Iscriviti alla newsletter

La violenza sulle donne, il ruolo degli operatori sanitari

Chiara D'Angelodi
Chiara D'Angelo
Pubblicato il: 25/11/2014 vai ai commenti

Nursing

di Marialuisa Asta 

 

La violenza domestica è un fenomeno diffuso, sommerso e sempre più rilevante.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la violenza contro le donne come “l’uso intenzionale della forza fisica o del potere, o della minaccia di tale uso, rivolto contro le stesse, o contro un’altra persona… che produca, o sia molto probabile che possa produrre, lesioni fisiche, morte, danni psicologici, danni allo sviluppo, privazioni.

Sebbene uomini, donne e bambini possano tutti essere vittime di violenza, gli autori e le conseguenze  sono di solito differenti per i due generi. Mentre gli uomini sono più facilmente colpiti da estranei durante il compimento di un crimine o in guerra, le donne sono più facilmente aggredite dal loro partner uomo o da altro familiare, spesso qualcuno con cui vivono e che amano. Infatti, più frequentemente sono uccise dai loro partner piuttosto che da estranei.

In Italia ogni tre morti violente una riguarda donne uccise da un marito, convivente o fidanzato (fonte: Ministero per i Diritti e le Pari Opportunità). Tra il 2000 e il 2005 sono avvenuti 485 omicidi all’interno della coppia: nel 88,6% uomini che hanno ucciso la propria partner o ex partner. Solo nel 6% dei casi l’autore era affetto da disturbi psichici. Dalle statistiche comunitarie in Europa la violenza rappresenta le prima causa di morte delle donne nella fascia di età trai 16 e i 50 anni. In Italia una recente indagine ISTAT - ”la violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia” - pubblicata nel 2007 e condotta l’anno precedente (in seguito ad una convenzione con il Ministero per i Diritti e le Pari Opportunità), dimostra che le donne italiane tra i 16 e i 70 anni vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della vita sono stimate in 6.743.000.

Solo il 7% delle donne che ha subìto violenza da parte di un partner, lo denuncia. Il sommerso continua, quindi, ad essere la norma. Inoltre, e ben più grave, appare il dato che il 33,9% delle donne che subiscono violenza dal partner e il 24% di quelle che l’hanno subita da un non partner, non parla con nessuno delle violenze subite. Nel silenzio si consuma la violenza e dal silenzio continua ad essere avvolta.

Le donne che subiscono Violenza, prima di avere il coraggio o meno di denunciare o di rivolgersi ad un centro specializzato , passano dal Pronto soccorso Ospedaliero, ed è con gli operatori sanitari che hanno il primo contatto, e spesso gli operatori del Pronto Soccorso, anche se hanno di sicuro incontrato nella loro professione persone che hanno subito violenze, maltrattamenti fisici o psicologici, raramente hanno gli strumenti culturali necessari per riconoscerle.

Le donne che arrivano in pronto soccorso, sono quelle donne che ancora non hanno denunciato, sono donne che non riescono a pronunciare la parola "violenza", per descrivere quanto a loro accorso, spesso raccontano storie improbabili di incredibili incidenti domestici, di cadute dalle scale, di spigoli, di porte. Costruiscono ad arte le loro bugie, si corazzano, elevano muri insormontabili di silenzi, perchè il dolore non le sfiori ancora, perchè quella terribile verità diventi solo un incubo, un brutto sogno da dimenticare medicata la ferita superficiale, sperando si sanino anche le ferite più profonde.

Chissà quante donne vittime di violenza abbiamo incontrato durante lo svolgimento del turno lavorativo, e chissà quante volte non le abbiamo riconosciute;e non per sordità o per cecità, ma per l'intrinseca difficoltà di riconoscere quello che queste donne hanno deciso di nascondere dietro alla parola "incidente domestico". Questo perchè, anni di studio ci hanno insegnato a dare risposte terapeutiche adeguate ad una persona malata, ma abbiamo trascurato la capacità di leggere i segnali inespressi.

Spesso non siamo in grado di rompere quel muro di silenzio, di dissimulazione che le donne alzano a difesa della propria paura e della propria vergogna.

Eppure, molte ricerche attribuiscono al momento del contatto con le strutture sanitarie un ruolo prioritario nel determinare la decisione della donna di uscire da una situazione di disagio ed ottenere giustizia.

A questo punto è chiaro come tutte le professioni sanitarie coinvolte debbano fare autocritica e prendersi una responsabilità professionale che fino a questo momento è stata troppo disattesa.

 

L'assistenza infermieristica ad una donna vittima di violenza è alquanto complessa; assisterla, vuol dire riconoscere prima di tutto l'autodeterminazione che le è stata negata, riconoscerle il bisogno di giustizia, riconoscerla nella sua specificità.

In questo senso è indispensabile lo sguardo infermieristico, se resiste alla tentazione di semplificare tutto con la razionalità tecnica e se sopporta il disagio esistenziale di stare accanto ad un vissuto inquietante che mette in discussione tutti i nostri parametri di umanità, di fiducia ed intimità.

L'infermiere è sicuramente, l'operatore che ha maggiore contatto con il paziente, ed in questo caso con la donna vittima di violenza, ed è nello specifico che deve poter mettere in campo tutte le tecniche di comunicazione non verbale, e porsi in modalità di ascolto, prestando attenzione alle parole non dette, perchè difficili da pronunciare. Chiediamoci perchè quella donna è arrivata in pronto soccorso, a farsi curare una ferita che spesso non ha bisogno di cure mediche, forse perchè ha bisogno di aiuto, di essere confortata, rassicurata; e tocca a noi  infermieri, capire la domanda inespressa.

Purtroppo diventa difficile, nei pronto soccorso ospedalieri, nel caos, in cui riversano, trovare il modo di porsi in ascolto, sembra impossobile trovare il modo di curare con attenzione le "ferite nascoste"; eppure è indispensabile, perchè dalla nostra capacità di capire, dipende la decisione della donna di aprirsi, uscire dal vortice della violenza e denunciare.

Dunque alla capacità di ascolto che ci permetterà di capire se siamo di fronte ad un caso di violenza, dobbiamo accostare l'azione dell'Informare, sulle scelte possibili e sulla rete di servizi pubblici o di volontariato, in grado di fornire un aiuto competente anche in relazioni ai diritti legali.

 

Diversi documenti sono stati pubblicati dall'OMS, su come il sistema sanitario debba intervenire per prevenire e rispondere alla violenza contro le donne, operando con altri settori della società: servizi sociali, polizia, magistratura.

Sono state divulgate alcune linee guida cliniche e di policy che l'OMS ha elaborato, centrate sull'evidente ruolo centrale del personale sanitario, che si trova in una posizione unica per intercettare e rispondere alla modalità di salute e psico-sociale della donna vittima di violenza,ma che non è stato adeguatamente formato per svolgere questo compito.

Per grandi linee, le raccomandazioni delle linee guida, riguardano:

-modalità di approccio alla donna vittima di violenza, garantire confidenzialità, ma non intrusività, ascolto attento e fornire informazione e supporto sociale;

-Assistenza clinica per le donne sopravvissute alla violenza sessuale, assistenza immediata, contraccezione di emergenza, profilassi dell'infezione da HIV o per altre infezioni a trasmissione sessuale, interventi psicologici anche prolungati nel tempo se necessario.

-Formazione degli operatori sanitari sulla violenza domestica e sessuale, sia in fase di pre-qualificazione del personale, sia come formazione in servizio. La formazione deve essere multidisciplinare e riguardare i vari aspetti della risposta alla violenza: identificazione, comunicazione e competenze cliniche, documentazione dei fatti riferiti e offerta di percorsi assistenziali.

-Organizzazione assistenza sanitaria per le donne vittime di violenza, integrandola nei servizi già esistenti.

 

Da quanto esposto, ci rendiamo conto, che la figura degli operatori sanitari è fondamentale, centrale, il primo filtro tra la donna che ha subito violenza e le istituzioni.

Ma consapevolmente, ammettiamo che il tutto è lasciato al caso, senza una adeguata formazione del personale in tal senso. Sono molte le donne che, vittime di violenze, hanno raccontato come spesso, il personale sanitario, anche infermieristico, non ha saputo vedere oltre quel riserbo, oltre la paura, la vergogna, i silenzi che urlavano giustizia, e in molti casi hanno giudicato.

Dato il ruolo importante all' interno del processo di assistenza alle donne vittime di violenza, che ci vede anche come educatori, si auspica che le nostre aziende ospedaliere, formino adeguatamente il personale, affinchè cada quel muro di paura, di silenzi impenetrabili, e le donne possano trovare un valido aiuto che le indirizzi alla denuncia, e le prepari al "dopo".

Perchè quelle grida silenziose possano essere ascoltate e comprese, perchè quell'incidente domestico venga trascritto con il suo vero significato, ovvero, "violenza".

Il trend è in crescita, le famiglie sono diventate focolai di violenza inaudita, fisica e psicologica, e sono sempre più numerosi gli accessi ai nostri pronto soccorso da parte di donne che subiscono soprusi.

Non possiamo farci trovare impreparati, ma capaci, di curare le ferite più profonde.