Cos'è il Failure to Rescue: l’indicatore che salva vite ma che l’Italia non usa
Di fronte alle complicanze gravi, ciò che fa davvero la differenza è la capacità del team sanitario di riconoscere il peggioramento del paziente e intervenire in tempo. È questo il cuore del concetto di Failure to Rescue (FTR), un indicatore di qualità dell’assistenza largamente usato all’estero ma ancora assente nel sistema italiano. A metterlo al centro del dibattito è uno studio firmato da Jacopo M. Olagnero, Elena Casabona, Federica Riva-Rovedda, Daniela Berardinelli, Chiara Bova, Elena Viottini e Beatrice Albanesi, pubblicato dal Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche dell’Università di Torino.
Lo studio parte da un dato semplice: in sanità, non basta curare le complicanze. Occorre intercettarle presto. E quando questo non accade, si verifica un caso di FTR, cioè l’incapacità di prevenire un deterioramento clinico o un decesso dopo l’insorgenza di un evento che sarebbe potuto essere trattato.
Un indicatore nato 30 anni fa, ma mai adottato in Italia
Il concetto non è nuovo. Fu introdotto oltre trent’anni fa da Silber e colleghi, e nel 2001 l’Institute of Medicine lo inserì tra gli indicatori chiave di qualità e sicurezza ospedaliera. Da allora molte nazioni lo utilizzano per valutare la capacità degli ospedali di rispondere alle emergenze cliniche. L’Italia, invece, non lo ha ancora integrato.
Gli autori sottolineano che FTR non misura solo un esito, ma un insieme di competenze: monitoraggio efficace, decisioni tempestive e corretta escalation delle cure. Per questo è un indicatore molto sensibile: più del semplice dato sulla mortalità, mostra quanto un ospedale sia capace di proteggere i pazienti più fragili.
Dove si annida il fallimento: monitoraggio, organizzazione, tecnologie
Nello studio si evidenziano i tanti fattori che possono favorire un caso di FTR.
Monitoraggio non standardizzato. Un peggioramento può sfuggire se i parametri vitali non sono registrati con frequenza e metodo adeguati.
Comunicazione interna debole. Anche quando qualcuno nota un segnale d’allarme, la mancata condivisione rapida può rallentare l’intervento.
Assenza o inefficienza dei team di risposta rapida. In Italia non tutti gli ospedali dispongono di un MET (Medical Emergency Team) strutturato, e non ovunque è attivo il numero unico per le emergenze intraospedaliere previsto dalle raccomandazioni europee.
Limiti tecnologici e logistici. L'indisponibilità immediata di radiologia interventistica, emodinamica o telemetria può ritardare trattamenti decisivi.
Gli autori rimarcano anche un punto spesso sottovalutato: non conta solo il numero degli infermieri, ma lo skill-mix, cioè il livello di competenze avanzate presenti nei turni.
Un indicatore applicabile oltre la chirurgia
Sebbene nato in ambito chirurgico, l’indicatore può essere applicato in molti altri contesti: medicina interna, pronto soccorso, ostetricia, neonatologia. Eventi come sepsi, insufficienza respiratoria, sanguinamenti improvvisi o complicationi materne richiedono la stessa capacità di risposta rapida.
Più complessa, invece, sarebbe la sua applicazione nelle strutture residenziali, dove gli anziani presentano sintomi spesso atipici e gli organici infermieristici ridotti rendono più difficile un monitoraggio costante.
Perché FTR sarebbe utile al sistema italiano
In Italia oggi la capacità degli ospedali di prevenire complicazioni viene valutata attraverso indicatori indiretti, come i tassi di riammissione o la durata della degenza. Numeri utili, ma che non permettono di capire se un peggioramento sia dovuto a un inevitabile evento clinico o a una mancata risposta tempestiva.
Secondo Olagnero, Casabona, Riva-Rovedda, Berardinelli, Bova, Viottini e Albanesi, l’introduzione della FTR farebbe chiarezza su questo punto. Non misurerebbe la sola mortalità, ma la capacità effettiva del sistema di evitare che una complicanza degeneri.
Un passo avanti per la sicurezza del paziente
Gli autori concludono che la FTR è un indicatore sia organizzativo sia professionale, e potrebbe diventare un riferimento anche per misurare gli esiti sensibili all’assistenza infermieristica. La sua forza sta nel mettere al centro ciò che davvero salva le vite: il lavoro coordinato, le competenze giuste al momento giusto e la capacità di un sistema di reagire quando il paziente comincia a peggiorare.
Inserirlo nella sanità italiana significherebbe dotarsi di uno strumento utile non per colpevolizzare, ma per capire dove e come migliorare. E trasformare ogni ritardo evitato in una vita salvata.
da: Olagnero JM, Casabona E, Riva-Rovedda F, Berardinelli D, Bova C, Viottini E, Albanesi B. Failure to rescue: un indicatore della qualità dell’assistenza utile da integrare nel contesto italiano? Assist Inferm Ric2025;44(3):117-121. doi 10.1702/4564.45637
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