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Case della Salute Emilia Romagna, il modello non decolla. È nuovamente guerra tra medici ed infermieri?

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 15/01/2019 vai ai commenti

Attualità

La storia sembra ripetersi a cedenza annuale, e le questioni sono sempre le medesime: la difficoltà di riconoscere la centralità dell’infermiere sia nel servizio territoriale 118, sia nelle Case della Salute; e così riemergono sempre le stesse questioni; anche la Regione, teatro dello scontro è ancora una volta l’Emilia Romagna.

Qui le Case della Salute stentano a decollare e, se da una parte si accusano i medici di famiglia di voler “rallentare il sistema”, dall’altra gli stessi imputano lo scarso successo delle Case della Salute, nel non averli coinvolti maggiormente nel progetto.

 

Cosa sono le Case della Salute

In una società in cui il volto della Salute è irreversibilmente cambiato, passando dal bisogno di cure in acuzie in ospedale, ad un bisogno di assistenza sul territorio per il cronicizzarsi della malattia, è imprescindibile lo sviluppo della territorialità.

In questa ottica sono nate, proprio in Emilia Romagna come regione capolista, le Case della Salute, la quale figura centrale di riferimento è l’infermiere.

La Casa della Salute, è un presidio del Distretto, la cui gestione è affidato al Dipartimento delle cure primarie.

E la sede pubblica dove trovano allocazione, in uno stesso spazio fisico, i servizi territoriali che erogano prestazioni sanitarie, ivi compresi gli ambulatori di Medicina generale e Specialistica ambulatoriale, e sociali per una determinata e programmata porzione di popolazione. In essa si realizza la prevenzione per tutto l'arco della vita e la comunità locale si organizza per la promozione della salute e del ben-essere sociale».

La Casa della Salute basa la propria attività su tre principi ben precisi:

  • la centralità del cittadino che si traduce su percorsi di assistenza appropriati, ben definiti e su cui esercitare il miglioramento continuo
  • la centralità dei servizi territoriali che consiste nell'aggregazione di servizi territoriali, di collegamento tra strutture sanitarie e tra strutture sanitarie e sociali e, dunque, il punto di riferimento per la popolazione afferente
  • accessibilità fisica ovvero l'assenza di barriere architettoniche e accessibilità ai serviziche garantisca il principio dell'equità per tutti i cittadini (5-10.000) con procedure burocratiche snelle di facile utilizzo.

 

I servizi presenti all'interno di queste strutture sono diversi e tra i più importanti ricordiamo: il CUP, la postazione 118 e trasporto infermi, ambulatorio di primo soccorso per piccoli interventi che non richiedono il ricovero ospedaliero, ambulatorio infermieristico, degenze territoriali che non richiedono cure ospedaliere o domiciliari, RSA, ADI.

 

  • I protagonisti del progetto assistenziale sono:

 

  • L'assistito

 

  • L'infermiere

 

  • Il medico di famiglia

 

  • Caragiver

 

  • Personale di servizi specialistici.

 

 

La Casa della salute prevede che l'infermiere in sinergia con il medico di famiglia e gli altri interlocutori, se richiesti, decida del percorso assistenziale del paziente.

Anche se negano che il motivo del mancato decollo delle Case della Salute sia “lo scippo di competenze” da parte degli infermieri, è anche vero i medici di famiglia da tempo risentono e si dolgono della capacità decisionale degli infermieri, che definiscono i follow up, verificano i parametri clinici, ed in base a questi consigliano il paziente sul da farsi, sul rivolgersi o meno al medico di famiglia o ad uno specialista.

Il medico di famiglia quindi, rilegato ad una parte marginale del processo assistenziale risente del fatto di dover poi essere coinvolto solo quando c' è da compilare la richiesta degli accertamenti previsti, con i quali dovrebbero aprire il loro percorso infermieristico nella “Casa della Salute”.

Tre le motivazioni principe dell'opposizione a questo modus operandi, innanzitutto il nuovo ruolo di “semplice trascrittore”.

Ma sembrerebbero queste solo accuse strumentali, Fabio Vespa Segretario Fimmg Bologna dichiara sulle pagine di Doctor33:

Noi non ci opponiamo a luoghi di coordinamento dell'assistenza ma non ci ritroviamo nel modello call-center più ambulatorio infermieristico con l'infermiere che di volta in volta può chiamare in gioco il medico di famiglia o lo specialista. Questo modello scavalca la logica del rapporto fiduciario”. Quanto agli ospedali di comunità, «al momento sono lo spoke dell'hub ospedale, cioè sono il luogo più piccolo e appena più decentrato dove l'ospedale dimette i pazienti, talora anzitempo, mentre noi li vediamo come luoghi del territorio, disseminati realmente in prossimità delle abitazioni, dove la medicina di famiglia riesce a gestire delle patologie evitando il ricovero ospedaliero. A qualcuno può sembrare che le due cose siano compatibili, invece stiamo parlando di malati diversi, di una diversa gestione, di una domanda dal territorio che resta inevasa»

I medici di famiglia emiliani «non sono assolutamente in opposizione con i progetti della Regione, né tantomeno con le altre figure sanitarie con le quali ci relazioniamo ogni giorno e ogni momento - afferma Vespa - i problemi li inventa chi strumentalizza le nostre posizioni. Noi ci auspicheremmo di lavorare con una figura infermieristica vicina alla medicina generale o in essa incorporata o che in alternativa lavori in convenzionamento, senza comunque vincoli e rigidità, ad esempio di orari. Altra cosa è interfacciarsi con figure che tendono ad essere emanazioni di logiche "ospedaliere" e che di fatto non corrispondono esattamente alle necessità di tanti nostri pazienti». 

 

da Doctor33