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Andrea Bottega (Nursind) commenta i risultati dello studio italiano Rn4Cast

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La Redazione
Pubblicato il: 16/06/2016 vai ai commenti

Comunicati StampaRN4CAST

                                                            

Nella scorsa settimana si sono susseguiti una serie di rapporti sulla sanità che hanno dato vita a diverse prese di posizione. Ne è mancata una, però, prettamente infermieristica. Dopo i dati della Corte dei Conti e del Censis, sabato scorso a Genova, sono stati presentati anche i primi dati dello studio Rn4Cast svolto in Italia.

I primi due rapporti hanno evidenziato come in questi anni da una parte si sia ampiamente risparmiato sul personale pubblico attraverso il taglio delle dotazioni organiche e il blocco stipendiale (Corte dei Conti http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=40493) e, dall’altra, 11 milioni di nostri cittadini hanno rinviato o rinunciato alle prestazioni sanitarie con la notizia che buona parte della popolazione ritiene che la qualità del proprio servizio sanitario regionale sia peggiorata negli ultimi due anni (Censis http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=40455).

I primi dati del terzo studio sono arrivati a fine settimana in una conferenza internazionale a Genova, dove la prof.ssa Loredana Sasso ha presentato i primi risultati dello studio RN4CAST (Registered Nurse Forecasting). Uno studio già svolto in altri 14 paesi europei - oltre che in altri paesi si diversi continenti - che ci permette di analizzare l’impatto di un numero adeguato di personale infermieristico (staffing) sulla sicurezza del paziente e sulla qualità dell’assistenza con dati fondati scientificamente e con una metodologia che permette il raffronto tra i 40 ospedali delle 13 regioni italiane che hanno partecipato allo studio e gli altri paesi europei. Uno studio che in Italia mancava (Nursind nel 2013 né è stato finanziatore e promotore) e che sarà alla base delle politiche sanitarie dell’Unione europea per far fronte al crescente bisogno sanitario della popolazione, per l’enorme impatto che l’ambito sanitario ha nel mondo del lavoro e per il valore strategico che la salute dei cittadini europei ha in termini di politiche generali (immigrazione, scambi commerciali, lavoro, difesa militare, …).

Cosa ci dicono in sintesi i primi dati dello studio?

Anzitutto che il rapporto pazienti/infermieri nei reparti di chirurgia e medicina in Italia è di 9,54 (valore minimo 7,08 – valore massimo 13,65) mentre il livello ritenuto ottimale per evitare esiti importanti sulla salute dei malati è di 6:1.

In secondo luogo i dati ci dicono che le cure mancate riguardano principalmente aspetti core della professione infermieristica, cioè quelli che più interessano l’area di autonomia professionale (pianificazione delle cure, sorveglianza adeguata dei pazienti, sviluppo o aggiornamento dei piani di assistenza e programmi, cambio frequente della posizione, confort/dialogo col paziente, educazione del paziente e della famiglia, la cura del cavo orale) e che questi variano in base al numero di infermieri e al loro carico di lavoro. Particolare influenza ha l’ambiente di lavoro dove si associa un più alto rischio di burn out e dove agli aspetti di soddisfazione legati al godimento dei diritti, alla flessibilità e all’autonomia professionale si contrappongono alti valori di insoddisfazione per lo stipendio e l’avanzamento di carriera.

In Italia il 36,15% degli infermieri (età media 41 anni) avrebbe intenzione di lasciare il lavoro nel prossimo anno, un dato preoccupante se pensiamo che il futuro dell’Italia e dell’Europa richiederà un maggior numero di professionisti di infermieri. In sostanza un sistema che “brucia” la sua risorsa più preziosa. Ancora una volta le condizioni lavorative incidono notevolmente sulle scelte individuali: il desiderio/volontà dell’infermiere di cambiare struttura aumenta del 50% in presenza di impossibilità di completare le attività di gestione del dolore per mancanza di tempo mentre diminuisce del 30% in caso di organico perfettamente adeguato e del 40% se c’è almeno un parziale riconoscimento della professione e ascolto da parte della dirigenza.

Sono primi dati che richiederanno diverse analisi e rapporti con altri dati di carattere economico, per esempio, al fine di valutare se il costo di un infermiere in più è giustificato economicamente rispetto al costo che il sistema deve sostenere per gli esiti delle mancate cure. Tuttavia pare indubbio che la spending review sia stata efficace nel rientro economico delle regioni ma è altrettanto provato che ciò è anche andato a discapito della qualità dell’assistenza (il 40% degli infermieri ritiene che la qualità sia mediocre o scadente), degli esiti e della sicurezza (solo il 30% degli infermieri ritiene che il livello di sicurezza dei pazienti sia molto buono o eccellente). Inoltre non abbiamo prova che con i tagli economici si siano adottati più efficienti ed efficaci modelli organizzativi.

La prof.ssa Linda Aiken nel suo intervento ha ribadito che i precedenti studi del consorzio Rn4Cast hanno correlato la mortalità nelle strutture ospedaliere a due variabili: al rapporto pazienti/infermieri (la mortalità è più bassa negli ospedali in cui un infermieri segue meno pazienti) e al più elevato titolo di studio dello staffing (il 50% degli infermieri italiani sono laureati).

La difficoltà di svolgere la professione infermieristica in situazioni di carenza d’organico è testimoniata dal fatto che il 79% degli infermieri dicono di non essere abbastanza presente al letto del paziente. Non ci sono abbastanza infermieri. Tra i 40 ospedali italiani si osservano differenze rilevanti: si passa da strutture con il rapporto nelle 24 ore di un infermiere e 6 pazienti a strutture con il rapporto un infermiere a 11 pazienti.

Appare quindi evidente – e le sfaccettature di queste evidenze saranno oggetto di studio e pubblicazione nel proseguo delle analisi e comparazioni tra i dati – che c’è una correlazione significativa tra staffing (formazione, composizione e numero di personale addetto all’assistenza), ambiente lavorativo e qualità e sicurezza delle cure. Una tale correlazione non può che avere come corollario l’affermazione che l’assistenza infermieristica non è il problema ma soluzione dei problemi di salute dei pazienti.

In sostanza, permettendomi una riflessione personale, si vede confermato ciò che da tempo andavamo affermando: la questione infermieristica (l’infermiere che non c’è) è rilevante per la qualità delle cure. I tagli lineari, il blocco dei contratti e del turn over hanno aggravato le condizioni lavorative e peggiorato l’ambiente lavorativo, due fattori che hanno inciso sulla qualità e sicurezza delle cure offerte alle persone bisognose. I tavoli ministeriali sulla professione infermieristica non potranno non partire da queste considerazioni ora avvallate anche da dati oggettivi e da comparazioni internazionali.

 

                                                                                       Andrea Bottega