37 anni di super-turni: infarto riconosciuto come infortunio, scatta il risarcimento
Il Tribunale di Taranto ha emesso una sentenza di grande importanza che riconosce il nesso di causalità tra morte e stress lavoro correlato.
La vicenda riguarda la triste sorte toccata ad Antonio Mauceri, morto di infarto all’età di 61 anni dopo averne passati 37 alle dipendenze di RFI, a causa dei turni "massacranti" e prolungati a cui era sottoposto.
I turni di lavoro superavano frequentemente le normali 8 ore, arrivando anche a 10-12 ore consecutive. Oltre agli orari di lavoro in sede, Mauceri era soggetto a continue chiamate d’urgenza e interventi in piena notte per coordinare le squadre di soccorso in caso di guasti sulla rete ferroviaria. L'impiego richiedeva costante prontezza e gestione di situazioni critiche, acuendo lo stato di stress.
Le perizie medico-legali hanno stabilito che questo regime di lavoro gravoso e protratto nel tempo ha agito come "concausa efficiente", aggravando i preesistenti problemi di salute di Mauceri fino a provocare l’infarto fatale.
I familiari, assistiti legalmente, hanno ottenuto il riconoscimento del diritto alla rendita da infortunio sul lavoro da parte dell’INAIL, ribaltando l'iniziale diniego dell'istituto che non aveva riconosciuto l'origine professionale della morte. La sentenza si basa sulle perizie che hanno stabilito con sufficiente certezza che l’eccessivo carico di lavoro e lo stress ad esso correlato hanno avuto un ruolo determinante, come "concausa efficiente", nell'evento fatale (infarto) e specificamente i turni di lavoro prolungati, come fattore scatenante dello stress. È stato accertato che, sebbene Mauceri avesse preesistenti problematiche di salute, queste sono state aggravate in modo decisivo dalle gravose condizioni lavorative.
La sentenza rappresenta un importante precedente perché rafforza il principio che lo stress da lavoro, se adeguatamente documentato e provato nel suo nesso causale con l'evento morboso o mortale, è equiparabile a un infortunio sul lavoro indennizzabile dall’INAIL.
Una questione di grande interesse per il mondo della sanità che dovrebbe far riflettere ogni direttore generale alla guida di una qualsiasi azienda pubblica o privata d’Italia. Gli strumenti per la determinazione dello stress lavoro correlato sono infatti ormai codificati da anni. Le rilevazioni dovrebbero comunque essere sempre molto puntuali, dovrebbero dare maggiore risalto alla componente soggettiva, e determinare azioni concrete sull’organizzazione del lavoro per mitigare i fattori di rischio, quanto meno.
La verità è che la situazione in certe realtà è talmente grave e travolgente che per abbattere i livelli di rischio bisognerebbe chiudere i servizi. Soluzione evidentemente impraticabile ma che impone comunque azioni puntuali e risposte da parte di dirigenze che ci si augura sempre competenti e illuminate non già dai fari della politica quanto da solide conoscenze e abilità manageriali.
Andrea Tirotto
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