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La Sanità siciliana... sale sul carroccio lombardo? I temibili annunci dell'Ars "Ripartire dal settore privato"

Come sempre Emilio Benincasa ci porta a riflettere sulla situazione della sanità Siciliana e sulla necessità di opporsi alla privatizzazione spinta che nel breve potrebbe portare in mano ai privati, la salute di milioni di cittadini nell’isola. Si continua a diminuire le risorse per il pubblico aumentando quelle per il privato. Noi invece, quale Sanità vogliamo? Quella universalistica che garantisce le cure a tutti i cittadini in egual misura o quella privatistica a cui viene assegnata la parte più remunerativa del sistema, lasciando che il pubblico diventi un carrozzone colmo di inefficienze?

È di questi giorni la notizia riportata su tutti i quotidiani di un “buco da 153 milioni di euro” nel sistema sanitario regionale. Pochi invece ricorderanno che nel 2016 il governo Crocetta fece tagli per quasi 128 milioni spostando le risorse su altre voci di bilancio. Inoltre i nostri ospedali continuano ad essere privi di personale infermieristico adeguato alle reali necessità, calcolato attraverso coefficienti ridicoli che non permettono neanche di garantire, in molti casi, neanche gli standard minimi di sicurezza. Mi chiedo allora, come si fa a garantire una sana concorrenza tra pubblico e privato convenzionato, dal momento che le risorse per il pubblico continuano a diminuire?

Non accetteremo ulteriori tagli; Gli organici vanno aumentati, va consentito il ricambio generazionale, assunto nuovo personale di supporto e riprogrammati i livelli minimi di personale per garantire ai cittadini la giusta assistenza sanitaria. Diversamente ai malati toccherà pagare le scelte politiche inique che ricadranno maniera indecorosa sulla salute dei più bisognosi.

Salvatore Vaccaro

 

In Sicilia, la politica di Governo spiana il terreno ai privati. Si pensa al modello sanitario della Lombardia da traghettare nell'isola.

Nel giro di pochi giorni in Sicilia, in tema di sanità, stiamo assistendo a dichiarazioni e fatti che delineano un disegno a tinte fosche, un aperto ed ennesimo attacco alla sanità pubblica, già sfiancata da un pesante piano di rientro che, per rispettarlo ha visto sempre più contrarre e in taluni casi, dismettere le proprie attività.

Riteniamo, dunque, doveroso esprimere alcune considerazioni su tale disegno che, se portato a compimento, avrà un solo merito, quello di mettere definitivamente in ginocchio la sanità pubblica isolana.

Ebbene, partiamo da qui, "Dobbiamo ripensare alla riorganizzazione della sanità in Sicilia ripartendo dal settore privato che è molto efficiente ed economico rispetto al servizio sanitario pubblico", queste, le parole del Presidente dell'ARS, On. Miccichè alla presentazione del rapporto annuale “Ospedali & Salute 2018”, promosso dall'Aiop (Associazione Italiana Ospedalità Privata) e tenutosi qualche giorno faa Palazzo dei Normanni.

Viene poi, annunciato dall'assessore Razza che ci sarà una riunione a stretto giro, che preveda un rialzo nel 2020, dell'attuale budget per i privati convenzionati che, oggi si spartiscono affari per circa 900 milioni di euro l’anno.

Per gli ospedali pubblici siciliani, invece, si prepara una nuova stagione di austerity per recuperare il deficit, infatti è notizia recente che 5 aziende su 9 sono in passivo di circa 153 mln di euro, che dovranno essere ripianate con contenimento delle spese, rinvenibili da risorse, le cui quote sono ferme al lontano 2004. Su questo punto, credo sarrebbe estremamente corretto sanzionare con denaro proprio, coloro che, hanno creato questa vergogna e forse hanno anche ricevuto il premio produttività per aver centrato obiettivi che, solo loro intravedono.

Come se non bastasse, la Conferenza Stato-Regioni ha assegnato 4 miliardi di euro per gli investimenti in sanità ai sensi dell'art 20 legge 67/88, di questi, alla Regione Siciliana ne sono stati assegnati poco più di 330 mln, ossia poco oltre l'8%. Originariamente la somma era di 800 mln di euro, smarriti nelle stanze dei "burosauri", nonché per mancata programmazione

Unendo tutti questi punti, come nei giornalini di enigmistica, il disegno diventa chiaro, come un campo arato per la semina, le aziende pubbliche annaspano nelle politiche sanitarie soporifere, consentendone la fusione o l’accorpamento delle stesse une con le altre o addirittura la chiusura, se non raggiungono il pareggio di bilancio. Ciò rappresenta una deliberata strategia per favorire capitali privati che con nuove acquisizioni entrano nel giro d’affari del Sistema Sanitario Regionale.

Dunque, dopo aver bucato le gomme alla sanità siciliana, Miccichè invita Razza a salire sul "carroccio" ed esportare il modello di cure della Lombardia, ricordo solo che il Piemonte ha tentato di adottarlo con esito negativo. Nei fatti il modello Lombardo è rimasto unico, ma tranquillizzatevi qualsiasi modello prevede che, sia sempre la Regione a rimborsare.

Brevemente, ricordiamo che, esso prevede che le ASL coprano i costi dell’attività socio-sanitaria e di prevenzione, provvede alla spesa farmaceutica, retribuisce i medici generici e acquista le cure mediche, definite ‘prestazioni sanitarie’, dalle strutture erogatrici pubbliche o private accreditate. Le risorse vengono erogate dalla Regione sulla base della ‘quota capitaria pesata’, cioè sulla base della dimensione della popolazione di riferimento ponderata in relazione alle caratteristiche socio-demografiche.

 

Tradotto, le Asl non producono alcun servizio, se non le funzioni base di tutela della salute pubblica e i controlli veterinari. Ospedali e altre strutture pubbliche agiscono in modo indipendente sul mercato, in concorrenza con i privati convenzionati. L’unica considerazione logica è la seguente: se l’ospedale diventa un’azienda, la salute diventa un affare, e che affare! Visto che la spesa sanitaria assorbe la quasi totalità della disponibilità finanziaria delle regioni.

Questa logica manageriale, impone una riflessione sul fatto che, lo stato di salute dei pazienti non migliora con le operazioni economiche, ma con le operazioni di pratica clinica. Si recinge la pratica delle cure all'interno di regole economiche, alterando in maniera considerevole il rapporto con il paziente nel suo percorso di cura, con storture di vario tipo. Tutto ciò è talmente lontano dalla realtà di una persona che ha bisogno di cure, da mettere i brividi.

Esistono parecchie ragioni per cui, curare non può essere considerato alla stregua di vendere un televisore o di quello che vi pare. Occorre fermare la nave, e contrastare la deriva per mettere fine alle vergogne della sanità pubblica e risanarla, non certo svenderla ai privati, che agiscono in una logica di profitto.

La politica non deve sottrarsi mai ai propri doveri, tutto questo non può essere scontato sulla pelle dei cittadini e degli operatori sanitari che lavorano sempre più in affanno e in contesti alquanto difficili. Bisogna restituire e garantire ai cittadini la dimensione pubblica altamente qualificata delle cure.

Quando la sanità si definisce "privata", e come quando si definisce una bomba "intelligente", risulta essere una contraddizione in termini, un ossimoro. In un caso muoiono innocenti, nell'altro muore la speranza di cura appropriata.

Emilio Benincasa