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Prescrizione di iniezione endovenosa di KCL senza diluizione, paziente muore. Responsabilità esclusiva dell’infermiere?

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 16/09/2019

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La responsabilità dell'infermiere  si correla alla condotta di somministrazione dei farmaci e di applicazione diagnostica-terapeutica in base, però, alla necessaria previa indicazione del medico, il quale soltanto può individuare e disporre la terapia da praticare al paziente.
Tuttavia, nel provvedere alla somministrazione farmacologica, l'infermiere, lungi dall'esaurire il proprio apporto nella mera esecuzione materiale della terapia prescritta, proprio perchè in possesso di professionalità e competenze specifiche, non può esimersi, ove si presti il caso, dalla opportuna interlocuzione con lo stesso medico, al fine di ricevere conferma della correttezza della prescrizione”

A stabilirlo la Cassazione con la sentenza n. 7106.

I fatti

Un paziente ricoverato in ospedale per un ictus cerebrale, moriva a causa di un'iniezione di cloruro di potassio praticatagli dall'infermiera, e prescritta, senza l’opportuna diluizione, dal medico.

I figli della vittima portavano in giudizio il medico e, lo stesso ottenne di chiamare in causa l’infermiera, allegandone la responsabilità per la morte del paziente, avendo ella materialmente praticato l'iniezione letale.

 

Ricorso in appello, il medico, dopo una prima sentenza che lo vedeva corresponsabile della morte del paziente, affermava che:in quanto "esecutrice materiale della condotta che ha portato la morte del paziente (iniezione della fiala di cloruro di potassio "non diluita in bolo e direttamente in succlavia"), sarebbe "a tutti gli effetti di legge l'unica ed esclusiva responsabile della errata somministrazione del KCL" e, quindi, della morte del paziente stesso, non potendo essere rimproverata alcuna colpa al medico, "che ha correttamente ritenuto di somministrare il KCL in un paziente dal quadro clinico fortemente compromesso", tramite una condotta "appropriata", con "prescrizione del farmaco adeguata alle finalità terapeutiche richieste dal caso concreto".
In definitiva, la morte del paziente sarebbe dipesa esclusivamente dalla condotta imperita dell'infermiera. "di praticare la somministrazione del KCL direttamente in succlavia, senza chiedere spiegazioni", per cui nessuna valenza avrebbe avuto la condotta del medico ove "fosse stato coadiuvato da infermieri adeguatamente formati e preparati".

 

Il ricorso viene respinto per le seguenti motivazioni:

L’infermiere nel provvedere alla somministrazione farmacologica, lungi dall'esaurire il proprio apporto nella mera esecuzione materiale della terapia prescritta, proprio perchè in possesso di professionalità e competenze specifiche, non può esimersi, ove si presti il caso, dalla opportuna interlocuzione con lo stesso medico, al fine di ricevere conferma della correttezza della prescrizione.

La Cassazione rileva la  "corresponsabilità dell’infermiere che mancò di rilevare - pur avendone la possibilità cognitiva e giuridica - l'inesattezza o la grave incompletezza della procedura terapeutica richiestale dal medico", senza che ciò potesse escludere la responsabilità dello stesso , "sul quale gravava, in ogni caso, l'onere di impartire una prescrizione terapeutica precisa e completa tanto più in presenza di effetti letali quali sono quelli che, inesorabilmente, discendono dall'introduzione improvvisa di cloruro di potassio non diluito nell'organismo".

 

da Dirittosanitario.net