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TFS, basta attese infinite: la proposta M5S taglia i tempi e alza le soglie

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 12/05/2025

AttualitàGovernoParlamento

 

Roma – Con una proposta di legge presentata alla Camera, il deputato del Movimento 5 Stelle Alfonso Colucci interviene su un nodo da anni irrisolto per i dipendenti pubblici: i tempi e le modalità di pagamento del Trattamento di fine servizio (TFS). L’obiettivo è correggere una distorsione normativa che penalizza oltre un milione e mezzo di lavoratori del settore pubblico, rispetto ai colleghi del privato.

TFS: tempi lunghi e rate spezzate

Attualmente, i lavoratori pubblici assunti a tempo indeterminato prima del 1° gennaio 2001 ricevono il TFS con ritardi che possono arrivare fino a 12 mesi dalla data del pensionamento, e l’erogazione avviene spesso in due o tre rate annuali. Un meccanismo introdotto nel 2010 per esigenze di finanza pubblica, ma che oggi – secondo una recente sentenza della Corte costituzionale – viola il principio della “giusta retribuzione”.

Il verdetto della Corte

La Consulta, con la sentenza n. 130 del 23 giugno 2023, ha stabilito che questi ritardi non sono compatibili con i principi costituzionali di tempestività, proporzionalità e ragionevolezza. Il TFS, pur essendo tecnicamente un’indennità, rappresenta a tutti gli effetti una parte del compenso maturato dal lavoratore: posticiparne l’erogazione compromette il diritto a riceverlo in modo congruo e puntuale.

Cosa cambia con il DDL Colucci

Il disegno di legge propone due modifiche sostanziali:

  1. Riduzione dei tempi di pagamento: il termine massimo per la liquidazione del TFS in caso di pensionamento per limiti di età o servizio scende da 12 a 3 mesi.

  2. Rivalutazione delle soglie per la rateizzazione: gli attuali limiti di 50.000 e 100.000 euro vengono aggiornati, rispettivamente, a 63.600 e 127.200 euro, tenendo conto dell’inflazione registrata tra maggio 2010 e maggio 2023 (dati ISTAT).

Un compromesso tra equità e sostenibilità

La proposta cerca di tenere insieme due esigenze: rispettare i diritti dei lavoratori e allo stesso tempo garantire la tenuta dei conti pubblici. Una sentenza di incostituzionalità diretta – ha ricordato lo stesso Colucci – avrebbe avuto un impatto stimato in circa 7 miliardi di euro annui, secondo i dati forniti nel 2023 dall’allora presidente dell’INPS, Pasquale Tridico.

Secondo il dossier INPS, al 31 dicembre 2022 i dipendenti pubblici erano 3,24 milioni, e solo nel 2022 lo Stato ha liquidato oltre 8,7 miliardi in TFS/TFR, con un incremento dell’8,3% rispetto all’anno precedente. La riforma riguarderebbe in prospettiva una platea potenziale di 1,6 milioni di lavoratori, con circa 150.000 pensionamenti annui.

Il DDL Colucci recepisce il richiamo della Corte costituzionale, corregge un’anomalia sistemica e si propone come primo passo verso una riforma più equa del trattamento di fine servizio nella pubblica amministrazione. Ora la parola passa al Parlamento.