Vulnologia, una storia difficile, un futuro di crescita
di Isabella La Puma
La vulnologia può essere definita come una delle discipline di natura sanitaria più antiche esistenti. Questo termine, che ho potuto constatare essere poco conosciuto anche tra i sanitari, ha delle radici antiche. In latino la parola Vulnus definiva una ferita, una lacerazione sulla cute ed è legato allo studio della figura di un protomedico romano di origini greche, Arcagato, che nel 219 a.C. si distinse nell’Urbe come chirurgo vulnerarius (terapeuta di ferite). Ma l’arte della vulnologia ha radici ancora più antiche; esistono infatti testimonianze rupestri in cui vengono raffigurati i primi uomini intenti a curare le ferite con bendaggi e unguenti.
In Italia nel 1997, il direttore della Divisione di Ortopedia dell’Università di Torino, affida al prof. Elia Bernardino Ricci una consulenza in Vulnologia; fu il primo riconoscimento ufficiale alla disciplina nel nostro paese e il primo utilizzo ufficiale del termine introdotto dallo stesso dott. Ricci con cui intendeva “dare adeguata dignità a questo tipo di problematiche: finché non hanno un nome, non hanno neppure un'identità”.
E in effetti la storia della Vulnologia non è mai stata semplice, né nel nostro paese né all’estero dove comunque, come spesso accade, è sicuramente più lunga ed articolata.
Le “piaghe” sono storicamente associate a malattie oggetto di forte stigma sociale come lebbra, colera o peste, perciò chi ne è affetto è da sempre vittima di emarginazione. Il trattamento delle ferite, infatti, è probabilmente il primo problema sanitario affrontato dall’uomo nel corso della sua storia, ma delle lesioni e delle ulcere la comunità scientifica si occupa solo dagli anni Quaranta del Novecento. Ciò è dovuto probabilmente proprio alla ghettizzazione di questi pazienti ma anche all’approccio che molti luminari dell’assistenza hanno riservato al problema. “Florence Nightingale (1820-1910) definiva le piaghe da decubito come la «vergogna degli infermieri». La cura infermieristica di questa patologia è dunque associata storicamente a un concetto negativo. Per quanto riguarda i medici, uno dei primi a occuparsi di piaghe e ulcere fu Jean Martin Charcot (1825-1893), padre della neurologia francese, la cui fama attirò all’ospedale Salpètriere di Parigi numerosi professionisti da tutta Europa. Charcot, non riuscendo a trovare la «necrotossina», cioè la causa ematica che secondo lui era alla base delle piaghe, dichiarò che si trattava di un «problema degradante per l'arte medica» e che quindi se ne dovevano occupare i «cerusici» (i barbieri dell’epoca) e il personale di assistenza sanitaria. Solo molto più tardi, con il progresso della professione infermieristica, piaghe e ulcere sono state affrontate in modo più attento e adeguato” (E.B. Ricci, 2008).
Nel corso dei secoli ha acquisito sempre più la dignità scientifica, svincolandosi dalla subordinazione alla branca dermatologica o vascolare ed espandendo i suoi confini fino alla multidisciplinarietà che costituisce la sua vera natura. Il Vulnologo/a infatti, parte dalla valutazione della persona portatrice di una lesione e attua una serie di indagini che possono coinvolgere vari specialisti, dal diabetologo al chirurgo vascolare, dal cardiologo all’endocrinologo, dall’immunologo al nutrizionista, dall’infettivologo allo psichiatra e al geriatra. Al centro dei processi di prevenzione e di cura delle ulcere è sempre più protagonista l’infermiere/a, sia in ambito ospedaliero che territoriale.
Dunque gli infermieri hanno storicamente un legame con questa disciplina ma anche un futuro di crescita e affermazione professionale. Del resto la Vulnologia è nota al resto del mondo come Wound Care, letteralmente “cura della lesione”, con quel verbo, To Care, che è un po’ la bandiera dell’essere infermiere/a, prendersi cura, non solo della lesione ma della Persona portatrice di una lesione.