Se il Demansionamento... nasce già all'Università ...!
Ricordo ancora il rabbioso imbarazzo quando la coordinatrice infermieristica ci dispose, noi otto malcapitati, a due a due accanto al letto del paziente: al passare del Chirurgo in visita dovevamo scoprire le lenzuola, stare attenti a non mostrare le nudità del degente, staccare cerotti e medicazioni, far trovare padelle pulite e anche lucidare le aste della flebo arrugginite. E delle nottate di nausea passate sugli appunti? Le serate intere a spezzarmi la schiena nei ristoranti per pagarmi libri e tasse? La sveglia alle cinque del mattino e il rientro alle quattro del pomeriggio per andare in reparto? Tutti sacrifici immensi per poi demansionarmi fin dal tirocinio ambendo comunque al 110 e lode. Complimenti! Adesso sono Infermiere e nonostante “goda” (sempre che non pensi alla miserrima retribuzione oraria) di un lavoro composto totalmente da interventi infermieristici non dimentico l’umiliazione bruciante di quelle mattinate ed ho molto a cuore la situazione studentesca (forse perché fino a Marzo lo ero).
Il demansionamento infermieristico che sta affogando il Titanic sanitario ha la grave responsabilità non solo, in primis, di ledere la dignità professionale dell’operatore che lo subisce ma anche di creare una generazione filiale di cloni che si omologhino allo status quo senza speranza di cambiamento. Questa è l’eredità che ci hanno lasciato? Tristemente sì.
Quando dibatto di questo tema con qualche alunno del primo anno non voglio risparmiarmi perché sento la lusinghiera responsabilità di dire le cose come stanno. – E di chi è il problema? E perché siamo arrivati a questo punto? – si chiedono questi studenti, ancora incantati e protetti dall’aura accademica. Come lo ero io del resto nonostante la dignità puntualmente incerottata per le corsie del tirocinio. Pur non potendo competere in materia di demansionamento da un punto di vista legislativo e sindacale ed anche grazie alle esplicazioni del Prof Cavicchi (Clicca) nel recente articolo, io credo che il pericolo che si corra adesso nella formazione degli studenti adesso sia riassumibile secondo uno schema del tipo:
FORMAZIONE UNIVERSITARIA – CORSO DI LAUREA |
Mi vanga perdonata la geometria del grafico non perfettamente simmetrica in ogni sua forma: sono un teoretico e per natura, quando posso, non ambisco alla perfezione tecnica nella pratica. Come analizzato dal Prof Cavicchi il problema principale non nasce in seguito ad una disordinata organizzazione del processo lavorativo a monte dell’ assistenza, ne è un errore ascrivibile a qualche realtà sanitaria isolata ma è la conseguenza delle scelte decapitanti (turn over bloccati – costi zero – sbilancio tra figure professionali – compressione dei tempi di assistenza) che amputano la testa al sistema aziendale.
La qualità del servizio di salute erogato al cittadino (outcome) si basa principalmente sull’equilibrio tra condizioni lavorative sottese alla base dell’atto sanitario (input) ed atto pratico vero e proprio (output, la prestazione erogata).
Quando le condizioni che vengono ancor prima del processo produttivo sono già dimezzate ne consegue che anche questo equilibrio viene ad essere precario. Le criticità lavorative (mancanza di personale, complessità assistenziale sproporzionata rispetto al tempo) e il tappabuchi infermieristico (deprofessionalizzazione) che viene fatto per portare comunque a termine ogni tipo di mansione provoca ovviamente un risultato negativo e quindi un servizio sanitario scadente, di bassa qualità, dove le figure professionali che dovrebbero renderlo un outcome utile al cittadino sono declassate a sotto-ruoli.
Questo crea una primi crisi di identità degli infermiere, un vero e proprio buco nel loro background culturale tanto grande quanto basta per farli sentire dispersi nel proprio ruolo (che tra l’altro non sarebbe comunque mai congruo alla formazione per via del periodo storico di passaggio che la figura infermieristica sta vivendo) e non stimolati dunque a crescere.
Qui riprendo l’illuminante Prof Cavicchi – la deprofessionalizzazione in un contesto lavorativo avverso e nel disorientamento dell’identità infermieristica apre le porte del DEMANSIONAMENTO.
Ho riflettuto un po’ su questa disgrazia e ritengo che se da una parte il demansionamento continuo con l’impiego di infermieri in attività non proprie può tamponare certe criticità (forza positiva) dall’altra aumenta la voragine della deprofessonalizzazione proprio per l’assoggettamento dell’Infermiere a un ruolo inferiore, e quindi si ripiomba in una situazione di disequilibrio che ingigantisce le dimensioni del fenomeno stesso.
Abbiamo reparti dove Infermieri spazzano per terra; puliscono tutti gli armadietti e ancora si fanno la guerra tra loro (confusione di varie identità professionali) sull’argomento “OSS e somministrazione dei farmaci”. E gli studenti? Soffrono della stessa patologia, seppur partendo da una base che dovrebbe costituire un evoluzione positiva verso l’alto. Anche i più motivati e meritevoli sono esposti al rischio di essere risucchiati dalla marea. Perché di per se la formazione universitaria ed il tirocinio potrebbero davvero creare dei professionisti. Ma gli (noi) studenti sono fragili, sanno che si accingono ad affrontare un percorso dove dovranno imparare a vivere simultaneamente un doppio ruolo: umano/sensibile e scientifico/razionale. Un quadrinomio sempre perfettamente mescolato di fronte al paziente. Dovranno imparare, assorbire, captare, riconoscere, crescere, capire, sbagliare, arrendersi, combattere, cadere, rialzarsi e ricominciare ad imparare.
E’ un corso di laurea che dovrebbe fornire un background elevatissimo da metabolizzare e coltivare. Normale che ci si senta spaventati e si tenda a seguire (quasi ad emulare) i tutor di tirocinio o gli Infermieri di reparto fino a che non si è in grado di camminare da soli. E queste figure non possono, adesso. Non possono più seguirci. Perché sono affette, loro malgrado, da patologie dell’identità professionale. In queste condizioni ciò che possono offrire ai tirocinanti è solo una visione altamente dissonante dalle prime informazioni cliniche e scientifiche che gli studenti ricevono all’Università (che costituirebbero di per se spinte positive).
Possono trasferire solo la risultante (il prodotto) delle forze svalutanti che derivano dal demansionamento. Proprio perchè questi studenti sono come tavole bianche, la sommatoria delle loro uniche armi (tutte accademiche) non potrà mai essere più forte del prodotto delle forze demansionatrici aziendali di cui sopra, e quindi il sistema li schiaccia e relega, giocoforza, ad inclinarsi ad un sistema lavorativo deprofessionalizzante, quasi esso fosse la norma da seguire nel domani quando saranno anch’essi Infermieri.
Periranno sotto il pesante macigno che gli dovrebbe in realtà garantire quella formazione ad hoc per diventare professionisti. Periranno e si assoggetteranno alla corrente. Il rischio è l’omologazione. Una nuova generazione di cloni (mi ricorda il romanzo 1984 di Orwell già citato in un mio precedente articolo) malati di questa crisi di identità infermieristica. Che diventeranno nuovi Infermieri tra vecchi Infermieri anch’essi smarriti, spaventati, confusi.
Le soluzioni? Io ci rifletto intanto, magari saranno l’incipit per un prossimo articolo, voi che ne pensate nel frattempo?
Infermiere arrabbiato