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Infortunio dell’infermiere che insegue il paziente fuori dall’ospedale, no al risarcimento

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 20/07/2021 vai ai commenti

EsteroLa SentenzaLeggi e sentenze

La Corte di appello di Venezia confermava la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta da un infermiere nei confronti dell'Azienda Unità Locale Socio Sanitaria per il risarcimento dei danni sofferto a seguito di infortunio sul lavoro, avvenuto durante l'inseguimento del paziente fuori dai locali dell'ospedale, scavalcando un cancello.

L’infermiere ricorreva quindi in Cassazione, che rigettava il ricorso, confermando la decisione della Corte di Appello di Venezia.

Chiariscono i giudici che l'obbligo di prevenzione di cui all'art. 2087 c.c. che non configura una ipotesi di responsabilità oggettiva, impone al datore di lavoro di adottare non solo le particolari misure tassativamente imposte dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata e quelle generiche dettate dalla comune prudenza, ma anche tutte le altre che in concreto si rendano necessarie per la tutela del lavoratore in base all'esperienza e alla tecnica; tuttavia, da detta norma non può desumersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile ed innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere automatica la responsabilità del datore di lavoro ogni volta che il danno si sia verificato, occorrendo invece che l'evento sia riferibile a sua colpa 

Nel caso in esame, dalla ricostruzione in fatto operata dai giudici di appello emerge che l'infortunio avvenne durante l'inseguimento di un paziente (peraltro, in regime di ricovero volontario) fuori dai locali del nosocomio e per effetto di modalità comportamentali gravemente imprudenti (scavalcamento del cancello). 

Il ricorrente afferma che tale comportamento non poteva ritenersi estraneo alle mansioni lavorative, ma il punto è che il processo non offre alcuna prova (né, comunque, viene data alcuna allegazione ) di un comportamento colpevole del datore di lavoro, e cioè della ricollegabilità del sinistro alla violazione di un obbligo di diligenza del datore di lavoro nella predisposizione di misure idonee a prevenire ragioni di danno per i propri dipendenti.

La Corte territoriale ha fatto riferimento all'inesigibilità della condotta del ricorrente; va ulteriormente precisato che, nel caso, quel che rileva è l'insussistenza delle condizioni di operatività dell'obbligo di sicurezza, sotto il profilo dell'indimostrata esigibilità di una diversa e specifica condotta protettiva del datore di lavoro.

Ne deriva che l'infortunio, ancorché indennizzabile (ed indennizzato), non è, tuttavia, risarcibile.