miglioramento delle condizioni di lavoro, della giustizia sociale, della solidarietà tra le generazioni, della lotta contro le esclusioni e la discriminazione sociale a difesa, in ultima analisi, dei valori fondanti di uno Stato di diritto.
Alla luce delle richiamate considerazioni e del rapporto diretto con gli avvocati della Gilda degli insegnanti con cui abbiamo seguito l’evolvere della questione, il Nursind propone ai suoi iscritti per le cause in corso di:
- comunicare agli avvocati che potranno chiedere l’applicazione dell’art. 5, comma 4 bis, del d.lgs. 368/01 per i precari che abbiano maturato i 36 mesi alla data del 13.05.2011 poiché fino alla citata data l’articolo in questione consentiva la stabilizzazione dei precari a norma di legge;
- comunicare agli avvocati di chiedere, anche in via subordinata, la rimessione costituzionale per far dichiarare illegittime le norme che hanno abrogato il menzionato art. 5 e gli altri articoli di tutela dei precari.
Le nuove iniziative giudiziarie seguiranno le seguenti fasi:
a - In prima battuta verificare con i delegati sindacali e gli avvocati la situazione specifica di ogni singolo precario con riferimento al servizio prestato.
b - All’esito delle verifica in questione potrà essere incardinato un ricorso presso il Tribunale competente per territorio per la riqualificazione dei contratti a termine su posti vacanti e disponibili;
c - La Federazione Gilda–Unams e Nursind presenteranno, comunque, un ricorso presso il Tribunale di Roma per risarcimento del danno per inadempimento degli obblighi comunitari del Governo italiano. Al suddetto ricorso potranno partecipare tutti i precari che vorranno prenderne parte, indipendentemente dalla loro sede di servizio e dal fatto di avere attivato il ricorso per la riqualificazione del rapporto di lavoro.
L’auspicio che facciamo che è ci sia una soluzione normativa che sani questa negazione del diritto nazionale e comunitario.