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La Sindrome di Lazzaro: quando la vita sorprende dopo la fine

Andrea Tirottodi
Andrea Tirotto
Pubblicato il: 20/07/2025

Cronache sanitarie

Il recente caso di Viterbo – dove un uomo di 78 anni, dichiarato morto dopo lunghi tentativi di rianimazione, si è improvvisamente risvegliato rassicurando tutti sulle sue condizioni – ha riportato l’attenzione su un fenomeno raro ma affascinante: la cosiddetta sindrome di Lazzaro.

Con questo termine si indica il ritorno spontaneo della circolazione (il cosiddetto ROSC, Return of Spontaneous Circulation) dopo che le manovre rianimatorie sono state sospese e il paziente è stato giudicato deceduto. Si tratta di eventi estremamente rari – qualche decina di casi descritti in letteratura negli ultimi quarant’anni – ma documentati in modo inequivocabile, tanto da stimolare ancora oggi domande e riflessioni tra chi opera in ambito sanitario.

La fisiopatologia che sta alla base della sindrome non è del tutto chiarita. Le principali ipotesi chiamano in causa diversi fattori:

  • Pressione intratoracica: durante la rianimazione, specialmente con ventilazioni energetiche o frequenti, può accumularsi pressione nel torace tanto da ostacolare il ritorno di sangue al cuore. Una volta interrotte le manovre, la pressione torna a valori normali e il cuore può riprendere improvvisamente a battere.

  • Effetto ritardato dei farmaci: alcuni dei medicinali somministrati durante la RCP, come l’adrenalina, possono non agire subito a causa della scarsa perfusione. Una volta ristabilite le condizioni, il farmaco può manifestare la sua efficacia in ritardo.

  • Alterazioni elettrolitiche e variabili individuali possono contribuire al fenomeno.

Parliamo di un’evenienza estremamente rara, benché probabilmente sottostimata. Alcuni studi internazionali e indagini tra anestesisti e rianimatori riportano che una percentuale non trascurabile di professionisti abbia assistito almeno una volta a qualcosa di simile nell’arco della propria carriera, anche se spesso con esiti diversi da quelli eclatanti riportati dalla cronaca.

Nel caso di Viterbo, il ritorno del battito sarebbe avvenuto circa 20 minuti dopo la cessazione delle manovre di rianimazione. L’uomo di 78 anni era stato sottoposto a prolungate manovre di rianimazione cardio-polmonare senza successo. I sanitari, dopo aver tentato il tutto per tutto, hanno constatato la morte e comunicato il decesso ai familiari. Circa 20 minuti dopo, mentre la salma era ancora nella sala dove si era svolta la rianimazione, il personale si è accorto che l’uomo aveva ripreso a respirare e che il battito cardiaco era tornato. Il paziente a quel punto era cosciente, parlava e rassicurava i presenti sulle sue condizioni.

Questo intervallo di tempo – superiore ai normali 5-10 minuti descritti in letteratura – è proprio uno degli aspetti che ha maggiormente colpito i sanitari, tanto da offrire ulteriori spunti di riflessione sulla necessità di osservazione prolungata post-RCP.

Eventi come quello di Viterbo spingono a riflettere sulle procedure di accertamento del decesso, sui tempi di osservazione post-RCP e sull’importanza di condividere protocolli chiari e aggiornati.