Infermiera, 42 anni di esperienza, propongono un contratto per 6,40 € l’ora!!!
Siamo all’assurdo o all’immaginario, come racconta Ivan Cavicchi nella sua “favola” di Siringhino? No! Siamo nella realtà del 2014 e precisamente al Nord, in provincia di BG, in una struttura gestita da una cooperativa e che si occupa di residenzialità ed ambulatori.
Ad una collega, Ida Terzi, sapiente di 42 anni di professione alle spalle, viene proposto un contratto di lavoro con il minimo contrattuale mensile corrispondente a 10,22 € lorde (6,40 € nette) per prestare la propria opera in un ambulatorio pediatrico. Nel contratto è specificato che il trattamento è quello del CCNL Uneba.
Le prestazioni saranno espletate da lunedì al sabato (al sabato dalle 13,30 alle 19,00); sarà oggetto di periodo di prova di 90 gg.; sarà tenuta a fornire il proprio cell. per le emergenze di copertura turni (pronta disponibilità); le ferie saranno stabilite tenuto conto delle esigenze aziendali; la dipendente è tenuta a rendere note eventuali situazioni anomale che dovesse riscontrare riguardo alle norme di sicurezza sul lavoro (come le possono essere note se non ha ancora iniziato la prestazione?).
La collega naturalmente ha rifiutato, anche su consiglio del commercialista che le ha consigliato piuttosto di fare la colf, con tutta pace per l’anima e le responsabilità!
Alcune considerazioni:
- Come volevasi dimostrare, il costo del lavoro infermieristico oggi nelle cooperative è parificato alle colf e quindi è anticostituzionale in quanto non equiparato alla qualifica posseduta;
- In Italia non viene assolutamente tenuto conto dell’esperienza professionale acquisita dal personale infermieristico (a che serve dunque il curriculum?), mentre lo è per le colf in quanto la disposizione ministeriale annuale riguardante il loro trattamento minimo prevede esplicitamente di tener conto degli scatti di anzianità;
- Il surplus conseguente alla differenza tra il costo della manodopera ed il ricavo della prestazione che la cooperativa percepisce finisce per ingrassare queste ultime a danno della professione infermieristica e non procura alcun risparmio alle casse dello Stato ed in particolare ai costi del SSN;
Occorre puntare i riflettori sul fenomeno delle cooperative sociali. La KCS Caregiver, per fare un esempio tra le tante, dichiara un fatturato di 168.066.361 € nel 2012 prodotto da 4.925 dipendenti soci e collaboratori di cui il 27% straniero (18% extra UE, 9% UE).
I committenti sono per il 64% pubblico, 29% privato e 7% di proprietà. E’ presente in 13 regioni ed ha acquisito diverse strutture ed alcune società (NDS srl, Eporlux, SMA ristorazione) oltre ad essere socio sovventore di OR.SA, ROSA, KCS live, Progetto A e partecipazioni in Consorzio la Cascina Soc. Coop. Sociale, SBS Special Bergamo Sport, B.C.C. di Carugate (finanziaria) e Banca Popolare di Lodi (finanziaria).
Le domande che si pongono sono: come riescono ad incrementare gli utili queste cooperative, finanziate per lo più dal pubblico, a fronte dei tagli e del deficit che invece si registra in sanità? Il loro utilizzo è effettivamente conveniente o diseconomico per l’economia delle aziende pubbliche? La loro presunta concorrenza con il pubblico non ha prodotto e produce una nuova schiavitù e ridotto il valore della prestazione infermieristica ai minimi contrattuali delle colf?
Al Ministero della Salute ed al governo in primis l’ardua risposta, ma anche all’IPASVI ed i sindacati tradizionali che hanno “regolamentato” in questo modo la nostra condizione lavorativa ed il mercato del lavoro.