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Infermieri. La flebite chimica. Dal tipo di soluzione alla velocità di infusione. Ecco le cause ed i rimedi

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 15/04/2019 vai ai commenti

Studi e analisi

La flebite è un processo infiammatorio che si sviluppa rapidamente grazie a fattori diversi:

  • sensibilizzazione dell’endotelio vascolare a causa dell’attrito provocato dall’accesso vascolare contro l’endotelio (flebite meccanica)
  • iperosmolarità della soluzione somministrata (flebite chimica)
  • tossine batteriche (flebite infettiva).

La flebite chimica, una complicanza comune nei pazienti, consiste nell’infiammazione di una vena e in particolare dello strato più interno, la tonaca intima, a causa di farmaci o soluzioni con effetto irritante, ad esempio il ferro, il cloruro di potassio e i citostatici che danneggiano il rivestimento della vena con possibile infiltrazione, danno ai tessuti e sclerosi. Spesso la flebite si accompagna anche a un processo trombotico (tromboflebite e flebotrombosi).

L’incidenza oscilla tra il 20% e l’80% nei pazienti che ricevono una terapia endovenosa periferica, e se la flebite non viene trattata precocemente può prolungare l’ospedalizzazione; può svilupparsi anche dopo 2 o tre giorni dalla sospensione delle infusioni continue e dalla rimozione del catetere (flebite post infusione). La probabilità di svilupparla aumenta se viene inserito un nuovo dispositivo venoso in prossimità di uno da poco rimosso.

 

I fattori che provocano la flebite chimica

Osmolarità delle soluzioni

Le soluzioni infusionali sono distinte in isotoniche, ipertoniche e ipotoniche in base alla loro osmolarità confrontata con quella plasmatica.

Le soluzioni ipotoniche hanno un’osmolarità inferiore a 250-260 mOsm/L, ad esempio l’acqua sterile. Quando somministrate a flussi elevati provocano il passaggio di acqua nelle cellule endoteliali della vena; il risultato può essere un’irritazione della vena o una flebite, se le cellule attirano troppa acqua fino a scoppiare. Per questa ragione le soluzioni ipotoniche vengono utilizzate per diluire e ridurre l’osmolarità dei farmaci ipertonici.

Le soluzioni ipertoniche hanno invece un’osmolarità superiore a 300-310 mOsm/L con valori che raggiungono anche 500-1000 mOsm/L e richiamano acqua dalle cellule dei vasi endoteliali nel lume vascolare, causando il loro restringimento e l’esposizione della membrana ad ulteriori danni (flebiti chimiche, irritazione, trombosi). Tra le soluzioni fortemente ipertoniche la glucosata al 20e il Bicarbonato 8.4%.

L’osmolarità delle soluzioni ipertoniche può provocare danni all’endotelio della vena, innescando un processo infiammatorio e lo sviluppo di flebite.

entro 24 ore, per questo vanno infuse da una vena centrale: il volume di sangue in una vena centrale diluisce la soluzione, abbassando la sua osmolarità (tonicità).

 

Il pH (soluzioni/farmaci acidi e basici)

Per ridurre i rischi di flebiti bisogna somministrare soluzioni che abbiano un pH prossimo a quello del sangue e un’osmolarità inferiore a 600 mOsm/.

La somministrazione in una vena di grosso calibro (emodiluizione) è sicuramente il miglior metodo per prevenire tali complicanze.

Alcuni farmaci come la vancomicina e l’eritromicina, anche se miscelati e portati a pH neutro, possono ancora causare una flebite chimica perché irritanti.

I farmaci

Alcuni farmaci possono provocare una flebite chimica dopo una o più somministrazioni nella stessa sede, ad esempio, grandi dosi di cloruro di potassio, aminoacidi, destrosio, multivitaminici; o farmaci irritanti tra i quali l’eritromicina, la tetraciclina, la nafcillina, la vancomicina, l’amfotericina B.

Anche farmaci che non sono stati diluiti o miscelati correttamente producono del particolato che aumenta il rischio di flebite chimica.

Le azioni tossiche sulle vene provocate dai farmaci sono principalmente tre:

  • Irritante quando, in caso di stravaso, produce dolore, calore e infiammazione nel sito di infusione o lungo la vena nella quale viene somministrato, ma non provoca distruzione tissutale.
  • Vescicante quando, in caso di stravaso, produce dolore grave o prolungato, irritazione intravascolare, ulcerazione, danno cellulare.
  • Necrotizzante, quando il danno cellulare avanza fino alla necrosi del tessuto.

 

Le modalità di infusione

La velocità di infusione delle soluzioni somministrate per via endovenosa dipende da diversi fattori:

– Osmolarità: le soluzioni ipertoniche sono infuse lentamente per il loro effetto di richiamo di liquidi nello spazio intravascolare.

– Farmaci (come chemioterapici, antibiotici, amine, eparina) o elettroliti (come il potassio cloruro) contenuti nella soluzione la cui velocità di somministrazione va controllata con una pompa di infusione.

– Condizioni del paziente: le persone anziane, cardiopatiche e nefropatiche rischiano il sovraccarico per cui la velocità di infusione deve essere ridotta e controllata scrupolosamente.

– Calibro dell’accesso venoso.

– Condizioni del sito.

– Volume di soluzione da infondere.

Se il farmaco è irritante, rallentando l’infusione si aumenta l’emodiluizione.

 

Sito di inserimento del catetere.

La flebite chimica è un evento raro nei cateteri venosi centrali grazie alle grandi dimensioni del vaso e al volume di sangue circolante. Per evitare la flebite chimica, è necessario un accesso venoso centrale (CVA) per le soluzioni parenterali con concentrazioni di destrosio oltre il 10%.

È invece è più comune nei dispositivi endovenosi periferici, in quanto i farmaci e le soluzioni irritano il rivestimento endoteliale della parete dei vasi periferici di piccole dimensioni. L'inserimento di cateteri a livello del gomito aumenta il rischio di flebiti.Diversi studi indicano che negli adulti il rischio di flebite è maggiore a  livello delle vene del polso, dell'avambraccio e della fossa antecubitale rispetto a quelle della mano.

Anche le linee guida del CDC raccomandano che il dispositivo venoso periferico venga inserito preferibilmente negli arti superiori indicando un rischio inferiore a livello della mano.

 

Valutazione della flebite

Una valutazione infermieristica prevede:

• l'ispezione del sito di introduzione del dispositivo venoso per escludere segni di infiammazione o di infezione.

• la palpazione del sito per rilevare il calore e/o la presenza di un cordone palpabile lungo la vena

• la rilevazione della presenza o meno di dolore a livello del sito di infusione da parte del paziente.

 

Utilizzo della Scala di valutazione (Visual Infusion Phlebitis Score)

 

0

Il sito di inserzione è integro

Nessun segno di flebite
Osservare la cannula

1

Leggero dolore
Oppure
Leggero arrossamento

Possibile primo segno di flebite
Osservare la cannula

2

Ci sono due di questi segni:
dolore-eritema-gonfiore

Primo stadio di flebite
Rimuovere la cannula

3

Presenza di questi segni:
dolore lungo il decorso della vena, eritema, indurimento

Flebite in stato medio
Rimuovere la cannula
Probabile necessità a trattare la flebite

4

Presenza di questi segni:
dolore lungo il decorso della vena, eritema, indurimento, cordone palpabile

Flebite in stato avanzato o inizio di tromboflebite
Rimuovere la cannula
Necessario trattare la flebite

5

Presenza di questi segni:
dolore lungo il decorso della vena, eritema, indurimento, cordone palpabile, febbre

Tromboflebite in stato avanzato
Rimuovere la cannula
Trattare la flebite

 

 

 

Interventi farmacologici per il trattamento delle flebiti chimiche da infusione: Nitroglicerina (cerotto transdermico e gel), creme a base di eparina o sostanze eparinoidi (Hirudoid®), pyroxicam in gel, Notoginseny in crema (farmaco cinese) e diclofenac in gel e in forma orale (Solarze®, utilizzato normalmente per il trattamento della cheratosi attinica).2

 

Tratto da :

La flebite associata alla terapia endovenosa/infusionale

Raffaela Nicotera

Corso di Laurea in Infermieristica, Università di Torino