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Infermieri reclusi alla Dozza: il grido d’allarme: Serve mobilità e tutela dal burnout

Giuseppe Provinzanodi
Giuseppe Provinzano
Pubblicato il: 11/08/2025

Emilia RomagnaNurSind dal territorio

Alla casa circondariale di Bologna turn over fermo, stress e usura emotiva. Il NurSind: “Lavoro usurante, bisogna incentivare e agevolare l’uscita dopo anni di servizio”

Nessuno vuole entrarci, e chi ci lavora da anni non riesce a uscirne. È il paradosso degli infermieri della Casa circondariale “Dozza” di Bologna, dove la mobilità resta di fatto bloccata e il ricambio del personale quasi inesistente. Un contesto ad alto impatto emotivo e fisico, che molti descrivono come “un carcere anche per noi”.

Una infermiera trentenne, lavora con i detenuti da tre anni, racconta di aver scelto consapevolmente l’ambiente penitenziario, ma oggi è esausta: “Ho chiesto la mobilità due volte, ma nulla. Il carcere potrebbe essere un posto gestibile se ci fosse ascolto, ma qui si resiste poco: c’è chi scappa dopo un giorno, chi va in malattia, chi arriva al burnout. Prepariamo ogni giorno fino a 150 terapie psichiatriche e affrontiamo episodi estremi, come autolesionismi e ingestione di oggetti taglienti. Servirebbe più affiancamento per chi inizia”.


Il commento del NurSind – Antonella Rodigliano, segretario territoriale di Bologna e segretario regionale

“Chiediamo da anni un cambiamento. Pochi accettano di lavorare in carcere e poi è difficilissimo uscirne. Va incentivato questo lavoro e garantita priorità di mobilità a chi vi opera. La Ausl non gestisce adeguatamente il personale e così perdiamo risorse preziose: i giovani se ne vanno”.


La testimonianza di Mara Fuzzi (NurSind)
Con 34 anni di servizio alle spalle, di cui quattro passati alla Dozza, Mara Fuzzi conosce bene la realtà penitenziaria:

“Il carcere è un luogo particolare: si lavora sempre con il cielo dietro le sbarre, turni carichi e poco conciliabili con la vita privata. È un lavoro stimolante, ma logorante anche sul piano emotivo: il burnout è dietro l’angolo. Ho avuto la fortuna di uscire dopo quattro anni, ma è un’eccezione rara. Serve un supporto psicologico strutturato per chi lavora in questi contesti”.


Secondo i dati forniti dalla Ausl, nella struttura operano oggi 26 infermieri, un coordinatore, 5 OSS, 4 tecnici della riabilitazione psichiatrica e un educatore: personale insufficiente rispetto ai bisogni reali.

Ordine e Azienda: serve un confronto
Il presidente dell’Ordine degli Infermieri di Bologna, Pietro Giurdanella, conferma: “Tra tutti gli avamposti, il carcere è tra i più a rischio, con una carenza di 34 unità. Bisogna sedersi a un tavolo e affrontare il problema strutturalmente”.

La Ausl di Bologna, per voce di Stefania Dal Rio, direttrice assistenziale, si dice “disponibile al confronto” e annuncia l’avvio di un “percorso di benessere organizzativo” per migliorare la gestione dei turni e affrontare il sovraccarico di lavoro.

Intanto, dal carcere alla Dozza, gli infermieri continuano a chiedere ascolto e misure concrete. Come ribadisce il NurSind, il lavoro in carcere è usurante e chi vi opera deve avere tutele, incentivi e reali possibilità di mobilità.