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Infermieri. Gruppi WhatsApp di lavoro. Le regole, i rischi.

Maria Luisa Astadi
Maria Luisa Asta
Pubblicato il: 08/01/2020

AttualitàLeggi e sentenze

Scambiarsi notizie, fotografare un turno ed inviarlo ai colleghi, commentare la giornata lavorativa appena trascorsa e così via dicendo; tutti, con l’avvento dei social, abbiamo creato un gruppo WhatsApp di lavoro, un gruppo chiuso ai colleghi.
Inevitabilmente non mantiene la sua primaria natura di agenzia di socializzazione, ma spesso al centro delle discussioni può esservi la condotta del datore di lavoro, magari criticata, non sempre con epiteti gentili.
Ma cosa rischia chi critica aspramente il datore di lavoro? Esiste un codice di utilizzo dei gruppi social?

Un codice specifico non è stato ancora scritto, ma la giurisprudenza, attraverso una serie di sentenze, ha dettato delle regole comportamentali alle quali fanno seguito o meno delle sanzioni disciplinari.

Critica al datore di lavoro , quando?
La nostra Costituzione, all’articolo 21, riconosce al cittadino il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stessa Corte europea dei diritti dell’uomo ha definito la libertà di espressione il fondamento della società democratica (cfr. Kokkinakis c. Grecia, 25 maggio 1993, Serie A n. 260-A, par. 31).
In ambito lavorativo, tale diritto è riaffermato dall’articolo 1 dello Statuto dei lavoratori che però afferma la necessità di contemperamento di tale libertà al rispetto dei principi della Costituzione e delle norme dello statuto medesimo.
In particolare, l’esercizio del diritto di critica trova un limite nel dovere di fedeltà nei confronti del datore di lavoro ex art. 2105 cc, obbligo che va inteso in senso ampio, posto che non attiene solo agli aspetti patrimoniali del rapporto, e dunque al divieto di conflitto di interessi o di concorrenza, ma anche ai più generali canoni di correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto tra le parti.
Si tratta di aspetti che attengono all’inserimento del lavoratore nella struttura e nella organizzazione dell’impresa e che si riverberano, inevitabilmente, sul funzionamento della stessa: essi, se violati, possono ledere il vincolo fiduciario sul quale si fonda il rapporto di lavoro.
Criticare il datore di lavoro direttamente al suo cospetto presuppone un illecito per insubordinazione.
Criticare il datore di lavoro in pubblico (alla presenza di almeno due persone) o su internet presuppone un illecito per Diffamazione.
Entrambe i reati potrebbero comportare come sanzione ultima il licenziamento.

Critica al datore di lavoro nei gruppi WhatsApp
La messaggistica (sia essa WhatsApp, Telegram, Messenger o altra app) è da equiparare a una corrispondenza e, come tale, riservata e segreta.
Dunque, non si può né accusare di diffamazione, né licenziare il dipendente che parla male del datore di lavoro all’interno di un gruppo chiuso tra colleghi.
Secondo la giurisprudenza la chat di gruppo è una forma di comunicazione privata in cui i lavoratori possono dare libero sfogo, anche attraverso l’utilizzo di espressioni “colorite”, alla propria insoddisfazione rispetto alla gestione aziendale.
Sia i messaggi scritti che  messaggi vocali indirizzati a un gruppo chiuso sono equiparabili a corrispondenza privata e non possono configurare atti idonei a comunicare pubblicamente affermazioni offensive, discriminatorie o minatorie, con conseguente insussistenza di fatto connotato dal carattere di illiceità.

Cosa rischia chi rivela il contenuto delle chat
Secondo la Cassazione, chi fa la spia e rivela a terzi il contenuto della chat o del gruppo WhatsApp commette un reato, quello di violazione del segreto della corrispondenza, comportamento che è appunto punito penalmente dal Codice,
Art 616
Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza.
Chiunque prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrae o distrae, al fine di prenderne o di farne da altri prendere cognizione , una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta, ovvero, in tutto o in parte, la distrugge o sopprime, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 516 .

Da La legge per tutti