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Stretta sui controlli agli infermieri. Chiesti test antigenici quindicinali

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La Redazione
Pubblicato il: 21/11/2020 vai ai commenti

CoronavirusLazioNurSind dal territorio

La pandemia in atto che da circa un anno sconvolge quotidianamente la vita delle persone di tutto il mondo ha posto notevole risalto all'operato ed alla professionalità degli operatori sanitari. In particolar modo attraverso i nostri media nazionali abbiamo avuto modo di apprezzare con quale impegno e dedizione gli operatori sanitari in Italia svolgono la propria professione, al fine di fronteggiare la pandemia. Gli infermieri, i medici e gli OSS si impegnano quotidianamente a proteggere la salute dei cittadini nelle strutture sanitarie covid e covid free, in quanto mission principale della professione. Ciò che spesso non ha avuto la giusta attenzione, però sono le condizioni in qui i professionisti della salute operano in diverse realtà italiane.

Secondo quanto riportato in una revisione delle indicazioni sulla sorveglianza sanitaria, riservata per gli operatori sanitari, datata 23 marzo 2020, le strutture sono state chiamate ad attuare procedure per l’individuazione de rischio di contagio da Sars-Cov-2. Tuttavia al personale sanitario risultato a contatto con persona positiva al covid -19, viene riservato un periodo di controllo fiduciario nella propria abitazione, con rilevazione quotidiana della temperatura corporea senza però esonero dal posto di lavoro, fatto salvo nei casi in cui al sospetto ci si aggiunga la comparsa della sintomatologia. La discriminante per l’esecuzione del test molecolare è il livello di rischio attribuito all’operatore sanitario sospetto di positività; il fine è quello di garantire la continuità assistenziale.

Ma chi tutela la salute degli operatori?

Nei primi mesi di pandemia, infatti, sono poche le strutture sanitarie che hanno garantito un controllo cadenzato ai sanitari attraverso l'ormai noto test molecolare, lasciando spesso questi ultimi in balia degli eventi. E se è vero che esiste il timore per chi lavora nelle unità operative convertite in degenze covid di portare il virus a casa, è altrettanto probabile il rischio aumentato di portare il virus all'interno di strutture che dovrebbero garantire protezione ai pazienti più fragili da parte degli operatori stessi; come per esempio le strutture oncologiche oppure le RSA.

La nota regionale

Con una nota della regione Lazio, firmata dai dirigenti dell’area “Rete Ospedaliera e Specialistica” e “Promozione della Salute e Prevenzione” indirizzata ai direttori generali delle strutture sanitarie regionali e agli IRCCS, si invitano le aziende sanitarie, con l'ausilio dell'RSPP e del medico del lavoro,  alla messa in atto di protocolli che prevedano l'esecuzione in primo luogo di test antigienici a beneficio degli operatori, con cadenza indicativamente quindicinale e qualora vi sia riscontrata positività, a procedere con il test molecolare.

Un passo avanti verso una maggiore tutela della salute del professionista sanitario da parte delle istituzioni ponendosi in maniera proattiva verso l'individuazione di eventuali focolai all'interno delle strutture sanitarie, piuttosto che con atteggiamento remissivo, come lasciato intendere nei mesi scorsi, quando la tendenza era evitare carenze d'organico generate dal virus.

Nursind da subito si è battuto affinché l'infermiere venisse messo in condizione di lavorare in sicurezza, ed ora che un primo traguardo è stato raggiunto ci si augura che nel più breve tempo possibile, quanto disposto, venga adottato dalle strutture presenti sul territorio.

di Marco Piergentili