Per la giurisprudenza italiana, l’infermiere resta un mero esecutore.
A niente vale il processo evolutivo di questi ultimi vent’anni, l’affermazione della professione infermieristica come intellettuale, autonoma e responsabile, il percorso universitario compiuto.
La figura dell’esecutore sembra essere ancora forte e radicata: è quanto si evince dalla Sentenza del 30 maggio 2018, n. 465 , del Tribunale di Termini Imerese, dove, a proposito della decisione di procedere a un atto sanitario coattivo senza il preventivo consenso, afferma che il medico ha agito come “mandante” e i due infermieri ai quali è stata affidata la trasfusione, gli esecutori.
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Riportiamo nella sua interezza, la sentenza ed il relativo commento del giurista Luca Benci.
Il fatto
Una giovane donna di 25 anni, alla tredicesima settimana di gravidanza, viene ricoverata nel reparto di ostetricia dell’ospedale di Termini Imerese con diagnosi di “minaccia di aborto. Iperemesi gravidica. Squilibrio elettrolitico”.
Nel corso del ricovero viene ripristinato l’equilibrio idroelettrolitico della gestante, verificato l’accrescimento del feto e riscontrato turbe psichiche, verosimilmente su problematiche organiche e non necessitanti di terapia farmacologica.
Dopo una settimana, ristabilita l’omeostasi organica, la paziente viene dimessa. A otto giorni dalla dimissione viene di nuovo ricoverata per l’insorgenza di una sintomatologia caratterizzata da “vomito e dolore addominale a cintura nella regione dell’ipocondrio destro”.
Al nuovo ricovero la visita ostetrica mostrava un quadro ricadente nella norma e l’ecografia office evidenziale la vitalità del feto, la normale quantità del liquido amniotico e l’impervietà del canale cervicale”. All’esame obiettivo generale presentava “dolore in sede epigastrica ed ipocondrio sn con irradiazione posteriore”.
A una successiva ecografia presentava una colecisti distesa con microlitiasi intraluminale”. A livello sierologico si constata un aumento degli enzimi pancreatici, epatici e della bilirubina.
Viene deciso l’intervento chirurgico per colecistectomia per via laparoscopica. Decisioni successivamente ritenuta corretta. La descrizione dell’intervento non evidenzia problemi particolari e non crea problemi neanche il primo controllo post operatorio.
Dopo qualche ora la donna accusa contrazioni uterine e viene sottoposta a consulenza ostetrica. Viene effettuata un’ecografia che evidenziava una frequenza cardiaca fetale gravemente o persistemente bradicardica.
L’ecografista suggerisce la rivalutazione della frequenza cardiaca a breve distanza che però non viene effettuata a causa della decisione di procedere a nuovo intervento chirurgico in laparoscopia dove all’ingresso in peritoneo si evidenzia presenza di sangue subfrenico destro e sinistro e l’ispezione documenta presenza di “sanguinamento che viene arrestato con coagulazione e punto transfisso transparietale”. Posizionato drenaggio di Penrose.
La paziente, tra i due interventi, non ha presentato segni di shock ipovolemico.
Il giorno successivo all’intervento la paziente viene sottoposta a Tac all’addome dove si evidenzia un aborto interno. Si riscontra inoltre un decremento dell’emoglobina, dell’ematocrito e delle emazie. I medici decidono per una trasfusione. La paziente, in ossequio alla sua fede religiosa – appartenente alla Confessione dei Testimoni di Geova, rifiuta il consenso.
I medici, informato il magistrato di turno sulla necessità della trasfusione, procedono alla stessa. il giorno dopo la paziente viene sottoposta a raschiamento della cavità uterina e successivamente dimessa.
Non vengono evidenziati profili di responsabilità sulle condotte cliniche e sulla morte del feto.
Il problema della trasfusione effettuata senza consenso
I quattro medici coinvolti sono stati assolti dal capo di imputazione relativo all’aborto colposo previsto dall’articolo 17 della legge 194/78, mentre uno di loro, il primario, è stato condannato per il reato di violenza privata.
Aggiungiamo alcuni elementi di conoscenza: la paziente, all’atto del ricovero, aveva consegnato le proprie “direttive anticipate alle cure mediche con contestuale designazione di amministratore di sostegno” con le quali rendeva edotta l’intera equipe del rifiuto alle trasfusioni per motivi religiosi.
Nella documentazione sanitaria del reparto di chirurgia generale risultavano le seguenti annotazioni:
a) “presa visione degli esami ematochimici si prepara emotrasfusione urgente che la paziente rifiuta ostinatamente contro parere dei sanitari”;
b) “alla luce dell’emocromo effettuato stamattina (5,3 Hb), considerato lo stato di necessità specifico, tenuto conto del credo religioso si informa il magistrato di turno del Tribunale di Termini Imerese e si procede ad emotrasfusione di emergenza”.
In dibattimento il magistrato ha riferito che il medico le aveva rappresentato il pericolo di vita della donna e del feto (già abortito in realtà!) e di avere spiegato al medico che il pubblico ministero non “è l’autorità competente ad autorizzare un trattamento sanitario coattivo”.
Viene ricostruito il colloquio tra il primario (direttore) e la paziente in cui si evidenziava la necessità della trasfusione. Il medico informava la donna che aveva ottenuto l’autorizzazione del magistrato (fatto non risultato veritiero, come abbiamo visto). Informazione ripetuta alla paziente da un infermiere che procedeva all’esecuzione della trasfusione mentre la sua collega infermiera metteva in atto una contenzione manuale: “l’infermiera le teneva ferme le ginocchia e il braccio mentre la signora piangeva ripetendo di non volere la trasfusione”. La coordinatrice infermieristica ha presenziato per tutta la procedura e ha confermato i fatti.
Non si pone neanche il problema della configurazione dell’attività coattiva come terapia salvavita in quanto i valori di ematocrito e emoglobina stavano risalendo spontaneamente dopo l’intervento chirurgico che aveva provveduto a bloccare il sanguinamento e agli effetti della terapia farmacologica prescritta (Novoseven).
Commento
Il reato contestato è di violenza privata previsto dall’articolo 610 del codice penale il quale recita testualmente: “Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni”.
Come è noto non si possono effettuare trattamenti sanitari senza il consenso del paziente. Questo è dovuto a precisi richiami costituzionali puntualmente richiamati da una copiosa giurisprudenza della Consulta e dei tribunali di merito e di legittimità e diligentemente riportata nelle motivazioni di questa sentenza.
I richiami agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione sono anche alla base della recente legge 219/17 sul consenso informato e sulle disposizioni anticipate di trattamento (all’epoca dei fatti non in vigore però).
La donna è stata costretta a subire una trasfusione di sangue in base a una falsa dichiarazione del primario che ha riferito una inesistente autorizzazione del PM di turno in cui era stato prospettato il pericolo di vita del feto quando la donna aveva già abortito. La prassi ospedaliera di invocare l’intervento del pubblico ministero di turno è tanto diffusa quanto giuridicamente del tutto immotivata.
Correttamente il magistrato in udienza ha ben specificato di essere del tutto privo di poteri di intervento su trattamenti sanitari obbligatori che, a norma di Costituzione, devono essere specificamente previsti da una legge ordinaria dello Stato. Come è noto non esiste una legge che imponga una trasfusione ematica a pazienti dissenzienti.
Il rifiuto al trattamento prevale su ogni altro aspetto – quanto meno in questo caso e nei casi similari – e il richiamo dell’abusatissimo richiamo alla scriminante dello stato di necessità, ex art. 54 codice penale, osservano i giudici siciliani, non è comunque invocabile.
Interessante la notazione effettuata dal Tribunale di Termini Imerese proprio sullo stato di necessità: “non esiste nel nostro ordinamento un soccorso di necessità cosiddetto coattivo, che appunto possa travalicare la contraria volontà dell’interessato, posto che il perimetro della scriminante stato di necessità, alla luce dei principi costituzionali, è rigidamente circoscritto al fatto che il paziente non sia in grado di prestare il proprio dissenso o consenso”. Cosa non presente nel fatto di specie. Sulla base di tali considerazioni la trasfusione praticata alla donna è stata ritenuta “del tutto ingiustificata”.
Risulta quindi integrato il reato di violenza privata che tutela, lo ricordiamo, la libertà psichica dell’individuo.
I tipici elementi per l’integrazione del reato sono stati presenti: la “condotta violenta e l’evento finale”. La condotta violenta si è concretizzata “in tutte le manovre poste in essere al fine di introdurre l’ago cannula in vena e quindi nel corpo del paziente”, mentre l’evento di coazione è consistito nell’immissione in circolo del sangue all’interno del suo corpo e quindi nella emotrasfusione”.
Nessuna rilevanza è stata riconosciuta sul fatto che la paziente non si sia “eventualmente divincolata e non abbia opposto resistenza fisica” visto che era fortemente debilitata – due interventi chirurgici in breve tempo e forte anemia (a parte il fatto che comunque una modesta iniziale contenzione le era stata praticata). Irrilevante anche il fatto che la donna non si sia successivamente sfilato l’ago cannula.
Il giudice siciliano ha poi usato parole forti nei confronti dei rapporti tra medici e infermieri anche se quest’ultimi non erano coinvolti nel giudizio. Afferma infatti che il primario ha agito quale “mandante della violenza privata, disponendo che alla paziente fosse praticata, nonostante il suo dissenso l’emotrasfusione”.
Il medico “mandante” e gli infermieri evidentemente esecutori. Il primario ha sfruttato la sua posizione gerarchica per imporre a infermieri – evidentemente non consapevoli del proprio ruolo – manovre atte a eseguire una trasfusione senza consenso.
La cultura organizzativa di chiara impronta gerarchica, tipica della seconda metà nel novecento, evidentemente continua a essere presente nelle organizzazioni sanitarie italiane facendo strame non solo della dignità di tutti i membri dell’equipe coinvolti, ma soprattutto dei diritti costituzionali delle persone assistite che si trovano alla mercè di questa impostazione professionale.
Non possiamo che concordare con chi era già intervenuto su queste colonne sulla vicenda, stigmatizzando l’esistenza di una diffusa cultura vitalista – copyright Maurizio Mori – nel mondo professionale che contrasta non solo con i principi costituzionali ma anche con i codici di deontologia medica degli ultimi 20 anni.
Rimangono sullo sfondo i due infermieri “esecutori” in quanto non coinvolti nella vicenda processuale, ma che sono intrisi della stessa arretratezza culturale dei loro dirigenti.
da Quotidiano Sanità
17 commentiScrivi nuovo
Matteo Mugnai
Non solo per la giurisprudenza, ma anche per il CCNL. L'infermeriere in quanto professionista collabratore inquadrato nel comparto non ha riconosciuta l'autonomia professionale propriamente detta o meglio ha anche l'obbligo di rispondere al Dirigente Medico, Psicologo, Farmacista, etc.
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Mirco Romanato
Mi dispiace, l'accaduto dimostra l'ignoranza del personale medico ed infermieristico sulle procedure per un trattamento sanitario obbligatorio (TSO). Gli infermieri in questione, da quello che traspare dall'articolo, si sono comportati come meri esecutori di ordini senza pensare e senza sapere quello che facevano. Se il Dirigente Medico (o altro) prende decisioni evidentemente errate gli infermieri (che sono professionisti e sono dotati di propria volontà) devono contestare l'ordine. Questo, a meno che il Primario non abbia tratto in inganno il personale, come ha tratto in inganno la paziente, dichiarando cose false. Ma il personale sanitario (Medici ed Infermieri) dovrebbe sapere cosa è necessario fare per eseguire un trattamento sanitario contro la volontà di un paziente in modo legale.
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Felicia Di Bacco
Da ciò che leggo la responsabilità di essere meri esecutori è proprio dovuta alla considerazione che noi infermieri abbiamo della nostra professione e lo dimostriamo ogni giorno in ogni sede non ultimo nel firmare il contratto, perché sono le tessere dei tanti infermieri che hanno permesso a quelle sigle sindacali di firmare il contratto. Noi siamo il male di noi stessi......e, se pure abbiamo marciato su roma, nelle sedi aziendali ci inchiniamo ai voleri delle sigle maggioritarie. Avevo 18 anni quando ho scelto di fare l'Infermiere e ci credevo nel riscatto di questa professione ora, mi dispiace, non ci credo più
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Gabriella Anconelli
Finché avremo dei politici attaccati alla poltrona e interessati esclusivamente al proprio tornaconto e a quello dei loro “compatrioti “, assisteremo a questo scempio professionale, per di più alimentato dai soliti ignoranti che invece di inquadrare i veri responsabili, di ostina ad accanirsi contro i propri colleghi.
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Mirco Romanato
Chi è il responsabile delle azioni degli infermieri in questione se non gli stessi infermieri? Che abbiano agito per ignoranza o per sottomissione al medico, sono responsabili delle loro azioni. L'essere professionisti IMPLICA essere responsabili per le proprie azioni. Se gli infermieri imparassero a dire "NO" motivando adeguatamente il loro rifiuto, magari otterrebbero il rispetto che tanto desiderano e verrebbero ascoltati.
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Paolo Messina
Faccio notare che l'articolo apparso su Qs è a firma di Benci. Mi sembra corretto citarlo
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maria luisa asta
"Riportiamo nella sua interezza, la sentenza ed il relativo commento del giurista Luca Benci" faccio notare che nell'articolo è citato, come pure nell'incipit della condivisione. Noi non abbiamo l'abitudine di non riportare le fonti. Notare la fonte anche a fine articolo. Basterebbe aprire l'articolo e non fermarsi al titolo. Cordialmente
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Giovanni Carrella
L'involuzione dell'infermiere
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Mirco Romanato
La sentenza dice che gli infermieri si sono comportati come meri esecutori degli ordini del mandate (il primario / medico). La sentenza non dice che gli infermieri (come categoria) sono meri esecutori degli ordini del medici (come categoria). La sentenza dice che GLI INFERMIERI IN QUESTIONE si sono comportati come meri esecutori degli ordini del medico in questione. L'involuzione dell'infermiere (o dell'italiano in generale) è anche non essere in grado di leggere correttamente un articolo e/o una sentenza scritta in lingua italiana e comprenderne il significato.
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Francesco Manzi
Mi pare abbastanza ovvio. I medici hanno bisogno dii personale sanitario che esegua le indicazioni terapeutiche senza star li a discutere. Se gli infermieri non vogliono più farlo perchè avvertono un certo svilimento professionale, dal mio punto di vista diventano poco utili. L anarchia generata da un esercito di soli fenerali di certo non gioca a favore dei pazienti
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Paolo G.
Mi pare che in questo caso sia stato proprio l’atteggiamento del medico a creare un problema al paziente. (Il primario oltre ad aver preso una decisione errata ha anche mentito) Se gli infermieri avessero operato in autonomia come avviene in altri paesi in cui l’autonomia professionale non crea frustrazione e smarrimento nella classe medica probabilmente non si sarebbe recato danno alla paziente. D’altronde l’Italia da questo punto di vista arranca. Nei paesi anglosassoni la figura del medico non vive il senso di insicurezza nei confronti di altre figure professionali. Si fa ricerca,si fa statistica si valutano costi e benefici e pragmaticamente si decide che una determinata procedura possa essere svolta da altri operatori in autonomia. Solo qui assistiamo da qualche decennio ad una involuzione della preparazione dei medici che sono diventati sempre più dipendenti da esami e accertamenti tecnici, con formazione universitaria sempre più incerta e balbettante. Non si spiega altrimenti il timore di perdere la posizione di prestigio (in realtà già molto in crisi) nei confronti di profili professionali non medici. Il meccanismo di difesa della casta, questo è l’unico vero problema che va a discapito del paziente. Comprendo la frustrazione dei colleghi che dopo anni di studio si trovano a competere con figure tecniche che essendo iper specializzate (e culturalmente formate) sono perfettamente in grado di avere una visione specifica spesso al pari o superiore a quella di un medico, ma il mondo sta cambiando e se non ci si adegua si rischia di essere relegati a meri compilatori di ricette o prescrittori di esami alla ricerca del risultato su cui fare diagnosi. Senza metterci nulla di proprio.
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ernesta floris
Io leggerei la sentenza non come uno svilimento della categoria, e neppure degli infermieri coinvolti, ma al contrario come il riconoscimento del dato reale, che tutta questa autonomia di fatto l'infermiere non ce l'abbia, e che giustamente ne debba rispondere solo chi ha abusato della propria autorità. Quindi non capisco perché indignarsi se almeno le sentenze giuridiche prendono atto della realtà, cioè che l'infermiere per davvero è un mero esecutore. Certo non in tutte le realtà, ma in molte quali quella delle corsie si. Concordo pienamente con il dott. Manzi quando dichiara che i medici necessitano di personale che esegua senza discutere. Quel personale c'è ,si chiamano OSS. Io infatti toglierei l'infermiere dalle corsie, lo inserirei in tutti quei contesti extra ospedalieri previsti, e all'interno della struttura ospedaliera prevedrei dei team infermieristici differenziati per specialistiche, ai quali i medici della corsia potranno richiedere la consulenza, per tutti quegli ordini che non potrebbero dare agli OSS, meri esecutori, ma dei quali, per il solo averlo ordinato risponderanno dell'esecuzione, senza condivisione di colpa, immagino non sia questo un problema per i medici i quali dotati di un estremo senso di responsabilità mai e poi mai davanti a queste hanno cercato di "scaricarle" che so, su uno a caso, all'infermiere. Francamente io chiuderei il discorso sull'autonomia, la quale è giuridicamente prevista, e focalizzerei l'obbiettivo sui contesti nei quali ne è previsto l'esercizio ma dai quali di fatto siamo fuori, cioè dobbiamo pretendere di occupare tutti quei contesti previsti dalla nostra giurisprudenza. Solo lo sdoganamento dai turni della corsia,( nella quale non si può disconoscere la quasi totale impossibilita di esercitare alcun tipo di autonomia professionale)dove sono sufficienti medici e meri esecutori, potrà dare il giusto valore alla professione infermieristica.
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Maria Grazia Bensi
Mi auguro che dove non è arrivato l'atto giuridico sia arrivato il potere sanzionatorio dell'Ordine delle Professioni infermieristiche. Sono molti gli articoli del Codice Deontologico violati in questa vicenda.Ritengo che la severità del giudizio degli organi professionali sia indispensabile.
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Giuseppe Cile
Mi dispiace andare contro corrente ma non mi sento di condannare i colleghi infermieri che hanno eseguito l’ordine del primario, hanno salvaguardato il fondoschiena, perché in italia non sei tutelato, il primario può fare di te quello che vuole(ed uno che è arrivato a mentire spudoratamente dicendo che era autorizzato dal giudice è capace di qualuque cosa), in certe situazioni bisogna trovarsi prima di parlare, l’arma è sempre la stessa, paura di persecuzioni, mobbing, sospensioni... a questo si va in contro dicendo NO se non sei sicuro al 100%, in quel caso i colleghi avrebbero dovuto chiedere delle prove? Magari un fax che dimostrasse che il primario stesse dicendo il vero? Ma non scherziamo dai!! In quella situazione con la coordinatrice che guardava tutto? Qualcuno ricorda il collega di Ancona che ha preteso il riposo post reperibilità andata male? Sotto processo, sindacati, Luca Benci che ha aiutato, e lui aveva solo chiesto il rispetto di un diritto! Prima di essere professionisti siamo essere umani.
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Serena Parisi
Deludono i colleghi infermieri. Dimostrano come l'evoluzione e la crescita della categoria siano solo sulla carta. Il fatto che non siano rifiutati di eseguire l'emotrasfusione, dimostra solo ignoranza in materia ma anche mancata coscienza del proprio ruolo. E questo è un problema serio soprattutto perché è un fenomeno diffuso. Urgono provvedimenti e cambiamenti. A causa di colleghi non preparati e di quelli che rifiutano la crescita continuando a lavorare come meri esecutori, la nostra professione sta tornando indietro di decenni!!!
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Giseppe Cile
Mi dispiace leggere certi commenti dei “colleghi”, davvero non avete capito niente di come funziona in questo paese, sembra che alla fine la colpa di tutta la vicenda la date agli infermieri presenti all’evento incriminato, non ho parole!! Il primo nemico dell’infermiere è l’infermiere stesso.
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