Infermieri, medici e l'accoglienza imperfetta; se la loro comunicazione è inefficace sono guai per tutti!
Che cosa significa “ACCOGLIENZA IMPERFETTA“?
Le vite imperfette sono le nostre. Certamente la mia. Il saggio userebbe il suo tempo vuoto per cercare di avvicinarsi alla perfezione. Alla sua idea di perfezione. O forse, anzi meglio, al perfezionamento possibile di sé. All'accumulo di conoscenze che meno sono tecniche e più mi sembrano importanti, quasi necessarie. Preferisco siano altri ad accumulare conoscenze tecniche, e certo, non è sempre stato cosi nella mia vita imperfettissima. L'accoglienza fa parte del processo di perfezionamento di sé. Accogliere i concetti, i sentimenti, le opinioni, persino le sensazioni degli altri, fa parte dell'accumulo della conoscenza. Comporta un minimo sforzo concettuale però, ma questa accoglienza la si può interrompere in qualsiasi momento per tornare felicemente chiusi dentro noi stessi. Accogliere gli altri, rispettarne la presenza, persino l'essenza è tutt'altra cosa. Accoglierli senza imperfezioni, poi è difficilissimo per quanto possa sembrare necessario. Ogni imperfezione nell'accoglienza, infatti, equivale per lo meno ad una scortesia. [1]
Questa è in estrema sintesi il significato della parola "accoglienza", comunicare efficacemente e stabilire delle relazioni sane è uno degli aspetti più importanti, più decantati ma anche tra i più trascurati nei processi di assistenza.
Vi sono tanti buoni motivi per cui ogni Infermiere ed ogni Medico dovrebbero coltivare conoscenze nel campo del counselling sanitario (il lettore scelga i motivi prioritari).
Per migliorare la qualità del proprio lavoro; ritengo che la qualità "vera" sia quella che viene percepita dall'Utente come tale, essere considerati bravi è altrettanto importante quanto esserlo, il risultato potrebbe essere una cocente delusione per il Professionista se il messaggio non arriva chiaro ed inequivocabile a chi sta dall'altro lato della barricata. La qualità va comunicata! Ho visto tanti Medici ed Infermieri in gamba essere semplicemente detestati dai loro pazienti.
Per aumentare l'efficacia dei trattamenti; molti studi internazionali confermano che solo il 40% dei pazienti segue le indicazioni dei Medici curanti, questo non perchè essi abbiano deciso di fare lo sciopero dell'ascolto ma perchè pensano che ascoltare le incomprensibili disquisizioni mediche con tanto di "parolone" allegate sia sostanzialmente inutile, meglio affidarsi a wikipedia che ti dice quello che vuoi sapere, quando lo vuoi sapere e senza fare la fila o prenotarsi una visita.
Per gestire i conflitti, ridurre l'aggressività dell'Utenza e per farsi ascoltare.
Per star bene con se stessi.
Per il benessere organizzativo, per indurre all'auto-realizzazione, all'auto-affermazione del sè, al senso di identità e all'autostima.
Per aumentare la resistenza allo stress lavorativo e per salvarsi dal burnout.
Eppure molti Professionisti sanitari (quasi tutti) ritengono di avere le competenze adeguate per una comunicazione efficace e per stabilire relazioni sane, forse è vero nella vita di tutti i giorni dove si tratta comunque di relazioni elettive (amicizie) o selettive (gruppi sociali); non è certamente cosi nella "RELAZIONE DI AIUTO" o nell'attività lavorativa in cui non ci si può scegliere i pazienti, i colleghi o i propri capi.
Ma come stanno realmente le cose?
Tre Infermieri hanno provato a dare alcune risposte in uno studio effettuato in seno al Master biennale di Management della Relazione di Aiuto Professionale del Scuola Gestalt Psico-Sociale; il sottoscritto, Maria Caterina Marchese e Anna Alcamo. Nello studio si indagava la qualità della Comunicazione e della Relazione tra Operatori ed Utenti chiedendo cosa ne pensassero direttamente ai Degenti di alcune U.O. attraverso interviste eseguite poco prima delle dimissioni. Ai pazienti veniva chiesto di dare una valutazione complessiva del reparto sulla base dell'esperienza di ricovero, in seguito una valutazione sulle performance comunicative e relazionali dei Medici, degli Infermieri e degli OSS. successivamente è stato chiesto di citare tra tutto il Personale chi li aveva maggiormente aiutati nell'esperienza della malattia (si poteva nominare liberamente qualunque Operatore). Ebbene, sono stati nominati meno di un Medico su 5, un Infermiere su 4 (va un pò meglio) e sorpresa, sorpresa..... due OSS su tre; quest'ultimo dato si può spiegare facilmente in quanto lo stile comunicativo e relazionale dell'OSS in genere è più spontaneo, più semplice, più genuino e più diretto (quindi più apprezzato) rispetto allo stile usato da Medici ed Infermieri zavorrato da stereotipi, da preconcetti, dal ruolo, dalla responsabilità, dagli errori della formazione di base e dalla mancata formazione ed aggionamento post base. Altra sorpresa... il Personale citato è anche il responsabile delle valutazioni sostanzialmente positive date dai Degenti all'intera Unità Operativa e complessivamente della valutazione data ai Medici, agli Infermieri e agli OSS; senza l'opera di questi pochi Operatori la valutazione non avrebbe superato la sufficienza.
E COL MONDO ESTERNO?
Una volta superato il mito "dell'Infermiere la Persona più vicina al Malato", bisogna dire che per quanto riguarda gli Infermieri le cose vanno ancora peggio se si prende in considerazione la comunicazione tra loro e i Medici (che questo lavoro lo fanno da seimila anni) e tra Infermieri e l'Azienda, infatti nel campione dello studio citato, il 62% di essi ritiene di non essere tenuto in considerazione dai Dirigenti e dall'Azienda.
Gli Infermieri sono alla ricerca di una identità perduta, ma la loro cassetta degli attrezzi (in senso gestaltico si tratta degli strumenti indispensabili per una buona comunicazione) è ancora desolatamente vuota... manca dell'assertività necessaria, dell'ascolto attivo, delle conoscenze di base della fenomenologia della comunicazione e (cosa molto grave) vi è poca empatia. Egli si è molto tecnicizzato avvicinandosi un poco al Medico ma allontanandosi enormemente dal malato; la resistenza al contatto con il bisogno di comunicare e relazionarsi in maniera efficace (non solo con l'Utente, ma con il mondo esterno) si basa essenzialmente sulla proiezione (è sempre colpa degli altri... colleghi, superiori e Azienda) o sulla deflessione (tanto il mondo non cambia, tanta fatica per niente, piegati giunco che passa la piena) eppure vi è da tanto fare su questo versante perchè l'empatia pur essendo una tendenza tipicamente umana che va affinata nel tempo e va imparata, ma non sui libri!
Quando storie come quella che ho appena raccontato non trovano soluzioni nel cambiamento, si incancreniscono nel tempo peggiorando le condizioni di lavoro... allora semplicemente ci siamo giocati l'Infermiere e ci ritroveremo ad averne sempre un maggiore numero destrutturati e privi di quella capacità di aiuto che fa di un Infermiere... un Infermiere.
Le cose che contano vanno dette dove conta quello che dici, le cose importanti vanno fatte dove è importante farle.
[1] Eduardo Nesi, La Repubblica R2 Cultura, pag. 44 sabato 14 luglio 2012