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Tfr è la svolta: sentenza storica Corte Costituzionale. Ecco a chi andrà liquidato subito

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 25/06/2023

La SentenzaLeggi e sentenzeProfessione e lavoro

Incompatibili con la Costituzione le norme che prevedono di corrispondere in ritardo il trattamento di fine servizio. Per la Corte Costituzionale spetta dunque al legislatore, avuto riguardo al rilevante impatto finanziario che il superamento del differimento comporta, individuare i mezzi e le modalità di attuazione di un intervento riformatore che tenga conto anche degli impegni assunti nell'ambito della precedente programmazione economico finanziaria.

A stabilirlo è la Corte Costituzionale con la sentenza n. 130 del 23 giugno 2023.

Incompatibili con la Costituzione le norme che prevedono di corrispondere in ritardo il trattamento di fine servizio. Il differimento della corresponsione dei Tfs ai dipendenti pubblici cessati dall'impiego per raggiunti limiti di età o di servizio contrasta infatti con il principio costituzionale della giusta retribuzione, di cui tali prestazioni costituiscono una componente; principio che si sostanzia non solo nella congruità dell'ammontare corrisposto, ma anche nella tempestività della erogazione.

Si tratta di un emolumento volto a sopperire alle peculiari esigenze del lavoratore in una particolare e più vulnerabile stagione della esistenza umana.

La Corte costituzionale dice stop quindi alle attese di anni per ottenere la liquidazione, ma l’imperativo vale solo per i dipendenti Pa che vanno in pensione di vecchiaia, a esclusione quindi delle altre formule di pensione anticipata e di anzianità. Il governo guidato da Giorgia Meloni dovrà pertanto mettere mano alla legislazione sul Trattamento di fine rapporto (Tfr) o Trattamento di fine servizio (Tfs), assicurando nuove regole che possano tener conto delle modifiche richieste dalla Corte costituzionale, senza pesare tuttavia sui conti pubblici.

 

Adesso tocca al legislatore sanare la materia

Per la Corte Costituzionale spetta dunque al legislatore, avuto riguardo al rilevante impatto finanziario che il superamento del differimento comporta, individuare i mezzi e le modalità di attuazione di un intervento riformatore che tenga conto anche degli impegni assunti nell'ambito della precedente programmazione economico-finanziaria.

La sentenza ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 2, del decreto-legge n. 79 del 1997, come convertito, e dell'art. 12, comma 7, del d.l. n. 78 del 2010, come convertito, che prevedono rispettivamente il differimento e la rateizzazione delle prestazioni.

Tuttavia, la discrezionalità del legislatore al riguardo – ha chiarito la Corte – non è temporalmente illimitata. E non sarebbe tollerabile l'eccessivo protrarsi dell'inerzia legislativa, tenuto anche conto che con la sentenza n.159 del 2019, era già stato rivolto un monito con il quale si segnalava la problematicità della normativa in esame. La Corte ha poi rilevato che la disciplina del pagamento rateale delle indennità di fine servizio prevede temperamenti a favore dei beneficiari dei trattamenti meno elevati. Comunque, concludono i giudici delle leggi, tale normativa era connessa a esigenze contingenti di consolidamento dei conti pubblici.