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Allarme nelle comunità psichiatriche: in aumento il numero di comuni delinquenti non affetti da patologia psichiatrica

Vincenzo Rauccidi
Vincenzo Raucci
Pubblicato il: 23/06/2019 vai ai commenti

Attualità

Si è tenuto, dal 21 al 23 giugno, a Firenze, il Convegno Nazionale della Società Italiana di Psichiatria, all’interno del quale è stato lanciato un allarme preoccupante: ogni anno, oltre 400 autori di reato, non affetti da particolari disturbi mentali, verranno trasferiti dalla Magistratura all’interno di comunità riabilitative psichiatriche e delle REMS (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza).

Non si tratta di numeri ufficiali ma, spiegano gli psichiatri, sono sicuramente sottostimati, poiché il fenomeno è oggettivamente in aumento.

“Questa distorsione della funzione terapeutica delle residenze psichiatriche da parte di una certa magistratura - spiega Enrico Zanalda, presidente della Società Italiana di Psichiatria e direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL Torino 3 - è supportata da ordinanze d’inserimento in strutture psichiatriche senza l’accertamento dell’indicazione clinica all’inserimento stesso. Siccome il detenuto sostiene di stare male in carcere, viene spedito in psichiatria. Ma lo scopo di queste decisioni è di spostare una persona scomoda dal contenitore carcerario ad un altro contenitore, quello psichiatrico, attribuendo alla psichiatria un ruolo cautelativo custodiale perso da tempo. Ciò che fa paura e non si controlla si nasconde, è quello che accadeva nei manicomi dell'inizio secolo”.

Va, però, detto che sono stati gli stessi psichiatri che hanno inserito il “Disturbo Antisociale di Personalità” nel DSM-5° (il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) e che, in funzione di ciò, i giudici decidono per il trasferimento nelle Psichiatrie dei soggetti, autori di reato, affetti da tale patologia. Quindi una sorta di “serpente che si mangia la coda”!

Purtroppo, questo fenomeno non fa altro che peggiorare la già precaria situazione delle strutture di Salute Mentale italiane: l’aumento di sociopatici nel “network psichiatrico” toglie risorse a chi soffre davvero di malattia mentale, aumenta il rischio di fallimento dei progetti di cura, induce demotivazione negli operatori, alza l’asticella del rischio di eventi aggressivi nei Servizi, sia a danno degli utenti che degli operatori.

L’unica soluzione possibile, a mio parere, è quella di studiare percorsi di cura e riabilitazione, dei soggetti affetti da Disturbo Antisociale di Personalità, all’interno delle carceri: l’unico luogo dove i percorsi terapeutici possono conservare sia sufficienti margini di sicurezza, sia avere buone possibilità di riuscita.

Conclude, infatti, Enrico Zanalda che “[…] se da un lato dobbiamo incrementare i percorsi di cura per i pazienti autori di reato trattabili clinicamente, dall’altro bisogna riservare alle persone con prevalente sociopatia dei percorsi carcerari rieducativi, almeno sino a che non si decidano a collaborare. Credo sia dovere della comunità scientifica che rappresento ribadire il ruolo medico-terapeutico della psichiatria e prendere le distanze rispetto alla tendenza di riattribuirci un ruolo custodialistico.