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L'Omissione di Soccorso il Consenso Informato e l'Infermiera friulana

Elsa Frogionidi
Elsa Frogioni
Pubblicato il: 17/11/2015

Friuli Venezia GiuliaLeggi e sentenzeNurSind dal territorio

 Tre giorni fa, conquistava i titoli di molti giornali, la notizia di un’infermiera friulana indagata per omissione di soccorso. Facciamo subito chiarezza che la collega ad oggi, da quanto riportato NON è IMPUTATA è indagata.

 Nel caso specifico a seguito della morte  avvenuta il 15 febbraio 2015, del Sig. A. DS. Di 83 anni,  domiciliato presso una casa di riposo. Dalle fonti emerge che la vittima avrebbe accusato il malore alle ore 9,00 della mattina, mentre la sua morte avveniva attorno alle ore 12,00.  

È la figlia dello stesso, ad aver presentato un esposto al Pubblico Ministero, ipotizzando il reato di omissione di soccorso, causato dalla condotta avuta quella mattina dall’infermiera in servizio nella struttura sanitaria. La figlia della vittima, descriveva i fatti avvenuti , ritenendo responsabile della sopraggiunta morte del congiunto, due fatti correlati:

 

  • una precedente caduta al quale ne conseguiva un malore,
  • che nonostante il peggioramento non si sia proceduto ad allertare il 118.

 

Nei comunicati si parla di esposto, ai sensi dell’art.335 del Codice di Procedura Penale, un Pubblico Ministero (magistrato), deve iscrivere immediatamente, nel Registro delle Notizie di Reato, ogni comunicazione, informazione di reato pervenuta o che abbia acquisito di propria iniziativa…..

L’esposto è un atto col quale si richiede all’autorità di pubblica sicurezza d’intervenire nei dissidi tra parti coinvolte. L’iter consiste nella convocazione delle parti avverse, con il fine di giungere a un accordo. Ma se il reato è perseguibile d’ufficio, la procura, indaga, rileva prove e documenti e considera se c’è la sussistenza di un reato e di quale natura.

Se il delitto è perseguibile d’ufficio, procede direttamente all’imputazione del reato, altrimenti può sentire se la parte richiedente è disponibile ad esporre querela oppure a giungere ad un accordo, senza che vi sia pregiudizio nel diritto di sporgere successiva querela.

Il reato di Omissione di soccorso nel nostro ordinamento è un reato contro la persona, che per i sanitari, presuppone il dolo generico  e la procedibilità d’ufficio. l'arti.593 del codice penale. "Chiunque trovando smarrito un fanciullo minore degli anni dieci, o un'altra persona incapace di provvedere a se stessa, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o per altra causa, omette di darne immediato avviso all'Autorità, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 2.500 euro. Alla stessa pena soggiace chi, trovando un corpo umano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestare l'assistenza occorrente o di darne immediato avviso all'Autorità.”

Se da siffatta condotta del colpevole deriva una lesione personale la pena è aumentata; se ne deriva la morte la pena è raddoppiata. "E’ un reato omissivo, dato dall’obbligo di  prestare l’assistenza necessaria ad una persona “ferita”, inanimata o di darne immediato avviso all’Autorità”. L’assitenza è intesa in senso generico, soccorso, che include ogni intervento utile in base alle circostanze. Condizioni oggettive e soggettive della vittima che stabiliscano la sua incapacità ad autodeterminarsi, ovvero, l’impossibilità di provvedere a se stesso. (Cass. Penale, sez.V n. 8609/1996).

Aggravanti per questo reato sono gli esiti del danno, (ex art. 64 c.p.) esplicitamente riferite alla loro gravità o morte. Tuttavia le ipotesi aggravanti devono essere provate con il rapporto/nesso di causalità con la condotta omissiva del soggetto preposto all’assistenza/soccorso. Si deve accertare, senza ombra di dubbio, che gli eventi lesivi si sarebbero sicuramente evitati se non si fosse verificata l’omissione.

Lo “stato di pericolo” è  un elemento fondante del reato di omissione di soccorso, deve essere accertato, reale, imminente e tale da essere effettivamente lesivo o pericoloso (offensivo) per la salute/vita della vittima. IL REATO non è punibile se l’azione omissiva/commisiva non è idonea a costituire l’evento dannoso o perocoloso per cui è imputato.(Cass. Penale se.IV n. 36608/2006)

Il Pubblico Ministero che si occupa della vicenda, Dott. Tripani, ha disposto l’acquisizione della cartella clinica e degli altri documenti concernenti la degenza dell’anziano nella struttura. Sperando che siano sufficienti, diversamente, potrà eseguire l’esame autoptico della salma.

Si dovranno ricostruire tutti gli elementi utili, per comprendere se effettivamente la chiamata al 118, avrebbe salvato la vita di A. DS.. Agli atti anche una precedente dichiarazione della moglie della vittima che negava il proprio consenso ad un eventuale ricovero.

Il Tribunale preposto al giudizio è quello monocratico (costituito da un solo giudice), essendo un reato che prevede sanzioni penali inferiori ai 10 anni, il Pubblico ministero procederà direttamente all’emanazione del decreto di citazione diretta in udienza (senza udienza preliminare). Speriamo che i tempi siano così più brevi. Perché dovremo aspettare per comprendere come si concluderà la questione.

In via cautelare mi sento di ricordare ai colleghi, che si trovano a operare in situazioni confuse, assistendo pazienti con difficoltà cognitive e/o comunicative, che non sono in grado di esprimersi direttamente o comprendere il significato delle cure/assitenza erogata; di essere molto attenti alle problematiche che riguardano il consenso informato.

L’art.32 della Costituzione e la L.145/2001, stabiliscono che un intervento nel campo della salute, non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato.

La questione dirimente per noi infermieri è comprendere se la persona che stiamo assistendo è stata dichiarata effettivamente, “incapace d’intendere e volere”. Questa condizione non la stabilisce il sanitario (neanche il medico!), ma il Giudice.

Attenzione perché la capacità d’intendere e volere anche  se giudizialmente riconosciuta, senza la corretta INTERDIZIONE, con la nomina ben definita di un tutore e dell’amministratore di sostegno (può essere indicata anche da un’unica persona ma con i due differenti ruoli precisati, oppure, due persone diverse), non serve un granché al sanitario.

Il consenso o negazione di interventi sanitari, come nella situazione qui descritta, devono essere assunte solo dal TUTORE NOMINATO DAL GIUDICE!.

I TRIBUNALI HANNO Più VOLTE RIBADITO CHE IL PAZIENTE, con L’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO che elargisce il consenso/negazione ai trattamenti sanitari, non è sufficiente. Occorre sempre e comunque attivare la nomina di un TUTORE il quale abbia la potestà di esprimere il consenso per conto del paziente “con deficit cognitivi comunicativi” (incapace d’intendere e volere).

Inoltre il “pericolo imminente di vita” per il paziente “incapace…” o comunque un rischio grave per la sua salute, esime dall’attivare farraginose procedure e lungaggini burocratiche di richiesta formale di consenso al trattamento sanitario. In questa evenienza, si deve procedere, anche “sine consenso da chi che sia”, immediatamente senza ritardare le cure necessarie indispensabili a salvaguardare la sua vita. Gli art. 51 e 54 del c.p. configurano lo stato di necessità a cui di frequente il sanitario si appella, per porre in atto interventi sanitari urgenti,  altrimenti non consentiti dal diritto alla persona di fornire il suo consenso.

La persona che, di fatto, si trovi nella  condizione clinica d’incapacità d’intendere e volere ma privo di LEGALE RAPPRESENTANTE. Situazione molto frequente,  la quasi totalità dei casi, nei pazienti affetti da varie forme di demenza; superficialmente la prassi diffusa, attribuisce ai familiari la  patria potestà sull’ammalato. Sono i parenti, generalmente  chiamati dal medico a dare il proprio consenso informato ai trattamenti sanitari proposti per il paziente “inabile…”.

Questo consenso non ha valore giuridico,  non possiamo invocare la legittimità del proprio operato in relazione al consenso od opposizione data da un familiare.

La situazione dell’infermiera friulana credo ne sia un esempio emblematico. Abbiamo una moglie che si opponeva al ricovero, determinando quindi, le corrispondenti sfavorevoli risultanze. D’altro canto, una figlia, che alla morte del proprio padre, ne rivendica il diritto ad essere preventivamente soccorso, con tutti i mezzi, chiamando all’occorrenza, anche il 118, per scongiurare l’infausto epilogo.

Cari colleghi, pretendiamo di assistere i nostri pazienti con le dovute tutele. I rischi d’incorrere in queste diatribe, trappole, per noi garanti dell’assistenza e sicurezza del paziente, sono all’ordine del giorno. Sono problemi di gestione organizzativa la cui responsabilità principale non è nostra, ma ne siamo coinvolti direttamente e ne subiamo le conseguenze. Dobbiamo costringere le Direzioni sanitarie i nostri Dirigenti a farsi carico di questi problemi e che  finalmente li risolvano.  La Legge valuta il fatto, il caso, la circostanza, e con il paziente a prendere le decisioni restiamo spesso soli, troppo soli.

Fonte 

Il Messagero Veneto

Il reato di Omissione di Soccorso