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Omicidio colposo per l’infermiere che non impedisce la condotta negligente del collega di turno

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 24/07/2021 vai ai commenti

La SentenzaLeggi e sentenzeProfessione e lavoro

Un infermiere veniva condannato a titolo di cooperazione in omicidio colposo di un paziente, per avere consentito, o comunque non essersi opposto, a che il coimputato, pure infermiere, tenesse la condotta attiva che ne aveva causato la morte.

A stabilirlo la Cass. pen. Sez. IV, con la sentenza n 33253/19.

I fatti

La Corte d'Appello di Bologna confermava la sentenza del Tribunale di Bologna con cui è stata ritenuta la penale responsabilità di un infermiere per avere, in cooperazione colposa con un altro infermiere ed i medici indagati, cagionato con colpa, consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, la morte di un paziente, affetto da cardiomiopatia dilatativa primaria cardiomegalica, con frequenti e severe tachicardie ventricolari, portatore di defibrillatore cardiaco impiantabile, ricoverato in Utic.

 

Il paziente decedeva il per arresto cardiaco, mentre si trovava ricoverato presso l'U.T.I.C, in attesa di un intervento programmato di ablazione. Accertata l'assenza di malfunzionamenti del sistema di monitoraggio, da ulteriori accertamenti emergeva la discrepanza tra la presenza di numerosi tracciati patologici, codificati con allarme rosso durante la notte e l'assenza di allarmi a partire dalla mezzanotte circa. Dall'analisi del file log emergeva che sin dalle 00:38 era stata posta in essere l'inibizione manuale della rilevazione dei parametri ECG. Risultava che la disattivazione era intervenuta nel turno notturno di lavoro, decorrente dalle 19:45 e le 7:10.

 

La sentenza ritiene la sussistenza della condotta colposa di uno dei due infermieri in turno, pur assumendo la possibilità che l'imputato non abbia materialmente disattivato l'allarme, addebitando al medesimo di aver fornito pieno sostegno al collega, a mezzo dell'adesione psicologica all'operazione. Entrambi gli infermieri, infatti, erano a conoscenza del fatto che il paziente avesse sofferto, nel corso del pomeriggio, di vari episodi di storm elettrici, cioè aritmie asintomatiche, che determinavano l'attivazione, da un lato, degli allarmi sonori, con conseguente obbligo di silenziarli, dall'altro dell'I.C.D., che provvedeva a riportare il paziente in condizione di normalità. Nella consapevolezza che allarme ed attivazione del defibrillatore intervenivano contestualmente, gli infermieri disattivavano il primo al fine di scongiurare, durante la notte, quello che l’infermiere aveva definito inquinamento acustico, per evitare il quale era risultato che fossero stati disattivati anche i campanelli dell'interfono, tanto che pazienti per chiedere aiuto dovevano chiamare ad alta voce, come riferito alla stessa infermiere.

La sentenza ritiene, altresì, che in ogni caso anche qualora non si ritenesse raggiunta la prova della compartecipazione da parte di dell’infermiere alla medesima si debba addebitare l'omesso prolungato controllo del sistema di allarme, che avrebbe consentito di verificarne la disattivazione. Proprio la mancata attivazione degli allarmi acustici, riconducibile alla condotta dell'imputato, è stata ritenuta dalla sentenza anello della concatenazione causale, il cui sviluppo ha condotto alla morte del paziente, impedendo la prontezza dei soccorsi da parte degli infermieri in servizio nel turno mattutino, inconsapevoli del silenziamento degli allarmi, neppure indicato durante il passaggio delle consegne.

 

Afferma la Cassazione che non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza la condanna a titolo di cooperazione nel delitto colposo, a fronte della contestazione di reato colposo monosoggettivo, allorquando l'imputazione, pur non richiamando l'art. 113 cod. pen. e non utilizzando il vocabolo cooperazione, attribuisca agli imputati una serie di condotte che, per come descritte, sono connotate dalla reciproca consapevolezza dell'azione del coimputato. (In applicazione del principio la Corte ha escluso la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., in relazione alla condanna di un infermiere a titolo di cooperazione in omicidio colposo di un paziente, per avere consentito, o comunque non essersi opposto, a che il coimputato, pure infermiere, tenesse la condotta attiva che aveva causato la morte, originariamente contestata anche al primo, rilevando che nel procedimento era stato ampiamente consentito l'esercizio del diritto di difesa, sin dall'interrogatorio di garanzia, su ogni singolo aspetto dell'evento per cui era stato tratto a giudizio).