Il bluff dell'Infermiere di famiglia. Ecco perché: dall'assunzione a P. IVA ad un bacino di utenza spropositato
Abbiamo assistito in questi giorni a molti proclami trionfalistici in merito alla presunta introduzione dell'Infermiere di famiglia/comunità nell'ambito del Decreto Rilancio, che deve essere ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale nella sua versione definitiva.
Tuttavia, dalla disamina delle ultime bozze, emergono criticità salienti
L'art 1 "Disposizioni urgenti in materia di assistenza territoriale" al comma 5 sancisce che "Al fine di rafforzare i servizi infermieristici, con l’introduzione altresì dell’infermiere di famiglia o di comunità, per potenziare la presa in carico sul territorio dei soggetti infettati da SARS-CoV-2 identificati COVID-19, anche supportando le Unità speciali di continuità assistenziale e i servizi offerti dalle cure primarie, nonché di tutti i soggetti di cui al comma 4, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, in deroga all’articolo 7 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, POSSONO, in relazione ai modelli organizzativi regionali, utilizzare forme di lavoro autonomo, anche di collaborazione coordinata e continuativa, con decorrenza dal 15 maggio 2020 e fino al 31 dicembre 2020, con infermieri che non si trovino in costanza di rapporto di lavoro subordinato con strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private accreditate, in numero non superiore a otto unità infermieristiche ogni 50.000 abitanti. Per le attività assistenziali svolte è riconosciuto agli infermieri un compenso lordo di 30 euro ad ora, inclusivo degli oneri riflessi, per un monte ore settimanale massimo di 35 ore. Per le medesime finalità, a decorrere dal 1° gennaio 2021, le aziende e gli enti del Servizio Sanitario Nazionale, possono procedere al reclutamento di infermieri in numero non superiore ad 8 unità ogni 50.000 abitanti, attraverso assunzioni a tempo indeterminato e comunque nei limiti di cui al comma 10 (vincoli di spesa, ndr)."
Esaminiamo una ad una le criticità evidenziate in grassetto:
- contrariamente a quanto si possa pensare, l'Infermiere di famiglia/comunità, non dovrebbe, stando al Decreto, occuparsi dei pazienti di assistenza domiciliare, di disabili e fragili, ma esclusivamente dei "soggtti infettati dal SARS-COV-2". Questo ruolo, inoltre, non sarà esercitato in ESCLUSIVA, ma l'Infermiere di Comunità dovrebbe meramente "supportare" le già esistenti Unità di Continuità Assistenziale ed i servizi di cure primarie.
Ciò, in partenza, rappresenta un discrimine importante che è doveroso sottolineare: contrariamente a quanto alcuni lasciano credere, l'Infermiere di famiglia, ex Decreto Rilancio, non nasce come figura permanente per l'assistenza domiciliare e territoriale ai pazienti ADI, bensì come mero supporto alle unità già esistenti, limitatamente ai pazienti CoVid19. Questa è la prima falla.
- sempre in netta antitesi rispetto a quanto alcuni lasciano intendere, si pone il fatto che il Decreto non istituzione l'OBBLIGATORIETA' dell'Istituzione dell'Infermiere di Famiglia, bensì la FACOLTA'. Difatti si legge che "le aziende e gli Enti POSSONO (che è facoltativo) avvalersi di tale figura, non è che DEVONO (fatto che sarebbe vincolante). E questa possibilità si configura "in relazione ai modelli organizzativi regionali". Pertanto, si apre un quadro di difformità sul territorio, col forte rischio che l'Inferimere di famiglia sarà attivato solo in alcune aree geografiche e comunque con modalità eterogenee e difformi sul territorio.
- i numeri: mentre per ogni medico di famiglia è previsto in media un tetto massimo orientativo di circa 1500 pazienti, per quanto riguarda l'infermiere di famiglia sono previste 8 unità ogni 50.000 abitanti, quindi 1 solo Infermiere per 6.250 pazienti. Ergo, tali Infermieri avrebbero quindi un bacino di utenza, e di riflesso un carico di lavoro, 4 volte superiore a quello dei Medici di Famiglia. Una disparità importante. Perchè?
- un'altra criticità, forse la più grande: per l'anno 2020 l'Infermiere di famiglia, lavorerà con forme di lavoro autonomo o di collaborazione continuativa. Quindi, parliamo di partite IVA e simili non certo di lavoro dipendente... per carità, la remunerazione è discreta, sono previste 30 euro lorde per un tetto massimo di 35 ore settimanali, ma qui subentrano altre perplessità: stante il fatto che questi incarichi NON potranno essere attribuiti ad "infermieri che si trovino in costanza di rapporto di lavoro subordinato con strutture sanitarie e socio-sanitarie pubbliche e private accreditate" bisognerà necessariamente attivare nuovi Bandi e/o manifestazioni di interessere per assumere colleghi Infermieri, circostanza che sicuramente dilaterà e procrastinerà i tempi di immissione in servizio.
- le assunzioni a tempo indeterminato, invece, sono previste dal 2021 in poi. Ma se parliamo di figure vincolate esclusivamente all'assistenza dei pazienti SARS-COV-2, e non di presa in carico dei pazienti domiciliari, fragili e quant'altro, tutto diventa difficilmente comprensibile.
Concludendo, vista la bozza del Decreto, parlare di "istituzione in via definitiva dell'Infermiere di Famiglia" ha un sapore non solo utopistico, ma di beffa. Chi propina un simile concetto, probabilmente, vuole confondere e dissimulare facendo passare un messaggio che non trova riscontro nei fatti... attendiamo la pubblicazione definitiva del Decreto Rilancio in Gazzetta, ma stante a quanto letto nella bozza, l'Infermiere di famiglia, inteso nella sua accezione più consona a quella che l'immaginario della comunità Infermieristica Italiana, ossia come figura di prossimità alle famiglie, ai pazienti cronici e fragili del territorio, è molto lontano dall'essere istituito in maniera uniforme su tutto il territorio.