Sull'accanimento terapeutico e il percorso di fine vita
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Il Comitato Nazionale per la bioetica ha definito l’accanimento terapeutico “come un trattamento di documentata inefficacia in relazione all’obiettivo, a cui si aggiunga la presenza di un rischio elevato e/o una particolare gravosità per il paziente con un’ulteriore sofferenza, in cui l’eccezionalità dei mezzi adoperati risulta chiaramente sproporzionata agli obiettivi della condizione specificaâ€
Tuttavia davanti al 90% dei medici negli Stati Uniti e al 79% di quelli europei, gli anestesisti rianimatori italiani sono quelli che meno di tutti, al di sotto dei 10%, fermano ogni intervento terapeutico nei casi in cui le cure non servano più e il malato sia in uno stato terminale della vita.
Questo atteggiamento estremamente “conservativo†del mondo medico italiano, rispetto a quello di altri Paesi è “il vero dato importante e significativo†emerso da una recente ricerca condotta dall’Università cattolica del Sacro Cuore che ha coinvolto 225 medici dei Centri di Rianimazione di Milano.
Ma, nel limitare o nel sospendere le cure intensive, non si deve realizzare l’â€abbandono terapeuticoâ€, di deve quindi passare all’attuazione di “cure ordinarie o proporzionateâ€, rappresentate dalla sedazione, dall’analgesia, dalla nutrizione e idratazione, dalle cure igieniche, dalla prevenzione delle ulcere da pressione, sì da contribuire ad elidere la sofferenza fisica e psicologica del paziente.
Un limite alle cure è pure previsto dall’artico 44 del Codice di Deontologia Medica del 16 dicembre 2006 che afferma: “In caso di malattia allo stato terminale, il medico nel rispetto della volontà del paziente, potrà limitare la sua opera all’assistenza morale e alla terapia atta a risparmiare inutile sofferenza, fornendogli i trattamenti appropriati e conservando per quanto possibile la qualità di una vita che si spegne. Ove si accompagna difetto di coscienza, il medico dovrà agire secondo scienza e coscienza, proseguendo nella terapia finché ragionevolmente utileâ€.
A tal fine si è coniata l’espressione desistenza terapeutica per definire l’atteggiamento terapeutico con il quale il medico desiste dalle terapie futili ed inutili. La desistenza terapeutica è un concetto che proviene dall’ambito medico dell’anestesia-rianimazione e si applica nei confronti dei pazienti malati terminali. La desistenza terapeutica ha la sua base nel concetto di accompagnamento alla morte secondo dei criteri bioetici e di deontologia medica già stabiliti. La desistenza terapeutica non ha niente a che fare con l’eutanasia, da cui anzi prende le distanze, e vuole combattere l’accanimento terapeutico.
(da Medicina, dialogo e comunione)
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Da quanto sopra esposto si può facilmente intuire quanto gli argomenti relativi all’accanimento terapeutico e al fine vita suscitino particolare interesse e coinvolgimento negli operatori sanitari, come dimostra ancora una volta, la grande partecipazione all’evento formativo “Accanimento terapeutico, eutanasia e accompagnamento alla morte: emozioni, doveri, vissuto professionale degli Infermieri†tenutosi, per la terza edizione, il 7 e 8 marzo 2014 dalla segreteria NurSind Udine.
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I principali argomenti trattati sono stati: l’accanimento terapeutico, l'assistere i morenti, l’eutanasia, gli aspetti etici e deontologici, la quotidianità della morte ed il rifiuto del problema, progetti speciali, burn out.
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Sono intervenuti, in veste di relatori: Francesco Falli (Presidente del Collegio IPASVI di La Spezia, Infermiere Legale e Forense), Gianluca Ottomanelli (Vice Presidente del Collegio IPASVI di La Spezia, Responsabile Infermieristico Area Vasta Coopselios) e il Professor Amato De Monte, Responsabile Anestesia e Rianimazione 1 dell’Azienda Ospedaliera Santa Maria della Misericordia di Udine.
Il Professor Amato De Monte, come molti ricorderanno, è il medico che assistette Eluana Englaro nei suoi ultimi giorni di vita (presso la struttura di assistenza per anziani “La Quiete†di Udine) applicando il protocollo per la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione della ragazza; il tutto nel rispetto della sentenza della Corte di Cassazione che, dando ragione al papà di Eluana (Beppino Englaro), aveva accolto l’istanza più volte rigettata da altri tribunali.
Ricordiamo ancora le parole del Professor Amato De Monte subito dopo che Eluana spirò: “Sono devastato come uomo, come padre, come medico e come cittadino. Tutta la società civile dovrebbe riflettere sullo scollamento tra il sentire sociale e la posizione della politica e della chiesa sul tema della vita vegetale.â€
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Hanno aderito all’evento 200 attenti operatori sanitari che non hanno mancato di rendere vivace e stimolante il dibattito.
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Di seguito il racconto di un’esperienza personale e professionale vissuta e condivisa da un medico palliativista.
(…)lunedì ho ricevuto una telefonata dall’hospice che mi ha portato a vivere un’esperienza intima con un paziente ricoverato da qualche giorno nella nostra struttura. Ho pensato di farvene dono perché racconta in modo non tecnico né moralista ciò che significa anche per noi operatori accompagnare una persona nel suo percorso di fine vita fino all’ultimo respiro. Qualcosa di decisamente lontano dall’accanimento terapeutico.
Il mio cellulare squilla, sono le 4.44: non può che essere una telefonata dall’hospice. Rispondo e intanto mi avvio verso il bagno… per non svegliare il resto della famiglia. “Il signor A sta male. È agitato. La pressione sta scendendo. Gli ho già somministrato il farmaco che avevi lasciato al bisogno ma…†è la voce dell’infermiera in turno. Poche ma essenziali parole che mi fanno comprendere che le condizioni del signor A si sono aggravate irreversibilmente. Dò istruzioni all’infermiera e mi preparo per andare in hospice: è probabile che debba impostare una terapia sedativa continua per via endovenosa e non voglio far aspettare (e soffrire inutilmente) il nostro paziente.
Apro l’armadio per vestirmi e solo in quel momento mi ricordo che a Milano è stato proclamato il lutto cittadino per l’ultimo saluto a Carlo Maria Martini. È stato arcivescovo della città negli anni della mia adolescenza e prima giovinezza e a lui sono particolarmente affezionata, come molti in città .
Salgo in auto: l’orologio segna le 5:19. Un lunedì come tanti, penso. E invece no. Oggi è il primo lunedì di settembre: giorno in cui la città torna a riempirsi di persone e riprende la sua frenesia di sempre. Eppure non incontro nessuno. Strade deserte. Silenzio. Buio. Entro alle 5.30 in Casa Vidas, un record.
Il signor A si è addormentato e – finalmente – sembra rilassato. Parlo con la figlia e le spiego cosa potrebbe succedere nelle prossime ore. Se al risveglio il papà fosse ancora agitato (di quell’agitazione pre mortem che noi palliativisti conosciamo fin troppo bene – nda), si potrebbe pensare di indurre una sedazione palliativa profonda.
Molto prima di quanto io stessa potessi pensare, vengo chiamata dall’infermiera: “Il signor A si è risvegliato. È agitato…â€. “Arrivo†è la mia risposta. Sono le 6:45. Il signor A è davvero agitato: “delirium premorte†scriverò nella mia visita. La figlia ha le lacrime agli occhi: ha capito tutto. Sapeva che la situazione era grave ma non si è mai pronti a dire addio a chi si ama. La sofferenza di quest’uomo tuttavia è sotto i nostri occhi. È una sofferenza totale, contagiosa. Noi siamo impotenti.
Chiamiamo il sacerdote: così quest’uomo che oggi sta morendo ci aveva chiesto sin dal suo ingresso in hospice. Le sue parole non lasciavano dubbi: “Se muoio qui, se muoio di notte, voi lo chiamerete il sacerdote, vero?â€. Ma la sua sofferenza non ci concede tregua: è giunto il momento di indurre una sedazione palliativa profonda. Il signor A si tranquillizza, si rilassa, riprende ad avere un respiro regolare. Dorme.
Con qualche minuto di ritardo mi unisco alla riunione del mattino tra operatori della notte e operatori del turno del mattino. Alle 7:45 torno a vedere il signor A che non ha urinato più dalla sera prima. Con l’infermiera decidiamo di cateterizzarlo nel sospetto di un globo vescicale. La manovra è sicuramente fastidiosa anche se non smettiamo di parlare dolcemente al signor A per spiegargli cosa stiamo facendo. E lui accenna a risvegliarsi. Nel frattempo arriva don Stefano. Ci fermiamo in camera con la figlia – io e le due infermiere dei due turni della notte e del mattino – e ci lasciamo guidare da don Stefano che impartisce l’unzione degli infermi al nostro signor A. Mentre stiamo pregando nella mia mente fa breccia il ricordo di Carlo Maria Martini. Della sua spiritualità , del suo amore per la Parola, della sua apertura sincera verso il diverso, della sua capacità di accogliere e ascoltare, della sua sospensione del giudizio, della sua capacità di confrontarsi e mettersi in discussione, del suo coraggio e della sua coerenza che ha testimoniato fino alla fine. E, inevitabilmente, penso alla follia di tanti uomini e donne del nostro tempo che essendo ormai incapaci di accettare il limite e la finitezza dell’essere umano tendono a stravolgere l’ordine naturale delle cose. Quando un personaggio straordinario chiede il non accanimento terapeutico, si schierano dalla parte di chi lo indica come l’esempio da seguire, dimenticandosene presto quando la morte si avvicina a uno dei loro cari.
Mentre stiamo pregando il signor A si rilassa del tutto e accenna a un sorriso.
(da NOI DI VIDAS)
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(a cura di Chiara D'Angelo)
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