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Paziente si lancia nel vuoto e muore: infermieri indagati. Quali responsabilità in caso di suicidio?

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 04/05/2022

AttualitàCronache sanitarieLeggi e sentenzeProfessione e lavoro

Un 40enne, in preda a turbe psichiche si è lanciato dal quarto piano dell’ospedale “Vito Fazzi”. A finire sotto inchiesta sono un medico e tre infermieri, con l’accusa di omicidio colposo.

A mettere in moto le indagini è stata la sorella della vittima, ha depositato una denuncia-querela per verificare se il suo stretto familiare sia stato adeguatamente monitorato.

Il quarantenne aveva fatto il suo ingresso nel nosocomio leccese il 19 aprile dove veniva ricoverato nel reparto Covid di medicina interna perché positivo al virus. Nella notte tra il 20 e il 21 di aprile la sorella riceve una telefonata in cui le viene detto che il paziente si era allontanato dal reparto

Ore dopo veniva contattata una seconda volta dall’ospedale per informarla che il fratello si era lanciato nel vuoto dal quarto piano della struttura ospedaliera. Allertati i soccorsi, purtroppo i medici non hanno potuto fare altro che constatare il decesso del malcapitato.

Adesso si vuole accertare se la tragedia poteva essere evitata con una vigilanza maggiore e se la valutazione del rischio fosse stata eseguita.

Ma di chi è la responsabilità dei comportamenti autolesivi e suicidari del paziente?

Con la legge 180 cessa la funzione di custodia a carico dell’infermiere, di fronte e questo come ci si pone di fronte ad i comportamenti autolesionisti e suicidari dei pazienti, quale responsabilità?

Una significativa pronuncia del Tribunale di Brindisi ha escluso la responsabilità del personale infermieristico in seguito ai ripetuti episodi suicidari dei pazienti ricoverati, seppure con qualche contraddizione.

La sentenza specifica che “l’infermiere non è il custode dei pazienti”, e sostituisce all’obiettivo dell’incolumità del paziente quello del recupero della malattia mentale, anche se questo può comportare qualche rischio sul piano dell’incolumità fisica del paziente, ponendo come obiettivo un bilanciamento degli interessi che propendono verso il recupero della malattia.

La contraddittorietà della pronuncia del Tribunale la si evince poi dalla seguente dichiarazione “a scanso di equivoci è il caso di chiarire che gli infermieri del reparto di psichiatria non sono attualmente liberi da ogni compito di vigilanza. Essi sono tenuti anche ora a prestare assistenza ai malati, adeguata alla malattia”.

Si evince quindi che sì l’infermiere non ha più l’obbligo della custodia ma, questa intesa come sorveglianza deve essere maggiore quando, in base alla patologia si possa prevedere un comportamento suicidario o autolesivo.

Per quanto riguarda la prevedibilità può essere data solo dalla scienza psichiatrica e di conseguenza dalla diagnosi del paziente. La responsabilità della errata diagnosi è esclusivamente medica.

La prevenibilità va valutata caso per caso e va rapportata alla struttura del reparto, alla sua ubicazione, alla presenza di un sistema di chiusura e apertura di porte e finestre, l’aver lasciato al paziente utensili pericolosi, il numero di infermieri in servizio. 

Laddove il personale infermieristico abbia messo in atto una sorveglianza compatibile con la prevenibilità dell’evento, a questo non può essere imputata nessuna colpa.

Va da sé che un ruolo importante ce l’ha l’adeguatezza della struttura,  che deve dotarsi di dispositivi di sicurezza, allarmi, video a circuito chiuso, ringhiere, infissi di sicurezza e misure assistenziali che evitino il contatto con oggetti pericolosi.

 

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