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Contratto a tutele crescenti a tempo indeterminato. Come funziona. Il doppio binario per i licenziamenti

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 10/06/2018 vai ai commenti

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In attesa della riforma del lavoro che dovrà essere attuata dal nuovo esecutivo, il contratto a tutele crescenti è il contratto a tempo indeterminato introdotto dal Governo uscente ha introdotto con il Jobs Act.

La nuova disciplina del contratto a tutele crescenti (dove, come accennato, le tutele sono quelle relative ai licenziamenti illegittimi) riguarda innanzitutto i lavoratori, ad esclusione dei dirigenti, che siano assunti a tempo indeterminato a partire dal 7 marzo 2015.

Essendo riservato ai neoassunti, la normativa in materia di tutele rispetto ai licenziamenti illegittimi si configura come un doppio binario in cui per alcuni lavoratori restano efficaci ed operative le disposizioni in materia di recesso datoriale previste nello Statuto dei lavoratori (come riformato nel 2012) e nella legge n. 604/1966, mentre per altri trovano applicazione le nuove tutele.

 

La riforma ha eliminato 40 forme contrattuali, ha introdotto la possibilità di avere il TFR in busta paga per i lavoratori che lo richiedono ed ha abolito l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

 

Cosa prevede nel dettaglio la normativa sul contratto a tutele crescenti?

Per comprenderlo, analizziamo la reale novità del contratto, il licenziamento.

 

Licenziamento illegittimo, no alla reintegra

Qualora non vi siano nel licenziamento, gli estremi della giusta causa e del giustificato motivo, e questo è da ritenersi illegittimo, in via generale non è prevista la reintegra ma il rapporto di lavoro è considerato estinto alla data del licenziamento e il datore di lavoro è condannato a pagare al lavoratore un'indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del T.F.R. per ogni anno di servizio, comunque compresa tra quattro e ventiquattro mensilità.

Solo in un caso è prevista la reintegra: il caso in cui in cui il fatto contestato al lavoratore e alla base del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo sia insussistente.

In tale ipotesi il datore di lavoro è tenuto anche al pagamento in favore del lavoratore di un'indennità risarcitoria, commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del T.F.R., corrispondente al periodo che va dal giorno del licenziamento a quello dell'effettiva reintegra.

Un'ulteriore eccezione nei casi, è quellain cui l'illegittimità derivi da un difetto di motivazione o da vizi procedurali.

In tale ipotesi comunque non è prevista la reintegra e il rapporto di lavoro si intende estinto alla data del licenziamento, ma l'indennità erogata, anche in questo caso non assoggettata a contribuzione, è pari a una mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del T.F.R. per ogni anno di servizio e comunque compresa tra due e dodici mensilità.

 

Licenziamento discriminatorio, nullo o orale

Qualora il licenziamento intimato dal datore di lavoro sia nullo perché discriminatorio o in quanto derivante dagli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge o nel caso in cui esso sia intimato in forma orale rimane per il datore di lavoro l'obbligo di reintegrare il dipendente.

Se però il lavoratore non riprende servizio entro trenta giorni dall'invito formulatogli dal datore di lavoro il rapporto si intende risolto.

Unitamente alla reintegra, il datore di lavoro è tenuto anche a risarcire il lavoratore per il danno subito.

 

La revoca del licenziamento

Nel caso in cui il licenziamento sia revocato dal datore di lavoro entro quindici giorni da quando riceve la comunicazione della relativa impugnazione, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità.

Il lavoratore, in tal caso, ha anche diritto alla retribuzione maturata nel periodo antecedente la revoca e i regimi sanzionatori non trovano ovviamente applicazione.

 

Da StudioCataldi