La Cassazione riscrive il peso del triage infermieristico: responsabilità e conseguenze
La Cassazione, con la n. 15076/2025, interviene su un caso di decesso dopo accesso in Pronto Soccorso e lo fa mettendo al centro il triage infermieristico. Il risultato è una decisione che sposta in avanti il confine della responsabilità professionale dell’infermiere, andando ben oltre la mera correttezza formale della procedura.
Il caso: quando il triage diventa il primo imputato
La vicenda riguarda una paziente arrivata in PS con difficoltà respiratoria, valutata al triage e successivamente deceduta per arresto cardio-respiratorio.
Secondo la Cassazione, il problema non è solo “cosa è successo dopo”, ma cosa non è stato colto subito.
La Corte ritiene che:
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il codice assegnato non fosse adeguato;
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la sintomatologia iniziale avrebbe dovuto essere interpretata come più grave;
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l’infermiere avrebbe dovuto attribuire un significato clinico più allarmante ai segni presenti.
Il triage, in questa sentenza, non è un atto neutro: diventa un nodo decisivo dell’intero percorso di cura.
Non basta seguire il protocollo
Uno dei passaggi più critici della sentenza è questo:
per la Cassazione non è sufficiente aver compilato correttamente la scheda di triage.
Secondo i giudici, l’infermiere non deve solo:
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raccogliere i parametri;
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registrare i sintomi riferiti;
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applicare meccanicamente le linee guida.
Deve anche interpretare la gravità del quadro, valutare il rischio di evoluzione rapida e attribuire un codice che tenga conto non solo dei numeri, ma del contesto clinico complessivo.
È qui che il terreno diventa scivoloso.
Una valutazione che assomiglia sempre più a un giudizio clinico
Formalmente, la Cassazione ribadisce che il triage non è una diagnosi medica.
Ma nella sostanza chiede all’infermiere di:
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riconoscere una possibile crisi respiratoria in atto;
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anticipare un peggioramento clinico;
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attribuire un codice più alto anche in assenza di parametri vitali inizialmente compromessi.
Il nesso causale: il triage come punto di non ritorno
Altro aspetto rilevante: la Cassazione considera l’errore di triage causalmente rilevante.
Secondo la Corte:
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una sottovalutazione iniziale avrebbe ritardato l’intervento;
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il ritardo avrebbe inciso sulla possibilità di intercettare l’evoluzione clinica;
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questo rende il triage un anello critico della catena assistenziale.
In altre parole, il triage non è più solo “smistamento”: diventa un punto in cui si gioca la responsabilità penale.
Il grande assente: la realtà dei Pronto Soccorso
Nella sentenza, però, c’è un’assenza che pesa molto: la realtà quotidiana dei Pronto Soccorso italiani.
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sovraffollamento cronico;
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carenze di personale;
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decine di accessi contemporanei;
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tempi ridotti a pochi minuti per ogni valutazione.
La valutazione dell’infermiere viene analizzata a posteriori, con la lente della ricostruzione giudiziaria, non con quella della pratica reale.
Il rischio è evidente: trasformare il triage in un esercizio difensivo, dove per tutelarsi si sovrastima tutto, svuotando lo strumento del suo significato clinico.
Perché questa sentenza è un alert professionale
Questa decisione:
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alza l’asticella della responsabilità infermieristica;
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rafforza la posizione di garanzia dell’infermiere;
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espone il triage a una lettura sempre più giudiziaria;
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rischia di scaricare sull’operatore responsabilità che sono anche organizzative e sistemiche.
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