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Gli infermieri e il difficile confronto generazionale

di Chiara D'Angelo

 

A settembre scorso abbiamo festeggiato i vent'anni del nuovo profilo professionale dell’infermiere (DM 739/94)…

...20 anni!!!

 

Ciò che mi sconcerta sempre, soprattutto leggendo i vari commenti su Facebook, è che una buona porzione di colleghi, con un atteggiamento pseudo-genitoriale, spesso rimproverino ai giovani infermieri, quindi alle future generazioni, di non comprendere il valore profondo ed "umile" della professione infermieristica. Alcuni commenti di questo tipo sono anche contenuti in fondo al nostro articolo: "I paradossi della professione infermieristica narrati dai banchi dell'università" (Clicca).

E l’elemento che maggiormente mi disorienta è l’irremovibilità (che connota una più profonda rigidità) di alcune posizioni, che tendono a definire il “Vero Infermiere” con un improprio semplicismo, riprendendo le connotazioni dell’infermiere professionale. Questa definizione è, prima di tutto, concettualmente errata, in quanto si riferisce alla situazione ante-riforma e non tiene conto, appunto, del mutamento sostanziale iniziato ben 20 anni fa. Il nuovo profilo professionale è cosa ben diversa, e lascia perplessi che ad esso sia sopravvissuto un riconoscimento perdurante con la definizione di infermiere professionale, dicitura che in certe realtà ancora si ritrova riportata anche su documentazione ufficiale (come ad es. verbali di Pronto Soccorso). Ed ecco che nella mia mente prendono forma una serie di interrogativi: se ci si aspettava che il “nuovo infermiere” ottemperasse alle stesse identiche “mansioni” dell’infermiere professionale, che bisogno c’era di legiferare un nuovo profilo e, quindi, un nuovo mandato professionale? Perche' istituire la formazione universitaria? Perché sarebbe stato così impellente abolire il mansionario? Perché sarebbe risultato non più procrastinabile il passaggio da figura “esecutiva” e ausiliaria alla professione medica a professione intellettuale e autonoma? Perché l’avanzamento di fascia contrattuale da C a D?

Con questi interrogativi (a cui, personalmente, ho ben chiare le risposte ma che, evidentemente, non sono patrimonio comune e condiviso o, forse, semplicemente non sono tali per non averci mai dedicato una riflessione accurata) mi sbigottisce poi la granitica visione “antica” che non lascia il minimo margine all’ipotesi che le cose possano essere, foss’anche solo in parte, diverse. E l’efferatezza con cui vengono scagliati giudizi e improvvidi consigli (es. “ti consiglio di cambiare percorso di studi e di iscriverti a Medicina”) rivolti ai futuri colleghi che, a parer mio, non chiedono altro che venga loro riconosciuto e permesso il sapere, il saper essere e il saper fare quello che viene loro (e a noi tutti) richiesto dal mandato professionale e per il quale si formano con il duro, anche se per certi versi incompleto, percorso accademico.

I giovani colleghi sono il futuro della professione e pertanto l’amore per la professione è il testimone che dovremmo avere la capacità di passare loro, sapendo accantonare orgogli e timori personali (di che cosa poi?) anche a costo di costringerci a superare incrostazioni mentali che nemmeno avrebbero ragion d’esistere ma che tuttavia evidentemente ci condizionano. Provo disagio, perché mi aspetterei accompagnamento, incoraggiamento ed esempio da parte dei “senior” verso i giovani che, dopo tanti sacrifici (anche economici) per conseguire il titolo universitario, vedono affacciarsi davanti a loro anni di incertezza, da trascorrere tra “viaggi della speranza” ai concorsi, inoccupazione, precariato, sfruttamento in contesti lavorativi biasimevoli; ma l’odissea del giovane infermiere non trova approdo nemmeno quando raggiunge, finalmente, il reparto (in un viaggio in cui il sogno del proprio futuro è stato pagato al prezzo di grandissimi sacrifici e messo ripetutamente e duramente alla prova) poiché qui si trova a dover fare i conti con un’operatività diversa da quella che gli è stata profilata durante gli anni di studio. In questo contesto sarebbe davvero auspicabile una flessibilità nella forma mentis che permetta uno scambio reciproco tra vecchie e nuove generazioni, soprattutto nell’ambito di una professione come la nostra, in cui non si finisce mai di imparare e dunque anche il “vecchio” può acquisire qualcosa dal “giovane”.

Allora domando, e necessariamente la mia riflessione è rivolta a quella porzione (che non saprei quantificare) di colleghi che citavo in apertura dell’articolo: noi, che siamo così fermi nel rimproverare e smontare le legittime aspirazioni e i sogni dei giovani infermieri etichettandoli spesso e volentieri (in forma spregiativa) come “piccoli medici”, abbiamo davvero fatto uno sforzo per capire e responsabilmente fare nostro il “nuovo” profilo dell’infermiere o ci siamo "accontentati" (indubbiamente compressi dall'attuale organizzazione del lavoro) di essere e fare esattamente ciò che eravamo e facevamo prima dell’istituzione del nuovo profilo? Noi, che siamo così severi nei giudizi e generosi nei consigli non richiesti, ci siamo mai chiesti se forse siamo proprio noi ad essere in difetto, rispetto a ciò che la sanità del terzo millennio si aspetta dai professionisti della salute, mettendo in tal modo in atto forme (più o meno consapevoli) di resistenza al cambiamento?

Credo che il primo ostacolo da abbattere sia tutto nostro: non basta sapere che siamo professionisti, ma dobbiamo anche convincerci del nostro valore ed essere disposti a lottare per esso, per difenderlo, affermarlo ed ancor prima attuarlo. Infermieri, non più meri esecutori o “compitieri”. Professionisti che partecipano attivamente a progetti, che lavorano per obiettivi e funzioni, che collaborano con le altre figure professionali svolgendo spesso anche una preziosa funzione di “collante” e di “garante della continuità assistenziale”, che hanno una specificità professionale all’interno dell’equipe, riconoscendola come valore aggiunto, e molto altro ancora.

Credo che dovremmo lavorare attivamente prima di tutto su di noi e fra di noi per superare le inerzie ideologiche e le conseguenti “divisioni” (es. infermieri “vecchia scuola” e infermieri nuovo ordinamento) ed impegnarci per raggiungere unità e compattezza, privilegiando il confronto, anche aspro, ed il dialogo fecondi, e non le sterili acredini e i sarcasmi figli talvolta della frustrazione personale.

Credo ancora che dovremmo impegnarci per alimentare costantemente la volontà di crescita e per non frenare od ostacolare il cambiamento, forti della consapevolezza del nostro ruolo e della nostra collocazione nel complesso sistema della sanità soprattutto in questo momento storico di mutamenti significativi professionali (competenze avanzate, comma 566, ecc.) e generali (crisi economica, spending review, disoccupazione, precariato, blocco del turnover, riforma della PA, ecc. )

Chi ci segue sa che non sono solita esprimere opinioni personali nel mio impegno editoriale su questo sito, ma ho sentito il bisogno di condividere quello che ritengo uno spunto di riflessione importante che riguarda prima di tutto me stessa e la mia coscienza professionale ed anche perchè, momenti di scoramento transitori a parte, sono convinta che con impegno e determinazione saremo all’altezza anche di questa sfida…

 

- Analisi del D.M. 739 del 14.09.1994 “Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profili professionale dell’Infermiere”, QUI

- Codice Deontologico dell'Infermiere, QUI