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PS sovraccarichi e lutti frequenti: così gli infermieri pagano il prezzo emotivo dell’emergenza

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 04/12/2025

Professione e lavoroStudi e analisi

 

Pronto soccorso sempre più affollati, tempi di attesa infiniti, carenza cronica di personale. In questo scenario, la morte del paziente in emergenza non è un evento raro. Eppure, per chi assiste, rimane un’esperienza che lascia segni profondi, troppo spesso ignorati.

Secondo i CDC, nel solo 2022 gli accessi ai dipartimenti di emergenza negli Stati Uniti hanno sfiorato i 155 milioni. In Italia, gli accessi in pronto soccorso sfiorano i 19 milioni: nel 2023 sono stati esattamente 18,582 milioni, un numero che conferma la pressione costante sui servizi di emergenza. Numeri enormi che rappresentano un carico di complessità e criticità anche sul piano emotivo. La morte in pronto soccorso, anche quando non evitabile, è un evento altamente impattante e può diventare traumatizzante per gli infermieri.

Debriefing: lo strumento che non c’è (ma che servirebbe disperatamente)

Il debriefing formale dopo eventi critici è riconosciuto da anni come una delle pratiche più efficaci per proteggere la salute mentale degli operatori. Eppure, nei pronto soccorso, è ancora un’eccezione.

Eppure sappiamo bene che il debriefing:

  • fornisce supporto emotivo agli infermieri dopo eventi difficili;

  • permette di rielaborare quanto accaduto;

  • aiuta a individuare margini di miglioramento clinico-organizzativo;

  • favorisce la crescita professionale;

  • riduce il rischio di burnout e turnover.

Questi benefici, però, si scontrano con la realtà del pronto soccorso: ritmi incessanti, personale ridotto, urgenze che non aspettano. E così, il tempo per rimettere insieme i pezzi dopo un evento critico diventa un lusso che nessuno concede.

Eppure basterebbe poco: 15–30 minuti di tempo protetto, coperti da un collega, per evitare che un evento traumatico diventi una ferita che si trascina per mesi.

Cure di fine vita: il grande assente nella formazione in emergenza

I programmi di orientamento degli infermieri di emergenza si concentrano – giustamente – su valutazione rapida, triage, aritmie, gestione del deterioramento clinico. Quasi mai, però, affrontano un tema altrettanto cruciale: le cure di fine vita in urgenza.

Eppure in pronto soccorso capita di dover gestire:

  • sintomi intensi e difficili da controllare,

  • decisioni etiche complesse,

  • comunicazioni molto delicate con i familiari,

  • lutti ripetuti e ravvicinati.

L’End-of-Life Nursing Education Consortium (ELNEC) offre percorsi formativi specifici, che includono gestione del dolore, comunicazione, supporto al lutto, etica e palliative care. Il costo è di circa 60 dollari a persona, ancora meno in formazione di gruppo.
Un investimento minimo rispetto all’impatto del turnover infermieristico, che costa agli ospedali tra 3,6 e 6,5 milioni di dollari l’anno.

Integrare la formazione sulle cure palliative nei pronto soccorso non è un’opzione: è una necessità strategica, etica e organizzativa.

Trauma, burnout e compassion fatigue: il prezzo psicologico invisibile

Uno studio sudcoreano condotto su sei centri traumatologici regionali ha rilevato che circa il 60% degli infermieri era ad alto rischio di sviluppare disturbo post-traumatico da stress (PTSD).
In pronto soccorso, l’esposizione ripetuta a eventi critici può generare:

  • burnout,

  • difficoltà di concentrazione,

  • demoralizzazione,

  • distacco emotivo,

  • compassion fatigue.

Senza un adeguato supporto, questo impatto si traduce in un circolo vizioso: operatori esausti che faticano a garantire la qualità dell’assistenza, reparti sotto pressione, clima di lavoro sempre più pesante, fuga dalla professione.

La morte in PS riguarda tutti, non solo chi la vive

Ogni volta che un infermiere affronta la morte di un paziente senza strumenti, senza formazione e senza supporto, non è solo il professionista a pagarne il prezzo.
A risentirne è l’intero sistema.

Proteggere gli infermieri significa:

  • proteggere la sicurezza dei pazienti,

  • migliorare la qualità dell’assistenza,

  • ridurre i costi di turnover,

  • prevenire errori legati a stress e sovraccarico.

Prendersi cura degli infermieri è un investimento, non una spesa.

Non salviamo solo vite. Salviamo chi prova, ogni giorno, a salvarle.

Affrontare in modo strutturato l’impatto emotivo del lavoro in pronto soccorso non è un “di più”: è un imperativo professionale.
Debriefing regolari, formazione sulle cure di fine vita e vere politiche di prevenzione del burnout sono strumenti essenziali per sostenere chi opera in un contesto ad alta intensità emotiva.

Perché un infermiere curato e supportato è un infermiere che può continuare a prendersi cura degli altri.
E questo, per un sistema sanitario, è il bene più prezioso.

 

da: DesJardin, A. (2025). Supporting Emergency Nurses When Patients Die. AJN, American Journal of Nursing, 125, 11. https://doi.org/10.1097/AJN.0000000000000193