Zagari. Il grande potenziale della discussione sull’Infermiere di Famiglia in Lombardia
di Chiara D'Angelo
La Regione Lombardia è da tempo alle prese con l’intento di riordinare l’assetto socio-sanitario ed assistenziale del Sistema Sanitario Regionale.
L’elaborazione, da parte dei Collegi IPASVI lombardi unitamente con il Comitato Infermieri Dirigenti e la Consulta per le Professioni Sanitarie della Lombardia, della proposta di sub-emendamento al PDL 228 “Evoluzione del sistema sociosanitario lombardo” è, in ordine di tempo, uno degli ultimi atti della vicenda, sui cui si sta intensamente lavorando (Clicca).
Tra le proposte ricomprese nel testo anche l’istituzione dell’Infermiere di Famiglia, figura professionale che garantirebbe il raccordo fra territorio e strutture sanitarie, fra Medici di Medicina Generale, Servizi e Cittadini.
Su questo tema scrive oggi su Quotidiano Sanità Antonino Zagari (Clicca), Dirigente amministrativo dell’ASL Monza Brianza e docente di organizzazione della professione infermieristica all’Università Bicocca di Milano.
Nel suo intervento Zagari ripercorre la storia politica di questa proposta, della sua trasformazione attraverso i vari testi legislativi ipotizzati, fino a giungere all’ultima “release”.
L’articolo è particolarmente interessante perché presenta la figura dell’Infermiere di Famiglia nel sistema sanitario lombardo considerandone tre aspetti: l’aspetto funzionale all’interno del sistema, l’aspetto economico e l’aspetto delle correlazioni professionali, soprattutto con i Medici di Medicina Generale.
Se del primo è noto che l’Infermiere di Famiglia dovrà (o dovrebbe) svolgere “attività di case management per assicurare la collaborazione e il raccordo tra i medici di medicina generale e le articolazioni territoriali sanitarie e sociosanitarie, per accogliere e accompagnare la persona e la sua famiglia nella scelta più appropriata rispetto al bisogno espresso e alle opportunità della rete di offerta territoriale sanitaria e sociosanitaria” all’interno delle Unità Complesse di Cure Primarie (UCCP), meno chiaro pare come l’istituzione di questa figura sia economicamente sostenibile. E’ palese infatti che questa genererà dei costi che, spiega Zagari, dovranno essere controbilanciati dai risparmi derivanti dallo sgravio di attività che il servizio dell’Infermiere di Famiglia garantirà alle strutture di cura primaria, al sistema delle ASL e dei MMG, con la possibilità di realizzare addirittura un’operazione in utile anche dal punto di vista economico oltre che da quello, scontato, del miglioramento dei livelli assistenziali.
Nella terza parte dell’articolo Zagari affronta il tema della relazioni interprofessionali fra Medici di Medicina Generale e Infermiere di Famiglia, poiché è proprio tra queste due figure che potrebbero crearsi degli attriti se l’impianto non fosse puntigliosamente tarato.
Tuttavia una nota positiva a favore di una possibile soluzione concorde della proposta viene proprio da un’indagine svolta in forma anonima fra i MMG dell’ASL di Monza, secondo al quale la maggior parte di essi sarebbe favorevole all’istituzione dell’Infermiere di Famiglia. La quasi totalità (oltre il 95%) dei partecipanti all’indagine ha infatti espresso di ritenere che questa figura professionale possa giovare alla popolazione, migliorando la compliance della persona assistita, pianificando, attuando, e valutando i risultati dell’assistenza infermieristica, favorendo il rapporto con il MMG e l’adesione ai programmi di follow up, facilitando l’accesso ai servizi sanitari e sociali, oltre che attuando programmi di prevenzione e assumendo il ruolo di case manager infermieristico.
Riguardo alla possibile “guerra di competenze” fra le due figure, l’89,4% dei MMG partecipanti all’indagine si è detto assolutamente non preoccupato dall’inserimento della nuova figura, al contrario di un ben più ristretto 9,1% che intravede la possibilità di “invasioni di campo”.
Insomma, le premesse per l’istituzione in Lombardia (così come se ne discute anche in altre Regioni) dell’Infermiere di Famiglia pare ci siano tutte; c’è da auspicarsi, unendosi all’augurio di Zagari, che quanto sta accadendo in Lombardia sia il nascere di un “nuovo modello della presa in carico e delle cure primarie che vede un interesse maggiore al territorio e alle fragilità delle persone anziane” che potrebbe, una volta in più, vedere la Lombardia come un modello di riferimento nazionale in tema di sanità.