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Infermiera accusata di “lesione colposa aggravata” dopo una intramuscolare. Assolta per prescrizione dei termini

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 24/08/2018 vai ai commenti

AttualitàLeggi e sentenze

L’infermiera era stata condannata, dalla Corte di Appello, per lesione colposa aggravata, dopo aver praticato una intramuscolare alla paziente, ad assolverla la sezione 4 penale della Cassazione che con la sentenza 37793/2018, per prescrizione dei termini e per analisi carente dei fatti.

 

La Vicenda

L’ infermiera, operante in una casa di cura, aveva somministrato su prescrizione del ginecologo , due fiale di progesterone per via intramuscolo.

L’iniezione veniva effettuata dall’infermiera presso la sala travaglio della clinica su incarico del ginecologo di turno e subito provocava nella persona un forte bruciore al quale faceva seguito la perdita della sensibilità degli arti inferiori.

L’ inoculazione in un vaso lombare causava colposamente un'immediata ischemia del midollo spinale e comunque un danno midollare irreversibile, perché la sostanza raggiungeva il midollo spinale e cagionava lesioni gravissime consistite in paraplegia flaccida e anestesia toracica ,con perdita dell'organo della deambulazione, dell'organo della minzione con ritenzione urinaria cronica, perdita dell'organo della defecazione con incontinenza fecale cronica, indebolimento permanente dell'organo della sensibilità e della funzione sessuale.

La sentenza di primo grado che è integralmente richiamata dalla Corte

territoriale, nella sia pure stringata motivazione finale ," ritiene evidente la

responsabilità dell'infermiera.

 

La Cassazione, ricostruisce le motivazioni presentate dall’infermiera a sua discolpa:

-la posizione obliqua fatta assumere all’infermiera, era perfettamente consentita dai manuali di scienza infermieristica e dalle prassi, che si “limitano ad asserire che il muscolo deve essere rilassato”, non può essere qualificata come addebito di colpa;

 

- circa la mancata effettuazione di una corretta iniziale prova di aspirazione, l’infermiera ha sempre dichiarato di aver fatto tale prova e di essere risultata negativa e che in ogni caso anche i periti nella conclusione hanno affermato “l’iniezione eseguita cranialmente rispetto alla regione glutea destra ha provocato la lesione di un vaso arterioso di cui l’operatrice non si è accorta, probabilmente anche stante la mancanza di aspirazione di sangue nella siringa che potrebbe risultare difficoltosa per lo spasmo delle pareti del vaso lesionato. A tale proposito in letteratura si segnala la possibilità che l’introduzione dell’ago in arteria non sempre si associ all’aspirazione del sangue ...”, questo per il verificarsi del vasospasmo e la conseguente chiusura del vaso arterioso, il che supporterebbe la tesi del cosiddetto falso negativo, che con motivazione non adeguata né condivisibile, non è stata presa in considerazione dal Tribunale e anzi ritenuta “talmente improbabile e non in grado di interrompere il nesso causale”;

 

- nessun addebito può essere mosso all’infermiera circa il fatto di non aver ripetuto l’aspirazione durante l’esecuzione né circa la mancata interruzione dell’iniezione al verificarsi del dolore acuto della paziente, in quanto secondo e affermazioni del perito “in realtà non c’è una regola, è forse una norma di buon senso perché se il problema è il dolore, potrebbe anche aver preso una radice diramazione nervosa”;

 

- quanto alla contestazione della non corretta sede per la inoculazione del farmaco, cioè la zona lombare craniale destra anziché quella del gluteo destro, lombare inferiore, meno irrorata e più adiposa, l’appellante deduceva la contraddittorietà e genericità dei termini utilizzati e delle spiegazioni offerte anche in sede dibattimentale dai periti, assunti a fondamento della motivazione della sentenza di primo grado. Proponeva pertanto una diversa e alternativa ricostruzione dei dati ricavabili dalle risultanze istruttorie secondo cui nessuna colpa poteva essere addebitata alla imputata che aveva la possibilità di individuare “la zona visiva sede dell’iniezione, quella glutea e ciò aveva fatto secondo la normale tecnica infermieristica”. Ribadiva che in ogni caso si è “difronte a insufficienza, contraddittorietà e/o incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale e quindi il ragionevole dubbio doveva condurre a un esito assolutorio”;

 

- deduceva inoltre violazione del diritto alla prova ex art. 225 e 190 cpp in quanto il giudice in sede dibattimentale aveva disposto su richiesta della difesa ex art. 507 c.p.p. un’integrazione dell’accertamento peritale con la nomina di un neurologo, ma quest’ultimo si era avvalso della consulenza specialistica di un neuro-radiologo che non si era limitato ha esaminare i referti, ma aveva effettuato vera e propria consulenza specialistica, individuando la sede della iniezione nella sede lombare e le difese non avevano potuto nominare un consulente di parte specialista nella materia; - deducevano nullità della parte della perizia dibattimentale e chiedevano la rinnovazione della perizia neuroradiologica, con escussione dei consulenti di difesa e dei testimoni ammessi ma non escussi in primo grado.”

 

La Cassazione ritiene fondato il ricorso dell’infermiera ed assolta, per i termini prescritti e per un’analisi poco accurata da parte della Corte di Appello, e rinvia l’infermiera a nuovo giudizio al giudice civile competente.

 

 

da Quotidiano Sanità